LA BARBA DI DIOGENE, Dublin (EIRE) – 21 Years Online. Leggi l'ultimo pezzo pubblicato...

Amarcord. 2010 – 2020 Dieci anni di Rosebud. Divinità ieri, santi oggi. Un imbroglio millenario della Chiesa di Roma.

croce uno straordinario saggio di Roberto Renzetti.

LA BIBBIA

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Inizio questo studio a partire dalle Tavole della Legge (o 10 comandamenti) che lo stesso Dio scrisse su pietra col fuoco e consegnò a Mosè sul Monte Sinai intorno al XIII secolo a.C. Vi sono due versioni bibliche dei 10 comandamenti, quella dell’Esodo (20, 2-17) e quella del Deuteronomio (5, 6-21).

Nell’Esodo leggiamo:

[2] Io sono il Signore, tuo Dio,che ti fece uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi.

[3] non avrai altri dei all’infuori di me.

[4] Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.

[5] Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano,
[6] ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

[7] Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.

[8] Ricordati del giorno di sabato per santificarlo:
[9] sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;
[10] ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.

[11] Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.

[12] Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.

[13] Non uccidere.

[14] Non commettere adulterio.

[15] Non rubare.

[16] Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

[17] Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.

Nel Deuteronomio gli stessi comandamenti sono detti in modo leggermente differente:

[6] Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile.

[7] Non avere altri dèi di fronte a me.

[8] Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.

[9] Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano,
[10] ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti.

[11] Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio perché il Signore non ritiene innocente chi pronuncia il suo nome invano.

[12] Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato.

[13] Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro,
[14] ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te.

[15] Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.

[16] Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà.

[17] Non uccidere.

[18] Non commettere adulterio.

[19] Non rubare.

[20] Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

[21] Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

        Sono interessato a sottolineare quanto è scritto nelle prime frasi, praticamente coincidenti, delle due versioni (osservo che nella Bibbia non vi è una numerazione dei comandamenti, i numeri tra parentesi quadra indicano il numero del verso come sistemato in epoca posteriore alla redazione). Le frasi vanno dalla [2] alla [6] nella versione Esodo e dalla [6] alla [10] nella versione Deuteronomio. [Osservo a parte che anche il Non commettere adulterio  che ha un preciso significato, si è passati nei comandamenti cattolico a Non fornicare o a Non commettere atti impuri con un significato completamente diverso strettamente connesso con la misoginia della Chiesa sulla quale dirò in un prossimo capitolo].

        Le Tavole della legge erano destinate al popolo ebraico ma furono assunte come proprie anche dal Cristianesimo con qualche cambiamento (è stato tolto il riferimento alla liberazione dalla schiavitù in Egitto ed il giorno di riposo è diventato la domenica anziché il sabato). Il problema più grave sorse intorno alla metà del secolo VIII, sulla vicenda  che va sotto il nome di culto delle immagini o loro eliminazione (iconoclastia) come prevedrebbe il testo biblico. Scoppiò nell’Impero Bizantino, si estese un poco dovunque. Se ne interessarono Re e Papi finché non si addivenne, dopo aspre lotte e scomuniche, all’ammissione delle immagini, che erano diventate oltre ad un importante richiamo alle immagini degli dei pagani, importanti fonti di reddito per preti e frati, con Papa Gregorio IV nell’843. Il problema si ripropose però nel XVI secolo con la Riforma protestante che, di nuovo negò il culto delle immagini. Insomma, la Chiesa di Roma decise di non tenere conto della volontà di Dio, scritta a fuoco sulla pietra, e di utilizzare la Bibbia come un menù alla carta. Ed i comandamenti che il Cristianesimo accetta sono oggi quelli che seguono:

  • Io sono il Signore Dio tuo:
  1. Non avrai altro Dio al di fuori di me.
  2. Non nominare il nome di Dio invano.
  3. Ricordati di santificare le feste.
  4. Onora il padre e la madre.
  5. Non uccidere.
  6. Non commettere atti impuri.
  7. Non rubare.
  8. Non dire falsa testimonianza.
  9. Non desiderare la roba d’altri.
  10. Non desiderare la donna d’altri.

        I dibattiti, come accennato, furono lunghissimi e non riguardarono solo la cosa in sé ma anche nelle sue valenze dottrinali in epoche in cui le eresie abbondavano ed il volere di Dio si decideva quando possibile a maggioranza o con l’uso della forza di un tal regnante amico di tale Papa. Una sintesi estrema può far intendere almeno cosa era in gioco.

        La prima questione era strettamente teologica e relativa alla natura di Cristo. Questi si era incarnato e quindi si era materializzato ed allo stesso modo si sarebbe potuto rappresentarlo materialmente. Quindi i problemi riguardavano uno dei dogmi della Chiesa, l’Incarnazione. Dietro di ciò vi erano riti che definire pagani è un tenero eufemismo. L’immagine di Cristo era essa stessa parte dell’Incarnazione e quindi si poteva sottrarre con un coltello della vernice dall’immagine per mescolarla al vino della messa in modo di entrare in perfetta comunione con Cristo. L’immagine, più in generale di un santo era essa stessa una sorta di manifestazione materiale del medesimo santo. Al punto che, come nei riti romani che si dovevano svolgere davanti ad un testimone, nel battesimo e nella cresima si utilizzava un’immagine sacra come testimone. E’ chiaro che un’immagine sacra lo era tanto più quanto benedetta da autorità religiose. Serviva per aiutare i malati, per accompagnare i morti, per ogni sollievo dal male. La produzione di tali immagini era dunque un’attività estremamente lucrosa.

        La stessa Bibbia era inesorabile contro il culto delle immagini se Isaia poteva scrivere: Quelli che fabbricano gli idoli sono gente da nulla. I loro dèi preziosi non servono a niente. Quelli che li adorano non vedono e non si rendono conto: perciò saranno coperti di vergogna. Chi fabbrica un idolo o fonde una statua si illude di averne un vantaggio. Quelli che li prendono sul serio saranno umiliati, perché gli idoli sono stati fatti da semplici uomini. Il falegname prende le misure, disegna l’immagine con il gesso, misura il pezzo con il compasso e lo lavora con lo scalpello. Gli dà una forma umana, una bella figura d’uomo, che metterà in casa. […] Usa una parte dell’albero per accendere il fuoco, e una parte per costruire un idolo. Mette la prima in un braciere per riscaldarsi e cuocere il pane; con l’altra invece fa la statua di un dio e la adora con grande rispetto. Con un po’ di legna fa il fuoco; arrostisce la carne, se la mangia ed è sazio. Poi si riscalda e dice: Che bel calduccio! Che bel fuocherello! Poi con il resto si costruisce un dio, il suo idolo, lo adora, si inchina e lo prega così: Tu sei il mio Dio, salvami! Questa gente è troppo stupida per capire cosa sta facendo: hanno gli occhi e l’intelligenza chiusi alla verità. Nessuno di loro riflette, nessuno ha il buon senso o l’intelligenza di dire: Ho bruciato metà di un albero; sulla brace ho cotto il pane e arrostito la carne che mangio. Dell’altra metà ho fatto un idolo inutile. Mi prostro davanti a un pezzo di legno! Il loro idolo non li può salvare, ma essi non riescono a pensare: E’ evidente che quello che ho in mano è un falso dio [Isaia 44; 9-20].

        Ma qui ho già fatto un passo troppo avanti ed occorre distinguere per essere più precisi. Infatti, tornando ai 10 comandamenti, il comandamento è relativo all’immagine di Dio, è di Dio che non si devono fare immagini. Dei santi neppure si parla perché sono del tutto estranei a quel Dio che, lo ripete spesso in vari passi della Bibbia, è geloso e non vuole neppure saperne di altri dei di qualunque rango al suo fianco. Ma qui, quando ho parlato di immagini sacre ho parlato di immagini di santi. Si introduce quindi un ulteriore problema a lato del culto delle immagini, quello del culto dei santi. E’ un qualcosa che ha un senso per il Cristianesimo e, comunque, da dove discende ?

IL CULTO DEI SANTI

        Scrive Karlheinz Deschner nel volume primo (parte prima) della sua monumentale ed eccellente Storia criminale del Cristianesimo:

Paolo, l’apostolo dei gentili, con Giovanni pose le basi del cristianesimo, egli era in guerra ideologica e di potere con gli ebrei e alleato con i gentili convertiti, i cristiani presero a chiamare gli ebrei assassini di profeti, però anche la chiesa avrebbe sterminato profeti cristiani, come anche Elia aveva sterminato 450 sacerdoti di Baal.
Per Giustino gli ebrei avevano meritato la loro sorte, per Eusebio essi erano responsabili delle colpe di tutto il genere umano, alle fine furono accusati di aver ucciso Dio, Tertulliano diceva che gli ebrei non erano destinati al paradiso, nel IV secolo, l’epoca di Costantino e del cristianesimo trionfante, l’ostilità verso gli ebrei divenne sempre più violenta, per opera di Ippolito, Attanasio, Ambrogio e Agostino.
Cipriano, nel terzo secolo, odiava gli ebrei, Efrem (306-373) chiamò gli ebrei assassini di Dio, Crisostomo (354-407) chiamò gli ebrei criminali e assassini, per lui la sinagoga era un bordello e un covo di briganti, per Clemente d’Alessandria, Origene e Crisostomo gli ebrei dovevano essere schiavi dei cristiani, allora ad Antiochia, Roma e Alessandria vi erano importanti comunità ebraiche.
Il sinodo di Elvira del 306 proibì ai cristiani, con aspre pene, di mangiare con gli ebrei e di celebrare con loro matrimoni misti, il sinodo successivo di Antiochia proibì di celebrare assieme a loro la pasqua e di fare visita alle sinagoghe, nel 315 Costantino dichiarò la conversione alla religione ebraica un delitto capitale e proibì  i matrimoni misti con gli ebrei.
Progressivamente gli ebrei furono privati della capacità di fare testamento, allontanati dagli impieghi, dalla corte, dall’esercito e nel 438 furono dichiarati inabili a ricoprire qualsiasi incarico statale, perciò furono costretti a dedicarsi alle attività finanziarie e commerciali.
Sotto i romani, le persecuzioni legali, cioè non spontanee, degli ebrei della diaspora, iniziarono nel IV secolo, agli ebrei fu proibito di possedere  schiavi, le loro sinagoghe erano incendiate e i loro beni espropriati dai cristiani, è accaduto per tutto il medioevo e anche sotto il nazismo, anche i pogrom sono stati spontanei od organizzati dallo stato.
Nella seconda metà del II secolo Marcione fu l’autore della versione più antica del Nuovo Testamento, Marcione sosteneva che il dio del vecchio testamento aveva creato il mondo e quello del nuovo testamento, che era diverso, lo aveva salvato dal peccato.
La chiesa cattolica sorse tra il 160 e il 180, quando fu definito il canone cattolico, in questa evoluzione Paolo era stato in aperto contrasto con i cristiani ebrei, ebioniti e nazareni, che non credevano alla divinità di Cristo.
Tra i cristiani già nel II secolo erano tante le sette in lotta tra loro e con i Giudei, fino all’eliminazione fisica, per la sua propaganda Paolo iniziò a ricorrere alle falsificazioni, come la chiesa cattolica avrebbe continuato nei secoli successivi, Paolo diceva espressamente: “Se grazie alle mie menzogne la verità di Dio ha trionfato, perché io devo essere biasimato?”.
Paolo era anche accusato dagli ebrei cristiani d’imbrogli finanziari, l’amore di Paolo era riservato solo agli elementi del suo partito e a chi condivideva la sua opinione, grazie alla sua predicazione, ad Efeso i cristiani distrussero un patrimonio in libri, questa pratica cristiana sarebbe continuata seguita anche nei secoli successivi.
Cerento sosteneva che Gesù non era nato da una vergine ed era solo un uomo saggio, era la tesi di ebioniti e nazareni, però, a causa delle dispute su Cristo, i figli si divisero dai genitori, d’altronde Cirillo d’Alessandria diceva che il timore reverenziale verso i genitori era inopportuno se portava danno alla fede, in pratica i genitori andavano onorati dai figli solo fino a che non si mettevano contro la chiesa.
[…]
Nelle dispute teologiche la diffamazione diventava più importante di qualunque prova, come accade oggi in politica, anche il veleno era usato per eliminare gli avversari, com’è stato abbondantemente usato nei secoli dalla curia romana e ai vertici degli stati.
Nel II secolo Ignazio di Antiochia sancì che ogni comunità doveva essere presieduta da un vescovo, Ireneo attaccò duramente lo gnosticismo,  ne fu distrutta la sua ricca produzione letteraria, accusò ingiustamente gli gnostici di lussuria, erano uomini che non credevano alla gerarchia religiosa, inseguivano la conoscenza ed erano asceti, lo gnostico Bordesane (154-222), condannato dalla chiesa, fu un pensatore originale, capace di fondere il pensiero cristiano con la filosofia greca.
All’inizio del III secolo Tertulliano elaborò la dottrina della grazia, del battesimo, della penitenza, della cristologia e della trinità, fissando altri principi al protocattolicesimo di Paolo e Giovanni,  lottò per eliminare fisicamente i suoi avversari, naturalmente eretici per lui, alla fine della sua vita però anche lui  aderì all’eresia montanista, i montanisti erano asceti che annunciavano, dopo la rivelazione di Cristo, quella dello spirito.
Cirillo accusava i montanisti di uccidere i bambini e di mangiarli, un’accusa che i romani all’inizio avevano rivolto ai cristiani e che poi il cristianesimo istituzionalizzato rivolse agli ebrei, nel IV secolo Pacomio, fondatore del monachesimo cristiano, odiava gli ebrei come la peste.  Efrem diffamò  il persiano Mani, fondatore del manicheismo, che era contro il servizio militare, la venerazione delle immagini, l’idolatria.
Chi la pensava diversamente dai padri cattolici era trascinato nel fango, nel IV secolo Ilario  denigrava ebrei, pagani ed eretici ariani. Girolamo era contro le eresie ed esaltava la verginità,  come Agostino ricordava i giorni dissoluti della sua giovinezza, comunque definì i cristiani eterodossi bestie da macello.
Origene nello stesso secolo sosteneva che il figlio era subordinato al padre e lo spirito santo al figlio, non credeva al fuoco eterno dell’inferno, per lui incompatibile con la misericordia di Dio, perciò alla fine anche lui fu condannato dalla chiesa trionfante.
Girolamo accusò Rufino di aver usato il denaro per appropriarsi del seggio episcopale romano, questa prassi si ripeté nei secoli successi, la simonia a Roma era sempre condannata e sempre praticata, comunque era chiaro che la lotta alle eresie era pura lotta per il potere.
All’inizio del V secolo il sacerdote Vigilanzio attaccò con veemenza il culto delle reliquie e dei santi, che favorivano le truffe e lo sfruttamento della credulità popolare, il santo Girolamo disse che i libri da lui scritti erano stati vomitati nell’ebbrezza del vino, egli  tentava sempre di far apparire come abietti furfanti i suoi avversari. Girolamo era ben introdotto presso l’aristocrazia romana, falsificò documenti e fece delazioni.
A causa della divisione dei cristiani, ufficialmente per ragioni ideologiche, in realtà per ragioni economiche e di potere,  Giovanni Crisostomo affermava che non si potevano convertire i pagani  con la condotta di vita dei cristiani, che avevano essi stessi bisogno di essere salvati.
Fortunatamente di lì a poco il cristianesimo, nella sua opera d’evangelizzazione sarebbe stato soccorso dalla spada del braccio secolare, accadrà anche con Maometto, comunque anche Nazianzeno denunciava le divisioni e le rivalità che divoravano i cristiani.
Nel 372 d.c. San Basilio diceva che il più grande bestemmiatore era il candidato ideale a ricoprire la carica di vescovo, destinato a sperperare il denaro che doveva essere consegnato ai poveri, comunque anche San Basilio era contro la libertà di pensiero, cioè era contro l’eresia degli altri.
Ai cristiani trionfanti stavano a cuore la distruzione dei luoghi di culto concorrenti e la persecuzione dei seguaci delle altre confessioni religiose, i templi antichi hanno sempre attirato ricchezze, tra loro si facevano concorrenza e di denaro non ce n’era mai abbastanza  per i dirigenti cattolici.
Nel quarto secolo i cristiani erano urbanizzati, entrati nelle istituzioni e civilizzati, mentre i pagani erano più rurali e considerati selvaggi, cioè erano regrediti, perché in epoca ellenica avevano coltivato arti e cultura e abitato anche nelle città.
Prima di Costantino i padri della chiesa predicavano la tolleranza e reclamavano la libertà di culto, invitando a non odiare nessuno, all’inizio anche Tertulliano era a favore della libertà di culto, le sue prese di posizione però erano state solo tatticismo politico verso il potere romano.
Una volta ottenuta la libertà di culto, i cristiani iniziarono le polemiche contro i pagani, come prima avevano fatto contro ebrei ed eretici cristiani, attaccarono l’idolatria perché i miti antichi erano scandalosi, gli dei pagani non erano altro che cani e maiali.
Sottolineavano che le rondini facevano cadere escrementi sulle statue degli dei, per Tertulliano era peccato anche fabbricare statue agli dei, com’era peccato portare i processione gli dei e baciare le loro statue, Agostino affermava che le immagini degli dei non proteggevano gli uomini in battaglia.
Alla metà del II secolo Aristide condannava l’uso egiziano di divinizzare le forze della natura e gli animali, per lui il regno animale e vegetale non significavano nulla, i cristiani non si sentivano naturalisti, ma superiori alla natura.
Taziano criticò costumi e filosofia pagana, diffamando la cultura pagana, del resto tutti i padri della chiesa come Policarpo, Ireneo, Teofilo definivano la filosofia pagana come una frottola menzognera e folle.
Tertulliano riconosceva che gli dei erano una personificazione e divinizzazione delle forze della natura e ne denigrava il carattere osceno, perciò proibì ai cristiani di fabbricare statue e proibì il servizio militare. Alla fine del IIII secolo, Clemente d’Alessandria condannava la mitologia, classica con la divinizzazione degli astri, Attanasio vi vedeva solo immoralità e depravazione sessuale.
Visto che gli uomini con la religione si mettevano in relazione con l’aratura, la semina e la nascita dei frutti della terra, Clemente si chiedeva perché gli uomini abbandonavano il cielo per venerare la terra, lui la terra la calpestava con i piedi e non l’adorava, era inoltre scandalizzato dalla riproduzione della sessualità, voleva sostituire il cosmo dominato dalle forze di natura con un cosmo controllato dalla chiesa.
Quando il cristianesimo divenne lecito, iniziò la persecuzione  del paganesimo, il sinodo di Elvira nel IV secolo colpì l’idolatria e le usanze pagane. Le vittime delle persecuzioni romane dei  cristiani nei primi tre secoli furono poche migliaia, infatti, Origene, morto nel 254, affermava che i martiri cristiani erano un numero piccolo e facile da calcolare
(1).
Una volta assunto il potere, il cattolicesimo fu capace di superare quella cifra, tra i nemici della sua fede, in un solo giorno.  I cristiani furono perseguitati sotto Marco Aurelio (177), sotto Diocleziano, Massimiano e Valeriano, morto Diocleziano, i cristiani si vendicarono trasformando il suo mausoleo di Spalato in una chiesa cristiana.

