Sul dilettantismo in politica estera
di Michele Marsonet.
Era già noto che, in tema di politica estera, i partiti attualmente al governo sono talvolta un po’ dilettantistici. Si percepisce spesso la volontà di esagerare per conquistare nuovi elettori, oppure per fidelizzare coloro che non sono del tutto convinti circa la bontà delle strategie adottate da Salvini e Di Maio.
L’avvisaglia pochi mesi orsono con la firma dell’accordo riguardante il progetto cinese della “Nuova via della seta”. Allora molti notarono una certa frettolosità dell’operazione. Giustificabile dal punto di vista di Pechino perché l’Italia fu il primo Paese fondatore della UE a firmare, meno dal nostro giacché il prezzo da pagare era l’isolamento in ambito europeo e atlantico.
Anche in quel caso non si registrò accordo tra i due partiti di governo. Favorevole senza esitazione il M5S, vero mallevadore della firma; sostanzialmente contraria la Lega perché il suo leader aveva subito capito che a Washington l’operazione non piaceva affatto, considerandola una pericolosa fuga in avanti.
Ora le parti si sono rovesciate dopo lo scandalo – o presunto tale – delle intercettazioni a danno di esponenti leghisti in visita a Mosca. Anche se autorevoli esperti negano un complotto Usa volto a frenare l’eccessivo entusiasmo per Putin, si può senz’altro credere che lo zampino americano in realtà ci sia stato.
Alcune considerazioni di fondo possono quindi aiutare a capire ciò che sta accadendo. Dopo la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’Urss molti ritenevano che le alleanze tradizionali sarebbero diventate meno rigide portando, per esempio, a un ridimensionamento della Nato.
E’ avvenuto, invece, che il potenziamento militare della Federazione Russa e l’ascesa della Cina al rango di superpotenza globale hanno indotto gli Stati Uniti a chiamare a raccolta gli alleati storici. Pur essendo un presidente anomalo, e anche vantando ottimi rapporti tanto con Vladimir Putin quanto con Xi Jinping, Donald Trump comprende che sul fronte interno non può permettersi atteggiamenti troppo amichevoli.
Non è certo la prima volta che l’Italia diventa un campo di battaglia in cui le superpotenze di turno scorrazzano a loro piacimento. La storia dei finanziamenti americani e russi ai due maggiori partiti del dopoguerra, entrambi “controllati a distanza” dalle rispettive potenze di riferimento, è ormai documentata e nota a tutti (anche se qualcuno si ostina a non crederci). Finora l’attuale governo ha deluso gli americani in numerose occasioni e non c’è quindi da stupirsi se da Washington arrivano richiami a proposito della Via della Seta, oppure “messaggi in codice” quando i rapporti italo-russi minacciano di diventare troppo stretti.
Il dilettantismo di parecchi politici italiani ora al vertice si è manifestato in molti modi. Nel caso delle intercettazioni che adesso coinvolgono la Lega riguarda l’eccessivo ruolo assegnato a personaggi ambigui e la scarsa prudenza in colloqui che – lo si rammenti – erano addirittura pubblici.
Si può andare nella Piazza Rossa con la maglietta di Putin quando si capeggia un movimento di opposizione, e non quando si occupa un ruolo governativo di primo piano. E tutto ciò a prescindere dalle concordanze quando si parla di inutilità e ingiustizia delle sanzioni anti-russe.
Per tutti questi motivi è difficile credere al pur espertissimo Edward Luttwak quando sostiene non esservi alcuna influenza Usa nello scandalo (o, ripetiamo, presunto tale) che coinvolge la Lega. Gli attuali governanti italiani scordano troppo spesso che il nostro resta pur sempre un Paese a sovranità limitata, e che “sgarri” di politica estera sono costati cari a parecchi politici nostrani portando alla fine della carriera e, in casi estremi, pure della vita.