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Filosofia dell’anima – Sull’importanza della lotta all’antisemitismo

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Anna Frank

Alcuni giorni fa mi è capitata un’avventura che mi ha lasciata abbastanza scioccata, con il “freddo addosso, sulla pelle”. Da tale “avventura” ho anche imparato che ciò che si è creato in tutti questi anni con Rosebud è nulla più di una nicchia virtuale estremamente rara, che non può essere abbandonata per nessun’altra tipologia di cenacolo reale o virtuale che sia. “Chi lascia la vecchia strada per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova” ammonivano gli antichi maestri popolari, ed è indubbio che tale perla di saggezza sia valida tutt’ora.

Di antisemitismo ne ho scritto parecchie volte su Rosebud. Ho relazionato di due episodi che mi capitarono in gioventù, ho scritto di come mi sia ripromessa di non tollerarlo mai più; di contro, ho anche scritto dei tanti “venerati maestri” che di finte battaglie contro questo endemico male hanno vissuto, in alcuni casi costruendoci attorno intere carriere. E poi… poi ho detto dei miei pensieri di quando studiavo per scrivere Sulla natura del male, della sofferenza emotiva che quel lavoro mi procurò, ma finanche dell’empatia tutta-nuova che riuscii a instaurare con gli spiriti di coloro che avevano testimoniato e sono stati vittime del male nazionalsocialista.

L’episodio di cui vorrei parlare oggi mi è capitato alcuni giorni orsono in un luogo virtuale che non è necessario menzionare qui, per la semplice ragione che non ritengo quanto accaduto sia una colpa-intenzionale di chi si occupa di quel sito. Più che altro l’episodio è accaduto causa una certa leggerezza nel gestire la sezione commenti, nonché un’eccessiva permissitività nel tollerare le attività dei troll. Questo status-quo però legittima anche queste domande: quante altre volte simili episodi di gratuita violenza contro il popolo ebreo sono accaduti in quello stesso luogo virtuale senza che nessuno li denunciasse? Quante volte al giorno accadono simili episodi in tutti i siti d’Italia?

Comincio a credere che gli episodi di antisemitismo virtuale siano tanti, parecchi, molti di più di quelli che avrei mai immaginato. Ciò che mi sconvolge, quindi, è che gli stessi episodi siano in genere attribuibili a persone adulte, che in alcuni casi si dicono professionisti, in altri casi finanche professori. Professori, di cosa?, è la domanda che mi sono posta e a cui francamente non sono ancora riuscita a dare una risposta. Come un qualsiasi individuo possa dirsi “professore”, “professionista”, mentre a un tempo spande razzismo di tipo antisemitico, o contro chi ha un diverso colore della pelle, una diversa religione, una diversa cultura… è per me enigma irrisolvibile, rebus indecrittabile. “Peggiori dei reduci di Weimar!” è tutto ciò che mi è venuto da commentare, perché almeno quelli vivevano sulla pelle la Germania violenta del 1919, ma, un secolo dopo, non viviamo quei tempi, certamente non nell’Italia post-rivoluzione digitale…

Val poi la pena rilevare come nella maggior parte dei casi codesti personaggi si firmino anonimamente (vivendo della ridicolissima convinzione che non siano tracciabili in Rete grazie all’uso di questo infantile escamotage), mostrando quindi il caratteristico tratto che accomuna tutti i razzisti: la mancanza di palle, di coraggio; in altri casi però, viene a cadere finanche quest’ultima “decenza” e dunque codesti “eroi” del libero comunicare non esitano a presentarsi con nome e cognome, titoli a carico, sic!!

Mi fermo qui! Mi fermo qui ma ribadisco che su questo sito non c’è mai stato, non c’è e non ci sarà mai spazio per questo tipo di interazioni, non fino a che lo gestirò io. Peraltro, il “freddo addosso, il freddo sulla pelle” che ho provato alcuni giorni orsono nello scoprire che mi trovavo in un luogo frequentato anche da codestti personaggi, è stata una brutta sensazione che non dimenticherò mai. È stata una “sensazione” che mi ha fatto ulteriormente comprendere – caso mai non l’avessi compreso prima – che il mio spirito, la mia dirittura etica non sono in vendita per nulla al mondo.

E che per quanto mi riguarda prima viene quella e poi, solo poi, tutto il resto.

Rina Brundu