E’ una introduzione necessaria alla questione dei santi cristiani. La questione della santità non si poneva infatti nelle prime comunità cristiane. Santi erano tutti coloro che avevano abbracciato la fede cristiana. Una testimonianza di ciò la troviamo già in Paolo di Tarso che, iniziava la sua lettera ai cristiani di Efeso nel modo seguente:  1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Èfeso, credenti in Cristo Gesù: 2grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo (Lettera gli Efesini, 1, 1-2). Con il passare del tempo, da un lato i cristiani crescevano in numero, dall’altra alcuni subivano il martirio per esserlo diventati mentre altri rinnegavano la fede sotto la minaccia del martirio. Santi divennero allora i martiri, come elemento di distinzione da coloro che rinnegavano la fede. Santità divenne quindi il segno di riconoscimento dei cristiani che avevano abbracciato la fede con un qualche eroismo e, più che mai evidentemente, coloro che avevano subito il martirio per aver scelto il Cristianesimo. Questo culto dei martiri fu ufficializzato da Papa Damaso I (circa 305-384) al termine delle persecuzioni anticristiane (va notato che il reclamare la purezza della fede di questo papa, arrivista ed adultero, serviva a distogliere l’attenzione ad infinite questioni di fede che, appunto, all’epoca dell’elezione di tale Papa videro eleggere anche un antipapa, Papa Ursino con scontri feroci e molte vittime(2)). Quando tali persecuzioni terminarono, intorno al 311, le Catacombe furono abbandonate ed andarono in rapido deperimento. Fu Damaso che le fece restaurare ed ampliare al fine di mantenere la memoria delle persecuzioni e che fece ricercare e trovare le tombe dei martiri in modo da amplificarne il ricordo. I martiri(3) divennero così i santi e ad essi furono associati coloro che avevano abbracciato la fede cristiana e la avevano mantenuta per tutta la vita. A questa categoria di santi se ne aggiunsero delle altre: le vergini, i dottori della Chiesa, gli educatori, … ed i papi.

        I primi santi, a partire dal III secolo, furono dunque i martiri, la cui storia fu sapientemente manipolata e resa una sorta di testimonianza di sangue (non si capisce bene perché una morte debba essere testimonianza di verità). Questi martiri nei primi secoli del Cristianesimo furono gli unici santi che iniziarono a svolgere il fondamentale ruolo di sostituzione degli dei pagani in alcune loro funzioni, come le guarigioni. Tra i primi vi sono Cosma e Damiano, Zenobio, Zenobia, Michele. Tanto per esemplificare la perfida sostituzione di dei con martiri, anche inventati ed in seguito non mantenuti, si deve ricordare che: Apollo Efebo, dio anche della medicina, divenne il taumaturgo Sant’Efebo; Dioniso Eleuterio (salvatore), divenne Sant’Eleuterio; Giove Nicoforo divenne San Niceforo; Venere Afrodite divenne santa Fredisia; Cerere Flava divenne Santa Flava; Proserpina divenne Santa Filomena; … Anche alcune date furono santificate cosicché le idi divennero Santa Ida. Allo stesso modo alcuni modi di dire come il romano Perpetua felicitas divennero Santa Perpetua e Santa Felicita. Insomma un vero e completo saccheggio che portò alla sostituzione di divinità protettrici pagane con santi cristiani che avevano stesse caratteristiche e funzioni con medesimi miracoli. La cosa è certificata dallo stesso Agostino che nel De Civitate Dei (22, 10) scriveva: Così i miracoli degli dei sono stati sconfitti dai miracoli dei martiri.

        Il culto di questi santi martiri divenne un’imitazione del culto greco (poi romano) degli eroi, culto che, a sua volta, si rifaceva a quello dei morti. Il luogo dove si svolgevano le cerimonie era la tomba vera o presunta del morto e poi dell’eroe. La tomba divenne sempre più ricca, piena di adorni, di offerte, di fiori e pian piano, in alcuni casi, divenne un tempio che disponeva di un altare per i sacrifici. I riti e le cerimonie avevano fissate periodicità. Tutto questo fu ripreso, a partire dal II secolo, dalla Chiesa che costruì, a partire dal IV secolo, templi sempre più grandi e basiliche per i santi martiri che, come accennato, avevano storie costruite ad imitazione dei personaggi che dovevano andare a sostituire. E se non ve ne erano di adeguate, come non potevano perché la gran parte di loro era assolutamente anonima, si inventavano di sana pianta con agiografie fantastiche. I doni alla tomba e poi al tempio acquisirono via via grande importanza tanto che i martiri accumularono fortune. Agli inizi la Chiesa distribuiva tali fortune tra i poveri ma a poco a poco decise che restassero di proprietà dei martiri. Insieme a fiori, a cibi, ad animali, ad oro e pietre preziose, si aggiunsero, nei luoghi in cui si veneravano i martiri, le medesime offerte, fabbricate dagli stessi artigiani, che erano fatte agli dei pagani: lampade votive, unguenti, lumini, incenso, … Ed ancora ad imitazione dei riti pagani e degli antichi costumi funebri, si iniziarono a festeggiare alcune ricorrenze, anche con sfrenate gozzoviglie e banchetti fino a notte fonda in onore dei martiri. Con l’istituzionalizzazione delle feste, ad esse si affiancarono fiere e mercati con la partecipazione sempre più massiccia di affaristi d’ogni tipo, non esclusi ladri, prostitute e delinquenti in genere. Ci si accoppiava liberamente, si ammazzava, ci si ubriacava, ci si abbandonava ad oscene orge. Ad evitare possibili confusioni (?) il Sinodo di Elvira (l’attuale Granada), tenutosi tra il 300 ed il 313, proibì alle donne cristiane di pernottare nei cimiteri oltre a vietare il matrimonio con ebrei. Quelle feste in onore dei martiri erano diventate qualcosa di estremamente malfamato se San Gerolamo (347-420) esortava le madri a non mandarvi le figlie o ad accompagnarle sorvegliandole strettamente e se il vescovo di Cirro, Maris, testimoniava della verginità di una fanciulla nonostante avesse partecipato a varie feste dei martiri. Ma già siamo in epoca di agapete, di quella casta convivenza o amore spirituale tra fanciulle che avevano deciso di dedicare la propria verginità a Dio ed uomini di Chiesa che avevano fatto voto di castità, in cui le peggiori nefandezze, aberrazioni e degenerazioni venivano compiute in nome di Dio e per di più autorizzati dallo stesso San Paolo che così aveva sostenuto nella Prima lettera  ai Corinzi (9, 4-5): Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro ? Lo stesso San Gerolamo denunciò (Lettera ad Eustochio) le vergogne dell’agapete(4) e non solo:

Oh vergogna, oh infamia! Cosa orrida, ma vera!
Donde viene alla Chiesa questa peste delle agapete?
Donde queste mogli senza marito?
E donde in fine questa nuova specie di puttaneggio?

        Ma prima di San Girolamo già San Cipriano (210-258) si era scagliato contro il vergognoso concubinaggio, iniziato nel I secolo, che spesso vedeva delle bambine affidate a vecchi porci, con l’impossibilità di verificare che la verginità fosse mantenuta (sic!) almeno in una parte del corpo:

E non bisogna credere che può essere difesa a motivo del fatto che può essere esaminata per vedere se è, o meno, una vergine, dal momento che la mano e l’occhio delle ostetriche sono spesso ingannate, così che, perfino quando una donna sia trovata incorrotta in quella parte per cui è una donna, ella tuttavia può aver peccato con altre parti del corpo che possono essere corrotte senza che possano essere ispezionate. Già il semplice fatto dello stare insieme, il solo fatto di abbracciarsi, il sussurrarsi e baciarsi e l’indecoroso e folle sonno di due corpi che giacciono insieme, quanta vergogna e accusa tutto questo rivela? Se un marito tornando a casa trova la sua sposa a giacere con un altro, non cade in collera e rabbia fino a che, spinto dalla gelosia, giunge a impugnare la spada? Cosa dire allora di Cristo Nostro Signore, nostro giudice, che vede giacere con un altro uomo la sua vergine, votata a lui e alla sua santità? Quanto potrà incollerirsi, e quali pene potrà minacciare per una impura copulazione di tal sorta! Perché è per lui, per la sua parola spirituale, per il giorno del Giudizio che verrà, che noi dobbiamo lavorare e impegnarci in ogni modo, affinché a ognuno dei nostri fratelli sia permesso di evitarlo. E così, sebbene sia necessario che tutti mantengano la disciplina, in qual misura è più necessario che lo facciano officianti e diaconi, che dovrebbero offrire un esempio e un modello di carattere e contegno? Come possono essi essere presi quali esempi di integrità e continenza, se il vero insegnamento di corruzione e vizio proviene proprio da loro? [San Cipriano, Epistulae – A Pomponio, riguardo a certe vergini, LXI.4]

        A questo punto era ridotta la Chiesa, già ai suoi inizi, e questi diffusi costumi si estendevano particolarmente nelle feste per i santi martiri.

        Ai martiri, come accennato, si aggiunsero in seguito altre tipologie di santi che la Chiesa riconosceva come venerandi. Ai santi furono associate le reliquie. E, ancora, si operò in modo da sovrapporre festività cristiane su antiche festività pagane, tutte di origine contadina o astronomica o meteorologica, come vedremo.

        Con l’editto di Milano o Editto di Costantino (313) che riconosceva il Cristianesimo come religione di Roma, i martiri finirono ma la Chiesa non finì di aver bisogno di santi. A partire dalla fine del IV secolo il problema di chi santificare fu risolto facilmente assegnando la santità a dei monaci che si erano distinti per particolari virtù ascetiche ma anche a dei vescovi. Ma da qui ad un riconoscimento ufficiale, anche per la gran confusione regnante nelle gerarchie, si dovette attendere la canonizzazione di Ulrico di Augusta nel 993 da parte di papa Giovanni XV. Dopo questa santificazione d’autorità occorrerà aspettare il XII secolo per avere la regola secondo la quale per creare un santo occorreva il permesso papale. Il culto di santi comunemente accettati in precedenza, come ad esempio i Dottori della Chiesa e le sempiterne vergini (sulle quali, e sulla misoginia associata a partire da San Paolo, dirò più oltre), fu autorizzato in epoche posteriori. L’ammissione di santi scatenò ogni corporativismo. Ognuno voleva un santo che fosse patrono della professione che esercitava: e così si ebbero facili santi protettori dei falegnami (San Giuseppe), santi un poco più difficili da trovare per i pittori, altri per i calzolai, … I birrai ebbero come patrono Pietro di Verona (circa 1205-1252) canonizzato da Papa Innocenzo IV nel 1253, i Promessi Sposi ebbero Antonio di Padova, canonizzato da Papa Gregorio IX nel 1232, gli artificieri ebbero Barbara (III secolo) che anticamente era considerata protettrice contro i fulmini (perché suo padre, dopo averla decapitata, fu incenerito da un fulmine), fino ad esaudire anche le prostitute che ebbero Maria Maddalena(5) come loro protettrice. Il ricordo di tali santi avveniva con processioni del tutto simili a quelle odierne ed a quelle di secoli prima.

FESTIVITA’ DA PAGANE IN CRISTIANE

        Naturalmente per riuscire a penetrare nei sentimenti popolari più profondi in modo da prendere il posto di altre religioni serviva sostituire la venerazione [l’ipocrisia dei cattolici è infinita. Si sono inventati questa parola per non utilizzare quella più pericolosa di adorazione] di alcune divinità pagane con dei santi cristiani appositamente pensati. Ma ciò non bastava perché, nel corso dell’anno vi erano molte feste dal sapore pagano che dovevano essere necessariamente rimpiazzate. Tali feste erano sempre molto attese perché erano giorni di riposo e di gozzoviglie e la Chiesa non poteva certo pensare di ottenere consenso semplicemente cancellandole. Si trattava, anche qui, di riprendere tali feste una ad una e di cristianizzarle. Occorreva innanzitutto collocare alcuni capisaldi del Cristianesimo in giorni dell’anno fondamentali in altre religioni e quindi si cominciò a collocare la nascita di Cristo in luogo opportuno. Riporto gli sviluppi di alcune di queste trasformazioni dal pagano al cristiano,  per rendere ben conto dell’operazione di penetrazione fatta dal Cristianesimo:

IL NATALE

        E’ una festa pagana legata al solstizio invernale, godeva di grande importanza in tutto l’Impero Romano. Ricordiamo che il solstizio invernale è il giorno più corto dell’anno, e cade intorno al 21 dicembre. In questo giorno, tra l’altro, il sole tocca il punto più basso rispetto all’orizzonte. Il 25 dicembre la durata del giorno rispetto alla notte ricomincia a crescere in modo evidente (in base alle osservazioni empiriche fatte dagli antichi) come anche la sua altezza rispetto all’orizzonte.
Ovvio che per le popolazioni antiche tale evento astronomico fosse visto come un rinnovamento della speranza, una festa della luce, una possibilità di sopravvivenza, pertanto fu mitizzato come nascita del Dio-Sole, partorito dalla Dea-Vergine (personificazione della notte). Quasi tutti i popoli avevano un dio nato in quel giorno: Horus, figlio della vergine Iside, in Egitto, Thammuz figlio della vergine Mylitta in Babilonia, Mithra in Persia, Quetzalcoatl nell’antico Messico, Bacab nello Yucatan, Huitzilopochtli tra gli Atzechi, Freyr tra gli Scandinavi, Zeus, Bacco ed Ercole in Grecia, Ati in Frigia, Adone in Siria e così via. Si osservi che molte di queste divinità erano nate da una vergine in una grotta e avevano in comune con Cristo la discesa agli inferi dopo la morte e la risurrezione dopo tre giorni, nei giorni dell’equinozio di primavera. In particolare, il mito di Mithra (divinità solare indo-iranica risalente a circa 3.400 anni fa, il cui culto era diffuso nella Roma pagana) ha moltissime analogie con Cristo: era nato in una grotta da una vergine il 25 dicembre. Gli viene affidato dal padre il compito di contrastare Ahriman, spirito demoniaco che voleva distruggere il mondo. Era perciò detto il Salvatore, la Luce e il Verbo.  Era resuscitato dopo tre giorni. Mithra a 33 anni, compiuta la sua missione, partecipa con i suoi dodici seguaci ad un banchetto; dopo aver consumato il pasto come atto sacrificale, il dio sale al cielo su di un carro di luce per riunirsi al padre. Il giorno dell’ Apocalisse Mithra sarebbe tornato sulla terra per separare i giusti dai peccatori: ai primi avrebbe offerto la bevanda dell’immortalità, resuscitando anche i loro corpi fisici; gli altri sarebbero stati consumati dalle fiamme. Il culto di Mithra contemplava anche il battesimo.
Altro esempio di Vergine madre di un dio è quello di Iside, culto che risale almeno al 1400 a.C.. Nella figura seguente è riportato un disegno del II secolo d.C che si trova nei sotterranei di Roma dove vi è una rappresentazione di Horus allattato dalla madre vergine Iside risalente al II secolo d.C. (vedi figura). La vergine Iside tiene in braccio Horus con una medesima iconografie che sarà della Vergine Maria con il bambino. Il  padre divino di Horus era Osiride, con cui si confondeva (“Io e mio Padre siamo Uno”), mentre il padre terreno era Seb (Giuseppe). L’angelo Thot annuncia ad Iside che concepirà un figlio verginalmente. Horus nasce in una grotta, annunciato da una stella d’oriente, viene adorato da pastori e da tre uomini saggi che gli offrono doni. A 12 anni insegna nel tempio e poi scompare fino ai 30 anni. Horus viene poi battezzato sulle rive di un fiume da Anup (Giovanni) il battista, il quale in seguito verrà decapitato. E’ stato sepolto e poi resuscitato, ha ridato vita ad un morto (El Azar us = Lazzaro). Combatté 40 giorni nel deserto contro Set (Satana), ha compiuto numerosi miracoli e camminato sulle acque. Con Iside ed Osiride, Horus costituiva la trinità egizia. A Luxor, su edifici risalenti al 1500 a.C. si possono vedere immagini relative all’ Annunciazione e all’ Immacolata Concezione di Iside.

        La tradizione del festeggiare il giorno in cui il Sole riprendeva vita giunse fino a Roma attraverso il culto di Mithra ed entrò nelle abitudini dei romani che chiamarono il 25 dicembre dies natalis solis invicti. La festività fu fissata nel 274 dall’ Imperatore Aureliano per il giorno 25 dicembre che era  anche il giorno successivo alla conclusione delle feste romane dei Saturnalia, le feste che dal 17 al 23 dicembre erano riservate a Saturno, dio dell’agricoltura, durante le quali la statua del dio veniva liberata dalle fasciature che la celavano per il resto dell’anno, si sospendevano le attività pubbliche, erano bandite le differenze sociali, si banchettava e si poteva giocare ai dadi tutti insieme, servi e padroni.
Quando il cristianesimo iniziò a diffondersi, dovette venire a patti con queste tradizioni molto radicate, per cui la Chiesa tentò di “appropriarsi” della festa del Natale, proponendo Gesù Cristo come “vero sole divino” che nasce di notte da una vergine. Questo accomodamento contribuì in modo determinante a modificare la teologia cristiana nel senso di una progressiva “divinizzazione” di Gesù. Fu poi Costantino a ufficializzare il giorno 25 dicembre come “nascita di Cristo”, all’inizio in aggiunta, e non in sostituzione, del natale di Mithra. Volendo cristianizzare il paganesimo, alla fine si giunse al risultato opposto, ovvero di paganizzare il cristianesimo.

L’AVVENTO

        Nella liturgia cristiana segna l’inizio dell’anno liturgico, e comprende le quattro domeniche prima del Natale. Nella Roma precristiana adventussignificava la venuta, una volta all’anno, della divinità nel suo tempio. In seguito, assunse anche il significato di visita dell’imperatore o della sua festa. All’inizio il cristianesimo adottò questo termine per designare l’incarnazione di Cristo, Adventus Domini. L’Avvento come lo conosciamo oggi venne tardi, fra il VI e il VII secolo. Nel corso dei secoli si sono sviluppati due temi fondamentali. Il primo è la giubilante preparazione alla festa della natività; il secondo è la preparazione al nuovo avvento di Cristo, in cui egli giudicherà il mondo. Nel Medioevo, durante l’Avvento, erano vietati i rapporti coniugali e i matrimoni, per sottolineare il carattere penitenziale della festa in rapporto al tema della venuta di Cristo. Simbolo dell’Avvento è una corona e quattro candele, le quali si accendono una ogni domenica.

LA PASQUA

        In questo giorno i cristiani festeggiano la “resurrezione” di Gesù. La Pasqua cade la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Si tratta quindi di una festività legata all’equinozio di primavera.
Già in Grecia si festeggiava la Pasqua con il nome di Estia e tale uso si diffuse nell’area romana in tempi successivi in onore di Vesta. Tutti i popoli pagani dell’Impero Romano, e non solo, conoscevano già questa festa, che non è altro che una festa primaverile: gli alberi germogliano, nei prati sbocciano i primi fiorellini e quindi la natura, dopo il freddo inverno, “risorge”. Le celebrazioni erano probabilmente al centro di processioni e rituali di fertilità volti a sacralizzare e celebrare la vita. Tra gli elementi simbolici di questi rituali se ne annoverano alcuni di cui si approprierà successivamente il culto cristiano: l’uovo, simbolo di fertilità sacro già per i greci, che veniva consumato e dipinto in vario modo.
La Pasqua, inoltre, era anche una festività originaria della Frigia in onore di Attis, il figlio amante di Cibele rappresentante l’anno che muore e risorge. I sacerdoti frigi il 24 marzo, giorno del sangue, si eviravano per rinnovare il sacrificio di Attis.
L’idea di resurrezione della natura diventò resurrezione di Cristo, e anche questo mito, in qualche modo, fu “incorporato” nella nuova religione che andava diffondendosi in antitesi al paganesimo ma, al tempo stesso, paradossalmente, non c’è tradizione pagana che non sia stata “rubata” e fatta propria dalla Chiesa cristiana dei primi secoli.

LE CANDELORA

        I romani, per le calende di febbraio, illuminavano la città per tutta la notte con fiaccole e candele, in onore della dea Giunone Februata, madre di Marte, dio della guerra, e imploravano dal figlio la vittoria contro i nemici (ed il nome candelora deriva proprio dalle candele accese). La festività pagana era anche dedicata a Cerere ed ai Lupercali con significato di purificazione e rinnovamento, si celebrava infatti il ritorno della luce dopo i mesi del buio, l’inizio del risveglio della natura dopo il sonno dell’inverno. Fu papa Gelasio I, fra il 492 e il 496, a cristianizzare la festa, che prese il nome di «Quadragesima de Ephifanìa», e la dedicò alla purificazione di Maria Vergine dopo il parto (Maria, come tutte le donne ebree, dopo aver partorito, si sottopose al prescritto periodo di isolamento, una sorta di quarantena dettata da precauzioni igieniche sia pure codificate sottoforma di pratica religiosa. Dopo questa purificazione Maria poté presentare Gesù al tempio). Nel VII secolo, Papa Sergio I istituzionalizzò la festa per il giorno 2 febbraio.

OGNISSANTI

        I Romani avevano la festa della conclusione dell’epoca attiva del raccolto, una specie di festa del termine della stagione agricola, come ringraziamento dei doni ricevuti dalla terra.  Veniva festeggiata in modo variabile, secondo i luoghi, in giorni corrispondenti alla fine di ottobre e all’inizio di novembre, per poi acquisire una data comune a tutti che si identificò con la notte di transizione tra ottobre e novembre. Al significato agricolo della festa si aggiunse quello  di festa dell’aldilà). In questa realtà di festa pagana si inserì con Papa Bonifacio IV il desiderio della Chiesa cattolica di ricondurre ad un significato religioso cattolico tutti i residui di paganesimo ancora esistenti. Non potendo proibire le manifestazioni pagane, perché la privazione di un’occasione di festa avrebbe scatenato delle violente reazioni tra la gente, il Papa creò il giorno di Tutti i Santi. Questa festa affiancò ai festeggiamenti pagani la ricorrenza liturgica. Duecento anni più tardi la chiesa non era ancora riuscita a liberarsi della festa pagana, allora Papa Gregorio III fece coincidere la festività di Ognissanti (All Hallows = Tutti i Santi in inglese ed eve = vigilia, quindi Halloween = All Hallows + eve, cioè Halloween significa vigilia di Ognissanti) con il giorno in cui veniva effettuata la festa pagana. In questo modo a partire dal 1500 le due festività erano diventate una cosa unica ed il significato pagano originario era quasi completamente dimenticato.

ASSUNZIONE

        Il 15 agosto è la festa cattolica che celebrava la verginità di Maria (l’assunzione di Maria in cielo è una festa inventata da Pio XII nel 1950 e sovrapposta a questa della verginità. Secondo alcuni Vangeli apocrifi il mese di agosto segnerebbe lo stato speciale di morte di Maria). Nel 18 a.C. l’imperatore romano Ottaviano, proclamato Augusto dal senato romano, dichiarò che tutto il mese di agosto sarebbe stato festivo e dedicato alle Feriae Augusti, una serie di celebrazioni solenni, la più importante delle quali cadeva il 13 ed era dedicata a Diana, dea patrona del legno, delle fasi della luna e della maternità. La festa si celebrava nel tempio dedicato alla dea sull’Aventino ed era una delle poche occasioni in cui i romani di ogni classe e censo, padroni e schiavi, si mescolavano liberamente. Oltre che a Diana, le Feriae erano un’occasione per celebrare Vertumno, dio delle stagioni e della maturazione dei raccolti; Conso, la cui festa cadeva il 21 agosto, dio dei campi e Opi dea della fertilità, la cui festa, Opiconsiva, cadeva il 25 del mese (altre feste in agosto erano: il giorno 12 dedicato ad “Ercole Invitto”; il 17 veniva ricordato il dio Portumnus; il 23 si svolgevano i “Volcanalia”, in onore di Vulcano, dio del fuoco; il 27 era la volta dei “Volturnalia”, festa dedicata al dio fluviale Volturnus). In breve, le Feriae erano una celebrazione della fertilità e della maternità; come molte altre feste romane erano di derivazione orientale e in particolare riecheggiavano quelle in onore di Atagartis, dea madre sira, patrona della fertilità e del lavoro dei campi. Con l’avvento del cristianesimo la gente attribuì queste medesime prerogative alla Vergine Maria, la cui solennità cominciò ad essere celebrata in luogo di quella di Diana.

L’ EPIFANIA

        Dal greco epiphaneia, vuol dire “manifestazione, apparizione”. Il 6 gennaio i cristiani festeggiano la visita dei re magi alla grotta di Betlemme, ma nell’antichità questo giorno corrispondeva alla festa paleoegizia del solstizio invernale. Il 6 gennaio si hanno altre feste pagane: Festa di Iside, Festa di Holla, di Frigg e di Fulla, Festa di Berchta, Battesimo di Osiride, Festa dei miracoli.


SAN GIOVANNI

        Il 24 giugno la Chiesa festeggia la natività di san Giovanni Battista in corrispondenza delle feste pagane del solstizio d’ estate (fra il 19 e il 25 giugno) che erano dedicate a Giano divinità della medicina dei semplici e della profezia.

RIPOSO LA DOMENICA

        L’idea del riposo domenicale risale alla legge del 7 marzo del anno 321, quando l’imperatore Costantino impose l’obbligo civile di riposo nel “venerabile giorno del sole”, il dominus. Questo spiega la differenziazione con i voleri di Dio per il sabato espressi nella Bibbia.

ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

        La festa cattolica di Santo Stefano era la Festa di Artemide e la Notte del Popolo Fatato.

CAPODANNO

        Quando si stabilì che l’anno iniziava il 1° gennaio, la romana festa di Giano è diventata o la festività della Madre di Dio o la Circoncisione di Gesù. Occorre osservare che Maria fu proclamata “Madre di Dio” solo nel 431, ben 4 secoli dopo la predicazione di Gesù. Non è un caso che ciò sia avvenuto proprio ad Efeso, città che aveva un forte attaccamento al culto di una madonna (in questo caso si trattava di Artemide o Diana). Si tratta evidentemente di un mito pagano introdotto nel Cristianesimo.

MESE DI MAGGIO

        Secondo la Chiesa cattolica è il “mese della madonna”. A Roma il mese di maggio era dedicato  alla Dea Maia e sempre a lei  erano dedicate anche le rose.

SAN GIOVENALE

        Chi era costui ? Questo santo non è mai esistito, si tratta di una denominazione “cristianizzata” con cui si rinominavano i templi di Giove trasformati in chiese.

        Si potrebbe continuare ma credo si sia capito bene. Va comunque detto che vi furono feste che la Chiesa non riuscì ad inglobare per il loro carattere licenzioso a priori. Tra queste il Carnevale e le feste Saturnalia. La parola Carnevale deriva da Carni Levanem che in latino significa “sollievo della carne”. In questo periodo la gente si sfogava dalla “repressione” subita nel resto dell’ anno, con feste, banchetti e sfilate. Tutto il mese di febbraio era un periodo di passaggio, che segnava il tramonto dell’ anno vecchio ed il rinnovamento del Cosmo. Periodo di caos, vino e gioia, seguito anche da riti di purificazione dedicati ai morti. A Roma si svolgevano delle corse rituali con carri trainati da cavalli, queste corse erano in onore al dio Marte, protettore della città. L’ uso delle maschere esisteva già, alcuni dicono che quest’ abitudine era per fare in modo che i morti (che tornavano sulla terra) non si confondessero fra i vivi; altri invece, dicono che l’utilizzo delle maschere permetteva l’ abbandono all’ euforia senza essere riconosciuti. I saturnalia, come già accennato, erano un ciclo di festività della religione romana, dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno e alla mitica età dell’oro; si svolgevano dal 17 al 23 dicembre (periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano). I saturnalia avevano inizio con grandi banchetti, sacrifici, in un crescendo che poteva anche assumere talvolta caratteri orgiastici; i partecipanti usavano scambiarsi l’augurio io saturnalia, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti strenne. Durante questi festeggiamenti era sovvertito l’ordine sociale: gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e come questi potevano comportarsi; veniva eletto, tramite estrazione a sorte, un princeps – una sorta di caricatura della classe nobile – a cui veniva assegnato ogni potere. In realtà la connotazione religiosa della festa prevaleva su quella sociale e di “classe”. Il “princeps” era in genere vestito con una buffa maschera e colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso (colore degli dèi). Era la personificazione di una divinità infera, da identificare di volta in volta con Saturno o Plutone, preposta alla custodia delle anime dei defunti, ma anche protettrice delle campagne e dei raccolti. In epoca romana si credeva che tali divinità, uscite dalle profondità del suolo, vagassero in corteo per tutto il periodo invernale, quando cioè la terra riposava ed era incolta a causa delle condizioni atmosferiche. Dovevano quindi essere placate con l’offerta di doni e di feste in loro onore nonché indotte a ritornare nell’aldilà, dove avrebbero favorito i raccolti della stagione estiva. Si trattava insomma di una sorta di lunga “sfilata di carnevale” (perché a tale festa sono riconducibili i saturnalia e tutti i riti agrari successivi). L’equivalente greco del dio romano Saturno era Cronos. Esisteva una variante al mito che vedeva in Saturno il dio di una mitica Età dell’Oro. Scacciato da Giove si diceva avesse spostato il suo regno in un luogo che, Greci prima e Romani poi, chiamavano “Isole Beate”. E’ evidente che le festività cristiane di avvento non potevano in alcun modo sovrapporti a queste.

L’OSSESSIONE DEL SESSO

        Per cogliere nella sua importanza questa questione, che è legata alla santità delle vergini, occorre partire da San Paolo, il vero costruttore del Cristianesimo, colui che fa dire che la Chiesa non è cristiana ma paolina. Occorre cioè capire la concezione della donna nel Cristianesimo primitivo e come risultarono modificate da San Paolo. Inoltre è utile un cenno a come era intesa la sessualità anche da altre religioni, al di fuori del Cristianesimo.

        Anche prima del Cristianesimo vi furono nemici, di varia estrazione ma sempre e solo religiosa, della sessualità e della donna, o meglio, della Donna. Ci si è chiesti come sia stato possibile che si sia generato un tale stravolgimento, come l’uomo abbia potuto rinunciare ad un qualcosa che è unanimemente riconosciuto come un piacere. La risposta è una rinuncia offerta alla divinità in cambio di altre cose che in determinati momenti risultano essere molto più importanti, la salute dei propri cari, la scomparsa di una persona cara, il proprio stato di lavoro e di salute, …. Ed anche per esperienze quotidiane che riguardano ciascuno di noi, questa offerta di rinuncia tanto più è grande, quanto più, nella mente della persona sofferente, ha probabilità di essere accettata dalla divinità. Ed il sesso, la propria vita sessuale, è qualcosa che viene subito dopo le priorità suddette ed è il sacrificio più grande che si può offrire in cambio di esse. E così, piano piano, si iniziò a rinunciare al sesso in cambio di un buon raccolto, di una buona pesca o caccia, dello scongiurare la siccità, una inondazione, del riuscire a pagare un debito, di scongiurare la pestilenza, …. Oggi si usa ancora fare i voti per ottenere qualcosa in cambio. E tutto sempre e solo in ambito religioso. Come osserva Deschner [3] tutto ciò era anche “per egoismo e avidità pura e semplice, per soggiogare questo o quello, per evitare qualcosa di indesiderabile e per strappare concessioni in cambio di altre prestazioni; fu il trionfo dell’angoscia, dell’avidità, dell’invidia; fu l’espressione di quel vecchio principio egoistico … definito dai romani do ut des, e che ancora adesso determina le azioni del devoto ogni volta che, nel sentimento di soddisfazione religiosa o di autogiustificazione, compie un voto, affronta un pellegrinaggio, digiuna, si macera o, come sempre, fa penitenza al fine di ottenere di più: successo, salute, vita eterna”. E Deschner [3] continua affermando che da questi scambi nasce il fenomeno del sacerdozio, del mediatore che utilizzava per sé le angosce degli altri, addirittura aumentandole e moltiplicandole per garantire la propria esistenza che gradualmente diventava insostituibile per i legami anche di sudditanza che sapeva creare con coloro che a lui si erano affidati. Ed a catena con meccanismi di questo tipo può essere nati concetti come peccato, corruzione, dannazione.

CONCEZIONI EBRAICO ISRAELITE

        La prima religione influente, anche sul Cristianesimo, che dedicò moltissima attenzione al sesso ed alla donna fu il giudaismo quando, dopo l’esilio, diventò monoteista. Al giudaismo si possono associare, in un’area geografica vicina, le religioni misteriche ellenistiche. Sulle posizioni di tali religioni darò solo un cenno e farò poche citazioni, riservandomi di approfondire il tema ed eventualmente richiamare qualcosa quando parlerò degli stessi argomenti nel Cristianesimo.

        Alle origini del semitismo non vi sono Abramo, Isacco e Giacobbe ma uno degli dei, il più importante, che tutti costoro veneravano, El (il vero dio). Questo dio aveva una qualificazione indubitabile, il toro, legata alla sua potenza sessuale ed era fisicamente un superdotato, tanto da affascinare particolarmente le donne. Con l’evoluzione della religione semitica, El venne identificato in Jahve. Insieme ad El, nell’antichità del semitismo si adoravano anche alcune particolari pietre (si rifletta, in altre situazioni, sul significato sessuale dei menhir) che erano associate alla vita sessuale ed in particolare alla fecondità rappresentando simboli fallici, simboli della grandezza di una pietra tombale situati ai confini delle singole proprietà  (o come massebe chiamate in ebraico massebah). Nella Bibbia vi sono richiami a queste pietre (Giacobbe è benedetto da Dio mentre dorme con quattro – sic! – donne su una di queste pietre, che egli chiama appunto casa di Dio cioè bet-el, dove si noterà l’El). Altri passi biblici raccontano di queste pietre (anche unte con olio) con proprietà speciali rapportabili al seme e quindi alla fecondità. Veri culti fallici erano noti e praticati dagli israeliti che giuravano in nome del fallo. Nella Bibbia Isaia menziona una divinità domestica rapportabile a Priapo, Ezechiele racconta di statue d’oro e d’argento costruite in modo che le donne commettessero con esse atti di libidine, Geremia di israeliti che si rivolgono ad una pietra dicendo ad essa: “Tu ci hai generati“. Solo nel 620, sotto il regno di Giosia, questi simboli, che qualcuno dice fossero conservati anche nell’arca dell’Alleanza, furono banditi, distrutti e ritenuti pagani. Insieme ad essi anche altri simboli, sempre attinenti al sesso, come alberi nei loro rami e nicchie di foglie, furono banditi dal culto. Fu quando irruppe Javhe, il sostituto di El. Questo dio di origine demoniaca, era privo di qualunque tratto femmineo e di qualunque sacerdotessa. In Israele eliminò tutti gli dei concorrenti, di origine agraria o cosmica, e si fece venerare senza idolatrie. Con questo Dio gli Israeliti (fusi con i loro simili Ebrei) intrapresero feroci e cruente guerre di conquista che avevano anche il fine di abbattere dei, altari e miti delle popolazioni confinanti (furono massacrati Moabiti, Ammoniti, Filistei, Tsikal, Midianiti, Aramei, Cananei, chiamati anche Amoriti o Ittiti). I Cananei, con il loro dio Baal, erano considerati i più corrotti perché, con i loro costumi sessualmente liberi e la loro religiosità piena di entusiasmanti festività e voluttuose attrattive, avevano corrotto il popolo di Israele che si era lasciato andare alla vita lasciva che i cananei praticavano (anche Salomone si lasciò corrompere). Javhe intervenne contro questa deriva ordinando di non avere rapporti con coloro che fornicano con le loro divinità. Ezechiele denuncia le lussurie delle figlie di Israele con gli Assiri, i Babilonesi, gli Egizi i cui membri d’asino e la cui eiaculazione è la polluzione degli stalloni. E Geremia aggiungeva che anche i figli di Israele erano diventati adulteri, ospiti nella dimora della puttana. Stalloni ben pasciuti sono diventati libidinosi e nitriscono ognuno verso l’altrui femmina. Assistiamo ad una sorta di difesa della tribù rispetto a suoi rapporti con altre culture. Il sesso è qui un qualcosa che deve esaurirsi nella tribù altrimenti è peccato, lussuria, qualcosa da stroncare. Ed anche qui sarà Javhe a rimettere le cose a posto ed a riportare le persone deviate all’ortodossia di Israele. E’ da notare che la Bibbia è un libro estremamente violento e pornografico dove si raccontano cose che con estrema difficoltà si troverebbero in letteratura specializzata sia dell’orrore che porno. Tanto per esemplificare storicamente, la Regola di San Benedetto vietava ai monaci la lettura serale (sic!) dell’Eptateuco (5 Libri di Mosè, il Libro di Giosuè, il Libro dei Giudici).

        Per altri versi la Bibbia è una continua condanna dei rapporti sessuali e comincia proprio con quello di Adamo ed Eva che danno inizio alla catastrofe umanitaria. L’adulterio è da estirpare, nelle prime formulazioni delle cose da non fare, l’adulterio precedeva l’omicidio ed era punito con la morte. Insieme all’adulterio la condanna andava alle relazioni incestuose, all’omosessualità, ai rapporti con animali (con l’esilarante pena di morte anche per la doppiamente malcapitata pecora). Oltre a ciò i rapporti sessuali erano fatti oggetto di particolari attenzione per ogni cosa che girasse intorno a loro come la generazione, le mestruazioni ed il parto che rendeva impure come lebbrose (anche la Vergine Maria dovette purificarsi per 40 giorni, come accennato(6)). Lo stesso rapporto sessuale, anche se finalizzato alla procreazione, rendeva impuri fino a sera ed era necessario che i due si lavassero con acqua. Anche un individuale spargimento di seme rendeva impuri per l’intera giornata ed occorreva purificarsi mediante un sacrificio ed espiando il peccato. Se una donna ed un uomo litigavano brutalmente vi era una sola regola da rispettare: la donna non poteva afferrare il sesso maschile per attaccare o difendersi, in tal caso le sarebbe stata tagliata la mano (parola del Signore).

        Quanto dico è evidente premessa al Cristianesimo che nasce imbevuto di questa cultura. La Bibbia individua subito, nella Genesi, il grado di sottomissione della donna all’uomo e la colpa per tutti i mali dell’umanità. La donna incita al peccato, l’uomo lo subisce. La prima è condannata per l’eternità, il secondo è perdonato. E’ il fallico serpente che attira la donna ma la colpa è della donna e non del fallo di Adamo. E’ infatti la donna che partorirà con dolore e non solo, perché Dio la condanna anche ad essere schiava dell’uomo (Egli sarà il tuo signore). Nel Levitico, la donna è equiparata gli animali domestici ed al tempo di Gesù le donne erano in questa condizione paragonabile a quella dei bambini e degli schiavi (si rifletta su due cose: quanto sia stato grande l’insegnamento di Gesù, contrariamente a quello di Paolo, come vedremo, che tratta tutte le donne alla pari e quanto Maria fosse di famiglia importante per avere ben diversa considerazione). Ancora oggi una preghiera ebraica (degli ebrei ortodossi) recita così: Ti ringrazio, o Signore, di non avermi creato né miscredente, … né servo, … né donna. Ogni cerimonia religiosa vedeva la donna messa da una parte, rigorosamente separata dagli uomini. Anche gli animali del sacrificio dovevano essere maschi. Il disprezzo della donna era anche nella vita quotidiana con tutta una serie di divieti come il parlare con lei più a lungo del dovuto, seguire i suoi consigli, … Non erano considerate nella discendenza come eredi e potevano essere vendute come schiave perché la loro nascita non era mai bene accetta. Sulla donna cadeva una tremenda maledizione perché era quella che aveva condannato tutti a morire (queste maledizioni che risalgono ad un presunto peccato del passato hanno una loro logica beffarda nel seguito che si avrà nel Cristianesimo che maledirà gli ebrei perché avrebbero ucciso Gesù).

        La Bibbia consentiva all’uomo qualunque tipo di rapporto con donne: la poligamia (che restò in vigore fino al IX secolo d.C.), il concubinaggio anche con schiave, i rapporti con prostitute, con donne non sposate ma fuori dalla tutela paterna, il divorzio. Tra gli Ebrei non esisteva né il disprezzo del matrimonio né il mito della verginità né quello del celibato. Ebbene, in questo mondo non vi fu posto per l’ascesi (se si eccettuano gruppi estremamente minoritari come gli Esseni).

CONCEZIONI ELLENISTICHE

        Altro pensiero e/o religioni preesistenti che influirono sul Cristianesimo sono quelle misteriche che si svilupparono in Grecia e nei territori a cultura greca, a partire da Pitagora.

        In definitiva le religioni greche all’epoca di Omero erano aperte, vive, con grande riguardo per il fisico, per la vita dei sensi. L’anima era un qualcosa di vuoto, un’ombra che risiedeva nell’Ade. Questa apertura e gioia di vivere iniziò a scomparire a partire dalla grave tragedia delle Guerre del Peloponneso. Pessimismo, paura, colpa, espiazione si fecero strada tra i greci. Acquisirono importanza figure di sacerdoti, marginali ai tempi di Omero, che proclamavano profezie, curavano malanni e, soprattutto, predicavano la mortificazione del fisico per salvare l’anima. Quest’ultima era la vera essenza dell’uomo, essenza prigioniera del corpo come un cadavere in una tomba. Costoro erano messaggeri di penitenze tra le quali primeggiava l’astensione dal sesso. Si fecero strada culti misterici di ogni tipo, ascetismi che predicavano la mortificazione del corpo per far felice l’anima. La più importante di queste religioni fu l’Orfismo (VI secolo a.C.), probabilmente derivata dal culto di Pitagora che fu venerato da vivo come un dio(7). Il mitico tracio Orfeo predicò una vita ascetica per avere come premio la beatitudine dopo la morte contro i peggiori mali di chi avesse fatto una vita libera da costrizioni. Uno dei primi redentori che produsse Scritture e si portò dietro moltissimi adepti. I seguaci dell’orfismo avevano della donna la concezione che ne aveva Pitagora che disse: esiste un principio del bene che ha creato l’ordine e l’uomo; ed un principio del male che ha creato il caos, la tenebra  e la donna. Alla concezione dell’anima pitagorica ed anche orfica aderì Platone, sostenitore di una rigida divisione tra anima e corpo. Il corpo, oltre ad essere la prigione dell’anima, era il piacere del demonio. Ed anche per Platone la salvezza è di un altro mondo. Fu ostile alla sessualità, alla corporeità ed alla vita dispiegata senza costrizioni e fu ispiratore degli Stoici e dei Neoplatonici che furono fonti privilegiate per il Cristianesimo.

        I culti misterici nel loro insieme erano portatori dell’idea dell’uomo che è in grado di produrre pensiero e studio. Egli deve essere salvaguardato dalle contaminazioni di forze misteriose, demoniache, che possono distoglierlo da ciò e la fonte massima di contaminazione è la donna, il sesso (ciò è inteso in senso materiale: durante un rapporto sessuale i demoni possono entrare nella donna in qualunque sua apertura e poi passare all’uomo !). Per evitare ciò e per restare puri, si poteva ricorrere all’isolamento, al digiuno, a particolari proibizioni alimentari, alla mortificazione del corpo. Coloro che cedevano ai piaceri del corpo erano impuri (i peccatori) ed a loro l’accesso al tempio era permesso solo dopo un lavacro con acqua (che si ritrova in molte religioni come Islam e Cristianesimo). I sacerdoti erano i mediatori con la divinità che stabilivano i comportamenti e per essere sacerdote occorreva astinenza sessuale. Per entrare nel tempio e quindi essere puri, occorrevano anche vari giorni dopo un rapporto sessuale. E poiché, come detto, durante un rapporto sessuale i demoni potevano entrare nel corpo della donna e trasferirsi all’uomo e/o restarvi, le Vergini erano preferite in molti culti (Hera, Artemide, Atena, Iside, Dioniso, Eracle, Posidone, Zeus, Apollo). Ma le tentazioni sono sempre in agguato per cui alle Vergini si preferivano di più persone al di fuori di tentazioni sessuali: donne anziane, vecchi, ragazzi e ragazze ancora fuori dalla pubertà. A Roma, che non aveva particolari simpatie per l’ascesi e la castità, erano famose le vestali, le Vergini che si dedicavano alla dea Vesta (in numero di sei con un impegno trentennale mantenuto in rigida clausura). Il Pontifex Maximus le sceglieva e comunicava liberamente con loro … non si sa bene che tipo di rapporti vi fossero, se mai vi sono stati. Quando una vestale violava il voto di castità veniva murata viva. In alcuni culti era prevista l’estirpazione dei genitali del sacerdote ed a Roma ciò accadde solo in epoca cristiana quando il celibato eventualmente richiesto non era più rispettato da nessuno. In Grecia invece il celibato non era richiesto ed al massimo vi era il divieto per i sacerdoti di un secondo matrimonio.

        Mescolando le due tradizioni (giudaica ed ellenistica) si coglie molto delle concezioni cristiane (meglio dire paoline, come vedremo). Il celibato, la verginità e l’ascetismo vengono fuori dalla cultura ellenistica mentre l’odio per le donne, il loro disprezzo sono principalmente nella tradizione giudaica ma presenti anche in quella ellenistica. Dopo questa brevissima discussione fatta in modo eccellente da Deschner [3] è più agevole discutere delle concezioni del Cristianesimo sempre al fine di capire perché ai Santi Martiri si aggiungono le Sante Vergini.

IL SESSO NEL CRISTIANESIMO

        L’atteggiamento del supposto Gesù nei riguardi del sesso e delle donne, riportato dai Vangeli, è riassumibile in una sua frase riferita ad una donna riportata da Luca (7, 47):

       Le sono perdonati molti peccati, perché molto ha amato.

Leggendo tutti i Vangeli non si troverà mai nulla contro le donne che, anzi, sono sempre avvicinate da lui, anche se note peccatrici, con sentimenti di comprensione e di completa disponibilità all’ascolto. Non vi sono condanne contro le donne, nessuna discriminazione, e non si legge mai niente contro il sesso e neppure contro la libido. Non viene sostenuto il celibato, non si glorifica la verginità. I cenni alla verginità di Maria sono stati aggiunti posteriormente nei Vangeli e, comunque, non hanno come conseguenza una qualche rivendicazione ascetica. Vi è un solo breve brano in Matteo 19, 12, che sembra richiamare l’ascetismo e l’autocastrazione. Sembra una invenzione posteriore di Matteo proprio perché il misogino Paolo, al suo tempo non era a conoscenza di un qualcosa del genere che avrebbe usato come sua bandiera.  In ogni caso il brano resta oscuro terminando con chi può intendere, intenda.

        Poiché la verginità è una pietra scagliata contro le donne, è sulla considerazione delle donne che occorre  porre attenzione. Come accennato Gesù non le discriminò mai ed anzi le ebbe in maggioranza tra i suoi discepoli. Il non averle tra gli apostoli è altra cosa che riguardò gli evangelisti ed il rendere conto del numero delle tribù di Israele. Una delle accuse che Gesù ebbe dagli ebrei era il discutere troppo con le donne e quindi di renderle apostate. Per aiutare una donna Gesù violò la norma del riposo del sabato. Non condannò un’adultera. Si avvicinò a molte donne per guarirle. Le donne furono con lui fino alla fine e sotto la croce vi furono solo donne oltre a Giuseppe d’Arimatea. Da notare che contrariamente alla morale dell’epoca e della religione del luogo, Gesù non condannò l’adulterio in quanto non considerava la donna una cosa ed in quanto l’adulterio era inteso come l’appropriazione di una cosa altrui. Non si sa con certezza se Gesù fosse sposato anche se vi sono molte evidenze in proposito. Certamente furono sposati i suoi fratelli. Gesù non dirà nulla contro il matrimonio, considerato sudicio dagli Ebrei, e soprattutto non dirà nulla contro il libero esprimersi del sesso in esso.

        L’ascetismo non è di Gesù. Anche qui i 40 giorni nel deserto sono una concessione degli evangelisti a tutti i miti di altre divinità. Gesù non viveva nel deserto ed anzi se la prese con Giovanni Battista che faceva l’asceta ed anche con l’ascetismo dei Farisei. Amava la vita e le feste, era molto spesso ospite, godendo dell’ospitalità. In Luca (18,9  sg.) si legge che i suoi avversari lo criticavano per essere un ghiottone ed un ubriacone. Ed anche gli Apostoli non erano da meno. Finché non arrivò Paolo, colui che stravolse il pensiero di Gesù fondando un’altra Chiesa, quella che oggi è conosciuta come Chiesa di Roma, non già cristiana ma paolina. Tanto per capirci e per allontanare le immagini di un Paolo uomo prestante ed affascinante, come da qualche iconografia rinascimentale, occorre dire che Paolo era un incallito misogino molto probabilmente perché sempre respinto dalle donne perché impotente fin dalla fanciullezza (come sostiene H. Hartmann in Kirche und Sexualität. Der Wandel der Erotik, 1929) ed in quanto fisicamente assolutamente insignificante: molto basso, calvo, con un grande corpo rispetto ad esili gambe per di più arcuate, con folte sopracciglia  unite, naso lungo, con frequenti attacchi allucinatori probabilmente dovuti ad epilessia. Per uno così poteva perfettamente funzionare la mortificazione del corpo, del sesso, delle passioni oltre alla diffamazione della donna.

        Scrive Deschner [3]: “Paolo, che oltre Cristo e la sua dottrina, ritiene «tutto colpa», «tutto sterco», e se stesso e quelli come lui, al contrario, «profumo di Cristo» (Phil 3,7 sg; 2 Kor. 2,15), introdusse non solo una serie di dogmi duramente antigesuani, veri e propri assi portanti del Cristianesimo, ma inaugurò anche la diffamazione della sessualità, il deprezzamento della donna, la svalutazione del matrimonio e l’ascesi”. Occorrerebbe leggere tutte le Lettere di Paolo per convincersi della sua brutalità verso le donne, il sesso e la sua predilezione per l’ascesi. Un florilegio è in quanto segue. La carne è un ricettacolo di peccato; il corpo è un corpo di morte;  il corpo è ostilità contro Dio; il cristiano deve martirizzare il corpo e soggiogarlo; deve appenderlo alla croce; deve ucciderlo; … Paolo si batté con estrema forza contro la lussuria; il vizio; le opere della tenebra; le gozzoviglie ed i banchetti; il rapporto con persone sfrenate; con gli impudichi ed adulteri; … Queste sono le prime regole di Paolo alle quali seguono, solo in seconda battuta, idolatria, inimicizia, ostilità, discordia, … Quella che segue è una frase tipica di Paolo ripetuta in varie formulazioni più e più volte:

Mortificate dunque le vostre membra, che attengono alla terra, nelle quali dimorano impudicizia, immoralità, passione, brame malvagie … Fuggite l’impudicizia ! Ogni altro peccato che l’uomo commette resta fuori dal suo corpo, ma l’impudico pecca contro il suo proprio corpo. [Kol. 3,5; 1Kor. 6,18]

E’ l’inizio della morale cristiana che supera per idiozia quella ebraica che si equivale per il disprezzo della donna ma non per la diffamazione del sesso.

        Più in dettaglio, a fronte delle donne reclamate come collaboratrici e compagne di lotta in modo utilitaristico al fine di crearsi consensi, anche in questa captatio benevolentiae, Paolo tradisce la sua posizione di avversario delle donne considerate uguali all’uomo di fronte a Dio così come lo è lo schiavo rispetto al padrone. Nella pratica le donne devono tacere:

Nelle riunioni della comunità le donne dovranno tacere, perché non è loro consentito di parlare, ma devono essere sottomesse. [1Kor. 14,34; 11,3 sg]

        E’ Paolo che impone il velo alla donna perché la donna deve vergognarsi per l’eternità del peccato indotto nel mondo. Per Paolo l’uomo è gloria di Dio mentre la donna è gloria dell’uomo perché è creata dopo e per l’uomo [1Kor. 11,7 sg]. E’ ancora Paolo che non vede nulla di positivo nel matrimonio se non una promiscuità sessuale. Paolo è un povero personaggio che considera il matrimonio positivo solo perché permette all’uomo di sfogarsi sessualmente ed evitare la lussuria (remedium concupiscientiae) e solo per questo giustifica il matrimonio. In positivo dice che sarebbe meglio che un uomo non toccasse donna e che tutti gli uomini fossero come lui, cioè scapoli(8).

        Chiunque legga queste righe sa che la posizione che ha costruito la Chiesa è quella di Paolo (a cui si sono associati TUTTI i pensatori cristiani, a partire dai Dottori della Chiesa) e che la Chiesa ha liquidato quello strano personaggio, molto scomodo, di nome Gesù.  Ed è da qui che occorre partire per cogliere la santità della verginità cioè di una donna che rinuncia a provocare il peccato dell’uomo. E’ comunque lei e solo lei la responsabile del peccato dell’uomo che, in questa visione, è un vero imbecille senza desideri e volontà.

LA VERGINITA’ DI MARIA(9)

        Maria, la madre di Gesù, avrebbe potuto essere madre di un Dio nel modo ordinario senza che ciò avrebbe creato problemi ad alcuno. I problemi vengono semmai dalle acrobazie dei presunti teologi cristiani che vogliono invece sostenere questa stravaganza. Per fare ordine su una cosa della quale mi pare anche ridicolo parlare occorre osservare alcune cose che accadevano all’origine del Cristianesimo. Nei Vangeli, Matteo e Luca (in un solo passo) ci parlano del miracoloso parto verginale di Maria [Mt. 1,18 sg; Lc. 1,26 sg]. Anche se molti studiosi ritengono che tali brani siano stati interpolati in epoca successiva (anche per confronto con antichi Vangeli in lingua siriaca, in cui non compaiono). In ogni caso, nelle antiche visioni, la verginità di Maria era un qualcosa esistito solo fino alla nascita di Gesù. Da quel punto, vuoi per il parto, vuoi per i fratelli di Gesù (Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda ed almeno tre sorelle), terminò la verginità di Maria e si compì carnalmente il matrimonio con Giuseppe e quest’ultima cosa la ritroviamo nel Vangelo di Matteo quando si dice che Giuseppe non conobbe Maria, finché non ebbe partorito un figlio [Mt. 1,25]. Non vi furono obiezioni per centinaia di anni ed esplicitamente, anche da parte di due Padri della Chiesa come Ireneo e Tertulliano, venne affermata una normale vita per Maria dopo il parto di Gesù. Sul finire del IV secolo la questione fu discussa in differenti Sinodi di vescovi e solo nel Concilio di Efeso del 431, la Chiesa orientale su impulso di Ambrogio e Gerolamo (ambedue santi), stabilì il dogma della sempre vergine Maria, vergine cioè ante partum, in partu, post partum (non esistono difficoltà per la Chiesa anche quando un venerdì il prelato si trovò carne sul piatto. Non si emozionò più di tanto e quella carne la battezzò pesce). In Occidente ci vollero oltre 200 anni per addivenire allo stesso dogma che fu stabilito dal Concilio Laterano del 649. Fu allora che iniziarono le contorsioni teologiche su come era nato Gesù. Il Dottore della Chiesa Basilio fece sfoggio di cultura nell’affermare che eravamo di fronte ad un fenomeno analogo alla prole degli avvoltoi che viene fuori senza accoppiamenti. Altri Padri della Chiesa come Origene ed Agostino sostennero la tesi del parto dall’orecchio di Maria. Nell’831 il santo Abate Radberto trovò la soluzione: Maria aveva generato Gesù con il “corpo chiuso”, utero clauso. Contrariamente a questi primi sostenitori di Maria, altri pensatori vi furono che si batterono contro il dogma: i dottori Bernardo, Bonaventura, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.

        Dall’affermazione del dogma iniziò comunque, circa 1350 anni fa, il culto sempre più debordante di Maria in quanto Vergine. La Chiesa ha concentrato sempre di più su Maria le mitologie pagane sulle divinità femminili, materne, vergini. Ciò anche se Maria è un personaggio estremamente secondario nei Vangeli. La Chiesa ha poi fatto fabbricare, con il nome anche di qualche evangelista,  una miriade di falsi Vangeli che raccontassero cose su Maria e la legittimassero. Successivamente tali Vangeli non furono riconosciuti come canonici. Altri Vangeli incentrati su Gesù, sempre apocrifi ma non fatti fabbricare dalla Chiesa in epoche relativamente recenti (dopo il dogma della Verginità), parlano di Maria che risulta essere una donna normale, che rimprovera il piccolo Gesù che ne combina di tutti i colori e che, quando si arrabbia con i suoi coetanei, li ammazza guardandoli fissamente negli occhi; che si rivolge a Giuseppe dicendo che devono trovare il modo di far capire al piccolo che queste cose non si fanno … Insomma per i pensatori cristiani Maria non esiste in quanto donna ma in quanto Vergine. In quanto tale fu addirittura assunta in cielo con il suo corpo, come il figlio Gesù(10). E la cosa è perfettamente consequenziale al disprezzo cristiano della donna. Lo stesso Gesù nei Vangeli, dove, come accennato, Maria compare molto poco, si rivolge a Maria chiamandola sempre donna e solo una volta mamma. Eppure l’esegetica cristiana la disegna come essere perfetto, vergine, madre di un dio, senza altri figli, senza macchia e senza sesso neppure con il marito, fino a farla diventare addirittura nata senza peccato originale, con un destino già disegnato per lei (a proposito di libero arbitrio …). In tal modo si era disegnata la ante-Eva. La santa venerabile in confronto alla perfida peccatrice. La perfezione della Vergine come offesa e degrado della donna, sempre, anche quando partorisce con dolore un figlio dal suo sposo. In quest’ultimo caso la donna è ancora quella descritta dal misogino Paolo, un mero strumento per soddisfare la lascivia del marito. E basta.

        Da tutto ciò sembra evidente che la santità per la donna non può che essere legata alla verginità. Meglio ancora se alla verginità si accompagna il martirio.

SANTE VERGINI

        I santi sono noti per aver fatto e fare miracoli, tanto più convincenti il pubblico dei fedeli quanto più clamorosi. I primi santi, quelli martiri, furono riscoperti nei miracoli molto tempo dopo il loro martirio ed intorno alla loro santità furono costruiti miracoli stupefacenti. Uno tra i massimi cercatori e scopritori di Santi martiri fu Ambrogio (il Santo) che si dedicò anche a costruire su di essi vite eccellenti e miracoli letteralmente incredibili. A questo punto scrive Deschner [1]:

    Generalmente brillano anche le donne, in massima parte naturalmente vergini; e questo colpisce vistosamente la frequenza con cui i cronisti dei cristiani fanno che i cattivi pagani taglino i seni della fanciulle cattoliche: vengono infatti amputate le mammelle alla santa vergine Agata, e così alle sante vergini Macra, Febronia, Encratide, Calliopa, alla santa martire Elconide, e via elencando. Riguardo alla santa vergine Anastasia la Vecchia, il Martirologio Romano dà precise informazioni: “Durante la persecuzione di Valeriano, sotto il tutore Probo, Anastasia fu legata e imbavagliata con funi e fasce, martoriata con botte sulle guance, fuoco e sferzate, e, poiché si ostinava imperterrita a professare la sua fede in Cristo, le vennero troncati i seni, strappate le unghie, fracassati i denti, staccati mani e piedi, e da ultimo disgiunta la testa dal tronco sicché finalmente poté involarsi al suo sposo celeste”. Una conclusione impressionante, non c’è che dire. Sotto Costanzio, l'”eretico Macedonio”, dunque un cristiano, fa segare in maniera sistematica i seni “alle donne credenti”, facendoli bruciare con ferri ardenti. E sebbene non sempre i seni crescano di nuovo, e spesso non ricrescano più, tuttavia con le donne accadono altre cose degne di nota.
La santa vergine Agnese viene gettata nel fuoco, ma la sua preghiera lo spegne. La vergine Giuliana vilipende il governatore Evilasio, respingendolo come marito, sopravvivendo sia alle fiamme sia all’acqua bollente. Anche la santa Erotide “accesa dall’amore per Cristo” sopravvive alla prova delle braci. Similmente, le sante Agape e Chionia, martirizzate sotto Diocleziano, restano illese in mezzo al fuoco. La santa vergine Encratide sopravvive (per intanto) malgrado i seni amputati e il fegato strappato, per tacere di altri supplizi. Anche la santa Elconide, esposta sotto l’imperatore Gordiano a molteplici tormenti, supera l’amputazione del suo petto, il lancio nel fuoco e in mezzo alle belve, finché finirà per soccombere alla spada. La santa vergine Cristina, già gravemente squarciata, è salvata nel lago da un angelo, resta cinque giorni “incolume” dentro un forno ardente, sopravvive anche a serpenti velenosi, al taglio della lingua, dopo di che, come pare giusto, conclude “il corso dei suoi gloriosi supplizi” (Martirologio Romano). […]
[Santa Blandina] soave e delicata donna di servizio, torturata da mattina fino a sera, non è lei a sentirsi fiaccata e impotente, bensì il branco dei suoi aguzzini. Ormai straziata in tutto il corpo, viene gettata tra le bestie feroci, sferzata, rosolata, il che avviene in modo tale che l’arrostimento delle sue membra “la avvolse in vapori di grasso”. Dopo che l’hanno ancora una volta flagellata, buttata tra le belve e rigirata sul fuoco, è giunto finalmente il momento di rendere l’anima a Dio. […]
Quale primi donna martire in assoluto, quale “arcimartire” è considerata la santa Tecla […]. La bella figliola di un ricco “sacerdote idolatrico”, nativa di Ikonium, apre il suo cuore a Dio in conseguenza della predicazione alla purezza del santo Paolo. Questo la infiamma a tal punto alla causa della castità da rifiutarsi al suo fidanzato Tamiri, scappando però, travestita da uomo, col santo apostolo delle genti. Riportata a casa, il promesso sposo e il parentado idolatrico fanno di tutto per riconquistare la cristiana sposa di Dio. Tutto invano. Paolo viene flagellato e scacciato mentre Tecla, accusata come cristiana dal fidanzato e dalla propria madre, è gettata ignuda in mezzo a leopardi, leoni e tigri affamate e ruggenti. Ma ecco, le belve si accovacciano come agnelli ai piedi, leccandola blandamente. Sbotta nell’estasi il dottore della chiesa Ambrogio; “Un incanto così formidabile aleggia sulla sua verginità, che perfino i leoni le danno prova della loro ammirazione: sebbene affamati, il pasto non li istigò ad attaccare; sebbene eccitati, l’irruenza non li travolse; sebbene aizzati, la rabbia non li scatenò; sebbene avvezzi all’istinto, l’abitudine non li fuorviò; sebbene feroci, la natura non ebbe più potere su di essi. Diventarono maestri di devozione rendendo omaggio alla martire, e similmente maestri di castità leccando alla vergine soltanto i piedi, tenendo per  verecondia, si direbbe, gli occhi rivolti al suolo, affinché nulla di maschile, fosse pure di natura animalesca, potesse guardare la vergine senza veli”. Oddioddioddioddio!
Ora, a Roma, la sposa di Dio sale finalmente il patibolo. Ma, tra le fiamme guizzanti da tutte le parti, resta illesa. Finisce quindi in una fossa di serpenti, dove però le orrende vipere, ancor prima che possano di nuovo leccare teneramente Tecla, sono lasciate stecchite da un fulmine caduto letteralmente dal cielo sereno. Anche più tardi essa trova scampo da tutte le insidie di Satana. Una volta, al grido di “Nel nome di Gesù Cristo ricevo il battesimo dell’ultimo giorno”, Tecla si lancia in un bacino pieno di foche. Anche stavolta, però, non è grigia storia di tutti i giorni. Un fulmine folgora tutte le foche, ed essa viene prodigiosamente salvata da due tori selvatici a cui è stata legata. Il promesso sposo muore, e lei accompagna ancora san Paolo in parecchi viaggi apostolici, radunando intorno a sé altre pie donne e predicando fino a tarda età. E se non è morta, vuol dire che è ancora viva!
Per chi non ci credesse: gran parte dei padri della chiesa, tra cui i santi Crisostomo ed Agostino, esaltano Tecla come martire per le molte sofferenze di cui fu ritenuta degna, vantando inoltre la sua verginale purezza […].

        Non vale la pena continuare perché le Sante Vergini hanno tutte prestazioni di questo tipo sulle quali è inutile intervenire per porre qualche dubbio.

SANTI PAGANI

        Dopo circa un secolo dall’inizio dell’espansionismo cristiano, martiri e santi furono oggetto di culto in sostituzione della pluralità delle divinità pagane che, a livello psicologico, non potevano trovare una adeguata sostituzione nella semplice e austera adorazione dell’unico dio monoteista giudeo-cristiano. Molto spesso si è trattato di un trasferimento del culto da divinità pagane a santi cristiani, soprattutto perché, dopo i decreti di Teodosio I (Decreti del 391 e 392 che attuarono l’Editto di Tessalonica del 380(11)), divenne impossibile venerare divinità pagane e quindi vi furono conversioni di massa al Cristianesimo ma senza alcuna convinzione, semmai con qualche rancore. La cristianizzazione di questo trasferimento avveniva affermando che non era più quel dio (quindi ora quel santo) che faceva direttamente una grazia, ma il santo operava ora solo come intermediario verso l’unico Dio cristiano. Per tutto il resto i riti rimasero gli stessi del politeismo. Poiché le divinità pagane erano venerate in quanto protettrici di qualche categoria di persone, si pensò bene di attribuire ad ogni santo una particolare predisposizione nel proteggere persone, luoghi o eventi. La festa del dio venerato localmente diventò la festa del santo patrono. I miti relativi a questo santo patrono, come la sua vita ed il suo operato in materia di miracoli, spesso, sarebbero nati dall’integrazione di fatti di vita del santo in oggetto, supposto che sia mai esistito, con leggende relative al dio pagano. Esempi in tal senso furono Artemide che divenne S. Artemido o S. Ursula e Dioniso (Bacco) che divenne S. Denis (con la sua tomba trasformata nella chiesa di S. Bacco). D’interesse anche l’iconografia che vide assegnare: a S. Wolfgang l’accetta, o uncino di Saturno; a Mosè i corni di Giove Ammone; a S. Pietro le chiavi di Giano.

        Scrive in proposito Donini:

Non si tratta soltanto, e nemmeno prevalentemente, dello sbocco di quel lento processo che ha portato, dopo la fine del mondo antico, a dare un nome cristiano a vecchie feste pagane o a trasformare in «santi» tante divinità greche, romane, celtiche, teutoniche, slave, buddiste e persino armene. Non si dimentichi che quando il re Tiridate III di Armenia, nel 303, cioè dieci anni prima dell’editto di Costantino, adottò la religione cristiana, l’antico dio Vanatur diventò san Giovanni Battista e la Venere armena, Anahita, la vergine Maria.
Uno studioso di problemi folkloristici, J. C. Lawson, ci ha lasciato sin dal 1910 una descrizione ricca e convincente di tutta una serie di sopravvivenze della mitologia greca nel lessico religioso della Grecia contemporanea. Demétra, la grande dea, viene oggi venerata come «santa Demétra», senza che dietro a questo nome sia mai stato possibile identificare un qualsiasi riferimento storico: Caronte, il nocchiero della palude infernale, è diventato «Charos», l’angelo della morte; e il dio solare Helios si è trasformato in «sant’Elia», il leggendario personaggio biblico la cui ascesa al cielo, del resto, non è altro che il residuo di qualche antico mito solare. San Nicola, protettore dei naviganti, ha preso il posto di Posidone, dio del mare; i santi Cosma e Damiano, gli anarguroi, «coloro che curano senza compenso», hanno sostituito i Dioscuri. […]
Questo fenomeno, frequente anche nelle tradizioni popolari italiane, non ha bisogno di molte spiegazioni. La riduzione degli dèi nocivi in demoni e degli dèi benevoli in angeli o santi si ritrova in tutte le tradizioni religiose. La sopravvivenza delle divinità olimpiche nel nostro clima culturale s’inserisce in un altro aspetto dell’ideologia, che di solito viene trascurato.
Nella religione si riflette il complesso gioco dei rapporti che interrcorrono tra le classi sociali nelle epoche fondamentali di sviluppo dell’umanità; ma le idee, una volta nate, siano esse morali, giuridiche o religiose, si staccano poi dalla loro matrice originaria e vivono di vita propria, sino ad incidere sulla stessa struttura economica e sociale.
Quando l’ideologia della classe dominante, all’epoca del passaggio dall’economia schiavistica all’economia feudale, si è rivestita dei miti della religione cristiana, il vecchio mondo degli dèi non è crollato completamente, come è avvenuto per la struttura politica e sociale. Affidate alla poesia, al romanzo, all’arte, le divinità greche e romane hanno continuato a vivere(12), prima stentatamente nel sottosuolo popolare e poi rigogliosamente, dagli anni del Rinascimento, sino ad arrivare a far parte del bagaglio intellettuale dei ceti produttivi della borghesia commerciale e industriale. […]

        Vediamo ora qualcuna di queste sovrapposizioni di santi cristiani con divinità pagane.

        A Roma vi erano i festeggiamenti di due importanti divinità, Quirino e Romolo. Ad essa fu sovrapposta la festa di San Pietro e Paolo. I pagani invocavano generalmente Esculapio o Feronia per scongiurare malattie o per essere guariti. La Chiesa fu molto più prolifica perché distinse i santi per specializzazioni mediche: S. Andrea Avellino (1521-1608) per la cura della apoplessia e per scongiurare la morte improvvisa, S. Venanzio da Camerino martire (circa 235-251)(13) per salvaguardare dalle cadute, S. Margherita (nota anche con il diminutivo di S. Rita) di Antiochia vergine e martire (275-290)(14) invocata per aiutare il parto e contro le febbri malariche, S. Pasquale Baylon (1540-1592) per trovare marito ad una zitella (le sue devote, a Napoli, recitano questa cantilena: «San Pasquale Baylonne protettore delle donne, fammi trovare marito, bianco, rosso e colorito, come te, tale e quale, o glorioso san Pasquale!»); … (15). Altri santi pagani al di fuori della taumaturgia e medicina sono i seguenti: i cacciatori che dovettero abbandonare il culto di Diana si rifecero con S. Uberto di Tongeren-Maastricht (656-727); i cultori della scienza e degli studi in genere dovettero lasciare Minerva ma si consolarono con S. Caterina di Alessandria d’Egitto vergine e martire (circa 287-304)(16). E, da non credere da persone dotate di senno, è accaduto di tutto sulle santità ed i patronati: il povero San Giovanni Battista, dato che era un pastore migrante nel deserto vestito di pelli di pecora o cammello, fu fatto patrono dei pellicciai; un tal Bernardino da Siena (1388-1444) che era devotissimo al santissimo nome di Gesù tanto da scrivere più volte il suo nome su tavolette di legno che faceva baciare ai fedeli (sembra sia stato lui il creatore del monogramma JHS che egli rappresentava sormontato da una croce e attorniato da un sole), è stato fatto patrono dei pubblicitari;  l’arcangelo Gabriele, che aveva portato l’annuncio di Dio a Maria futura madre di Gesù, divenne protettore dei postelegrafonici; S. Lucia (280-304), da lux che vuol dire luce, divenne patrona della vista e quindi degli orologiai(17); S. Cristoforo, per aver traghettato il giovane Gesù (che pesava come il mondo intero) da una riva all’altra di un fiume, patrono degli automobilisti; S. Benedetto (circa 480 – circa 547), dato che rimase circa 30 anni in una grotta a Subiaco, divenne protettore degli speleologi; Santa Chiara (1193-1253) è stata eletta protettrice della televisione perché, essendo a letto ammalata, aveva avuto la visione di una funzione liturgica celebrata da San Francesco a distanza, funzione alla quale avrebbe voluto ardentemente partecipare; S. Giuseppe da Copertino (1603-1663), che cadeva in estasi e si sollevava dal suolo, divenne protettore dei paracadutisti  ma anche degli studenti perché venne consacrato sacerdote dopo il difficile superamento degli esami, superamento considerato prodigioso per le difficoltà da lui incontrate nonostante l’impegno profuso nello studio.

        Scrive la Traini:

“Quando i primi missionari cristiani si imbattevano negli adoratori della Grande Madre o della dea Terra, non tentavano di modificare le loro credenze, ma si limitavano a spiegare che essi già veneravano la Madonna. L’idolo pagano veniva allora posto nei nuovi templi cristiani e si trasformava in una delle raffigurazioni della Madonna. Per spiegare come mai l’antica divinità pagana avesse preceduto di molto la nascita della vergine cristiana, i teologi della chiesa inventarono la “prefigurazione della vergine”. Proprio dalla dea Terra deriverebbero le “Madonne Nere” che nell’azione di sincretismo avrebbe assunto il volto della Madonna mantenendo il nero delle sue prime raffigurazioni.  [In precedenza ho fornito una versione differente delle madonne nere, ndr]. In tutta Europa sono presenti delle Vergini Nere, in Italia se ne trovano oggi ancora dodici, mentre in Francia dove il culto alla Grande Madre ebbe una larga diffusione e sopravvisse per molto tempo, se ne trovano ancora novantasei. Le più famose sono senz’altro le “Notre Dame Sous Terre” di Chartres, una delle cattedrali gotiche che fu uno dei punti di partenza della “Via Lattea” ovvero la grande via di Pellegrinaggio per Compostela.
Nel quinto secolo i cristiani erano ancora impegnati a diffondere il Vangelo con azioni repressive e distruggendo ogni luogo di culto pagano. Sugli antichi templi sorgevano chiese e cattedrali, presso i boschi e le sorgenti sacri venivano eretti romitori o tempietti rurali, e nuovi idoli cristiani cancellavano la memoria delle vecchie divinità pagane. Di certo però le divinità pagane più venerate come quelle del fato e della fortuna furono oggetto di culto fino al sesto secolo. Fu proprio in questo periodo che avvennero le ultime azioni di sincretismo.
La simbologia della freccia di Apollo fu assunta dal martirio di San Sebastiano. Santa Valpurga ereditò il ruolo della Grande Madre durante la notte dei “Riti Arborei” tra il 30 aprile ed il 1° maggio. Mentre la dea dopo i riti di fertilizzazione, ricacciava i “dei manes” nell’oltretomba, la Santa cristiana, durante la notte, proteggeva dagli spiriti maligni e dai demoni. Il mese di maggio dedicato alla Grande Madre della natura Maia, divenne il mese della Madonna chiamata “rosa mistica”. Pian piano il cristianesimo vinse ogni resistenza, ma intanto stava cambiando. Il raggiungimento del pieno potere politico e religioso per mezzo dell’intolleranza e della repressione portò con sé un rischio spirituale che diede vita alle prime sette oppositrici della chiesa cattolica”.

I MIRACOLI

        Almeno un cenno al metodo di imbonizione che furono e sono i miracoli (dal latino miraculum, cosa meravigliosa), occorre farlo. Il miracolo, un evento contrario alle leggi di natura, sovrannaturale (durante il periodo della scolastica si diceva: mirabolanti accadimenti supra, contra, praeter naturam), è stato per secoli uno strumento che avrebbe dovuto dimostrare la superiore potenza del Dio cristiano rispetto agli altri dei, quelli pagani. Per questo si dovevano trovare miracoli che esplodessero come fuochi d’artificio. Il guaio era che i santoni ed i sacerdoti pagani ne facevano di altrettanto mirabolanti e, se non altro perché erano di più, su questo terreno la Chiesa capì che non poteva vincere. Gli stessi miracoli attribuiti a Gesù erano già stati realizzati varie volte e gli stessi racconti evangelici sono quasi sempre ripetizioni di medesimi rituali del miracolo di altri racconti di precedenti letterature di altre religioni. Anche le tipologie di miracoli è la stessa: guarigioni di ammalati, esorcismi, resurrezioni, moltiplicazione di pani, passeggiate sull’acqua, viaggi all’inferno, tempeste placate, … (18)

        Poiché il campo dei miracoli è infinito, mi limiterò a discutere i miracoli straordinari e curiosi (dolce eufemismo) che vanno al di là di quelli raccontati nei Vangeli ordinari e che sono invece raccontati in profusione nei Vangeli apocrifi. Utilizzerò a tal fine quanto scritto da Deschner [1] e da Hitchens.

DESCHNER

MIRACOLI NEGLI “APOCRIFI”, OVVERO: UN TONNO AFFUMICATO SI RIFÀ VIVO

Allo stesso modo con cui gli “apocrifi” accompagnano, e poi sviluppano ed integrano i generi narrativi del Nuovo Testamento come sviluppo parallelo, così fanno anche i miracoli che vi sono raccontati.
In prosecuzione delle storie canoniche, fanno la loro comparsa intere elencazioni di miracoli, non senza la frequente assicurazione che Gesù ne ha fatti anche molti di più.
La tendenza è diretta all’incremento, al superlativo. Si sviluppa inoltre l’evoluzione dal “guarì molti”, nel più antico evangelista Marco, al “guarì tutti” nel più recente Matteo. E se negli Atti degli apostoli si legge che Gesù ha “fatto del bene e guarito tutti quelli che erano posseduti dal demonio”, ecco che lo Pseudo-Clemente fa sì che Gesù guarisca “qualsiasi malattia”. Il colmo, probabilmente insuperabile, sta però negli Atti di Giovanni: “Per ora, le sue grandiose e meravigliose imprese dovrebbero restare segrete, giacché sono inesprimibili, e forse non possono assolutamente né essere raccontate né ascoltate”.
Molti prodigi del passato erano troppo semplici e banali per le generazioni successive. Quindi li abbellirono, ampliandoli e arricchendoli.
Nel battesimo di Gesù, ad esempio, dove pur sempre i cieli si spalancano mentre una colomba si libra e la voce di Dio echeggia, adesso si aggiunge anche un’ apparizione luminosa, il Giordano indietreggia nel suo corso lanciando in alto le sue acque, e perfino le stelle omaggiano il Signore, con l’assistenza degli angeli. Uno scritto protocristiano annuncia: “E sopra il Giordano si diffusero grandi nubi bianche, e apparvero molte schiere di spiriti che cantavano nel cielo inni di gloria, e il Giordano arrestò il suo corso per far riposare le acque mentre un profumo di aromi emanava da quel luogo”.
E come il battesimo di Gesù con tutti gli annessi è stupefacente, così sarà ovviamente anche la fine.
Nel vangelo di Bartolomeo, ecco Bartolomeo, durante la crocifissione, osservare gli angeli che salgono al cielo adorando il Signore. Non basta; il discepolo è in grado, subito dopo, di ascoltare oltre, fino all’inferno. Infatti “come caddero le tenebre, guardai e vidi che tu eri scomparso dalla croce; solo la tua voce potei udire dal mondo sotterraneo, e come di là venissero d’improvviso urla strazianti e digrignar di denti … ” . La musica più soave, sempre, per orecchi cristiani.
La fantasia credente si espande particolarmente nei vangeli, straordinariamente numerosi, riguardanti la fanciullezza. Gli anni della nascita, della crescita infantile, dell’adolescenza di Gesù non erano stati descritti per niente da Marco e da Giovanni, accennati solo scarsamente da Matteo e da Luca, seppure con toni largamente miracolistici, con paralleli soprattutto con le letterature indiana, egiziana e persiana. Questa assimilazione di leggende straniere aumenta però enormemente nelle posteriori storie della fanciullezza. Qualunque cosa si sapesse a proposito di giovinetti divini e prodigiosi, si trasferì ora con zelo sulla figura di Gesù. Persino lungo tutto il Medioevo si protrasse la lussureggiante evoluzione della leggenda. Anzi, tutta questa letteratura – benché ufficialmente condannata dalla chiesa – esercitò per mezzo di Prudenzio, della monaca Roswita e di molti altri fino al Rinascimento, un’influenza sulla letteratura e sull’ arte anche più incisiva della Bibbia stessa. Persino dei papi ne trassero dei motivi, come Leone III, che nel IX secolo fece rappresentare nella chiesa di s. Paolo in Roma l’intera storia di Gioacchino e Anna. Vero è che nel XVI secolo, sotto Pio V, l’ufficio divino di S. Gioacchino (conosciuto come padre di Maria solo attraverso un “apocrifo”) fu espunto dal breviario romano e il testo della sua presentazione al tempio abolito; tuttavia entrambi vennero poi riabilitati. Del resto, se la chiesa ha criticato e bocciato gli “apocrifi leggendari”, ciò non avvenne a causa delle loro storie magiche, per quanto a noi possano apparire incredibili, quanto invece per preoccupazioni morali e dogmatiche, per certe tendenze ascetiche o docetistiche. Tant’è vero che proprio la fede nei miracoli venne “coltivata e promossa perfino dai più illuminati uomini di chiesa”.
Il vangelo di Tommaso riferisce una serie di ragguardevoli azioni di Gesù dai cinque ai dodici anni di età. Il divino fanciullo opera miracoli con le sue fasce, la sua acqua per lavarsi, il suo sudore. Con una sola parola, fa ridiventare pulito un ruscello d’acqua sporca, fa svolazzare uccelli fatti di argilla, lascia disseccarsi come un arbusto un cattivo compagno di giochi, e ne lascia morire un altro che l’aveva urtato alle spalle. D’altronde, il giovane maestro si mostra anche amico del prossimo, riportando in vita diversi morti.
Accanto al Signore, brillano naturalmente negli “apocrifi” anche i suoi apostoli, discepoli e molti altri seguaci.
Anche a ciò dava esca il Nuovo Testamento. Già Paolo realizza “segni e miracoli”. E anche nel vangelo di Marco sta scritto: “E, partiti, predicavano che la gente si ravvedesse: cacciavano molti demoni, ungevano d’olio molti infermi e li guarivano”. Similmente, gli Atti degli apostoli annunciano “molti segni e miracoli nel popolo mediante le mani degli apostoli”. E riferiscono persino di miracoli fatti dai discepoli utilizzando i loro grembiuli, i loro asciugatoi o le loro ombre.
Gli apologeti ribadiscono continuamente l’assenza di esagerazioni nei miracoli neotestamentari. Sennonché ogni miracolo, ad eccezione di certe guarigioni imprevedibili, che appunto miracoli non sono, si fonda proprio su esagerazioni, sia che abbiano i crismi di “canoniche” o semplicemente di “apocrife”. E se i miracoli compiuti con le ombre non sono esagerati, e pertanto credibili, perché mai altri dovrebbero essere eccessivi e non credibili? Del tipo, cioè, di quando il principe degli apostoli Pietro fa parlare un cane? O quando fa passare un cammello, per giunta anche ripetutamente, attraverso la cruna di un ago, o quando fa nuotare un tonno già affumicato e pendente dalla finestra, tornato vivo e guizzante nell’acqua? Con Dio, in fin dei conti, nessuna cosa è impossibile. E se può arrestare un fiume, anzi il sole nel suo corso, potrà certo far rivivere un semplice pesce affumicato. Oppure questo andrebbe contro il suo “gusto”? E questo, poi, da dove lo conoscono i teologi? Sia come si vuole: con storie di tal fatta si intrapresero le missioni, espandendo le credenze cristiane. I più noti padri della chiesa si schierarono come testimoni di tali testi, e la maggioranza dei primi teologi li ritennero completamente veri. Converrà comunque ricordarsi costantemente di questo fatto: perfino con questa robaccia – anzi in primo luogo con questa! – venne propagandato il cristianesimo, proprio attraverso questo ciarpame venne estesa e consolidata la sua barbarie spirituale e fisica; questa paccottiglia fu tollerata, favorita, e intere biblioteche se ne fecero riempire … anzi no, è essa stessa che le riempie!

HITCHENS

LA PACCHIANERIA DEI MIRACOLI ED IL DECLINO DELL’INFERNO

Le figlie del gran sacerdote Anio trasformavano tutto ciò che volevano in grano, vino e olio. Atalide, figlia di Mercurio, resuscitò diverse volte. Esculapio richiamò in vita Ippolito. Ercole strappò Alceste alla morte. Heres tornò nel mondo dei vivi dopo aver passato quindici giorni negli Inferi. Romolo e Remo nacquero da un dio e da una vergine vestale. Il Palladio cadde dal cielo nella città di Troia. La chioma di Berenice diventò una costellazione … Ditemi il nome di un popolo che non conti nella sua storia un certo numero di fatti prodigiosi, sbalorditivi, soprattutto nei tempi piu antichi, in cui si sapeva poco leggere e meno scrivere.
VOLTAIRE, Miracoli, dal Dizionario filosofico

Una vecchia favola concerne la meritata punizione di un millantatore che non faceva che ripetere in eterno la storia di un salto incredibilmente meraviglioso che egli avrebbe fatto a Rodi. Mai, sembrava, era stato visto un cosi eroico salto in lungo. Se il narratore non si stancava mai del racconto, non si poteva dire lo stesso del pubblico. Finalmente, mentre prendeva un po’ di respiro per raccontare ancora una volta la storia della grande impresa, uno dei presenti lo mise a tacere dicendo sgarbatamente: «Hic Rhodus, hic salta!» (Qui è Rodi, qui salta!)
Come paiono essersi estinti i profeti, i veggenti e i grandi teologi, cosi l’epoca dei miracoli sembra giacere da qualche parte nel nostro passato. Se i religiosi fossero saggi, o avessero la certezza delle loro convinzioni, dovrebbero dare il benvenuto all’eclisse di quest’epoca di frode e di giochi di prestigio. Ma la fede, ancora una volta, si discredita dimostrandosi incapace di soddisfare i fedeli. Per impressionare i creduli, sono ancora richiesti eventi tangibili. Non è difficile capirlo quando studiamo gli stregoni e i maghi e gli indovini di culture precedenti o più remote: chiaramente, si trattava di una persona intelligente che prima imparava a predire un’eclisse e poi a usare questo evento planetario per impressionare e intimorire il suo pubblico. Gli antichi re della Cambogia calcolavano il giorno in cui il Mekong e il Bassac ogni anno cominciavano improvvisamente a esondare e a congiungersi, e a riversare apparentemente all’indietro il loro flusso nel grande lago Tonle Sap, sotto la terrificante pressione dell’acqua. Relativamente presto, si organizzò una cerimonia nella quale il capo prescelto dalla divinità appariva al momento giusto e sembrava fosse lui a ordinare alle acque di rifluire. Mosè sulla riva del Mar Rosso dovette assistere a bocca aperta a un fenomeno del genere. (In tempi pili moderni, l’imbonitore re Sihanouk di Cambogia sfruttò questo miracolo naturale con notevole efficacia).
Fatta questa premessa, è sorprendente come appaiano oggi insignificanti alcuni miracoli «soprannaturali». Come nelle sedute spiritiche, che cinicamente offrono ai parenti borbottii del recente defunto dall’aldilà, niente di veramente interessante è stato mai detto o fatto. Quanto alla storia del «viaggio notturno» di Maometto a Gerusalemme (l’impronta dello zoccolo del suo cavallo Buraq pare sia ancora visibile nel sito della moschea al-Aqsa), sarebbe poco gentile fare l’ovvia osservazione che i cavalli non possono volare, e non lo fanno. E’ più pertinente notare come gli uomini, fin dall’inizio dei loro lunghi e snervanti viaggi sulla superficie della terra, costretti a fissare per giorni il posteriore di un mulo, abbiano fantasticato sul modo di rendere pili veloce il tedioso percorso. I folcloristici stivali delle sette leghe possono imprimere una bella spinta al passo di chi li calza, ma stiamo soltanto girando attorno al problema. Il vero sogno, per migliaia di anni, implicava l’invidia degli uccelli (discendenti pennuti dei dinosauri, come ora sappiamo) e la bramosia di volare. Carri in cielo, angeli che potevano planare liberamente grazie alle correnti d’aria calda … è perfino troppo facile cogliere la radice del desiderio. Dunque il Profeta parla al desiderio di ogni contadino che vorrebbe vedere la sua bestia mettere le ali e darsi una mossa. Ma potendo contare su un potere infinito, magari a qualcuno frullò l’idea che si sarebbe potuto confezionare un miracolo più straordinario, o meno da sempliciotti. La levitazione gioca un ampio ruolo anche nella fantasia cristiana, come confermano le storie dell’ Ascensione e dell’ Assunzione. A quell’epoca, il cielo era pensato come una coppa, e la sua normale atmosfera come una fonte di presagi o di interventi. Se si tiene a mente questa pateticamente limitata visione del cosmo, l’evento più banale poteva sembrare miracoloso, mentre un evento che ci avrebbe veramente stupiti – ad esempio, il sole che cessa di muoversi – poteva apparire come un fenomeno locale.
Posto che un miracolo sia un mutamento favorevole nell’ ordine naturale, l’ultima parola in proposito fu scritta dal filosofo scozzese David Hume, che ci lasciò, nella questione, libertà di pensare come meglio credessimo. Un miracolo è un turbamento o un’interruzione nel corso atteso e stabilito delle cose. Esso potrebbe riguardare qualsiasi cosa, dal sole che sorgesse a occidente a un animale che, all’improvviso, si mettesse a recitare versi. Perfetto, dunque, anche il libero arbitrio coinvolge una decisione. Se vi sembra di assistere a una cosa simile, ci sono due possibilità. La prima è che le leggi di natura siano state sospese (in vostro favore). La seconda è, invece, che voi abbiate equivocato o che soffriate di allucinazioni. E cosi la probabilità della seconda deve essere soppesata contro la probabilità della prima.
Se voi sentite il racconto di un miracolo solo da una seconda o terza persona, le probabilità debbono essere conseguentemente corrette prima che possiate decidere di dare credito a un testimone il quale dichiara di avere visto qualcosa che voi non avete visto. E se parecchie generazioni vi separano dal «vedente», e non disponete di altre conferme, le probabilità devono essere modificate ancora più drasticamente. Di nuovo potremmo fare ricorso all’ affidabile Occam, che ci metteva in guardia dal moltiplicare le contingenze non necessarie. Lasciatemi fare, a questo punto, due esempi, uno antico e uno moderno: il primo è la resurrezione dei corpi, il secondo sono gli Ufo.
I miracoli hanno visto un declino, quanto a capacità di stupire, da molto tempo. E, per giunta, l’offerta più recente si è rivelata anche un po’ pacchiana. La celebre liquefazione annuale del sangue di san Gennaro a Napoli, ad esempio, è un fenomeno che può essere facilmente ripetuto (e lo è stato) da un abile prestigiatore. Per smascherare la frode e per salvaguardare il cliente sprovveduto da una bella turlupinatura, grandi «maghi» secolari come Harry Houdini e James Randi hanno agevolmente mostrato come la levitazione, la rabdomanzia o camminare sul fuoco e piegare un cucchiaio siano tutte operazioni eseguibili in condizioni di laboratorio. I miracoli in ogni caso non comprovano la verità della religione che li pratica: secondo la Scrittura, Aronne sconfisse in una pubblica competizione i maghi del faraone, ma non negò che anch’essi potessero compiere dei miracoli. Comunque, da un po’ di tempo, più nessuno ha rivendicato resurrezioni, e nessuno sciamano che si vanti di saperle fare ha mai voluto accettare la sfida ed eseguire il suo trucco. Dobbiamo dunque domandarci: l’arte della resurrezione è morta? O ci basiamo su fonti dubbie?
Il Nuovo Testamento stesso è una fonte altamente dubbia. (Una delle scoperte piti sconcertanti del professor Bart Ehrman è che il racconto della resurrezione di Gesù nel Vangelo di Marco è stato, in realtà, aggiunto parecchi anni dopo). Ma secondo il Nuovo Testamento, la cosa era quasi banale. Gesù vi riuscì due volte nel caso di altre persone, resuscitando Lazzaro e la sorella di Giairo, e nessuno sembra aver pensato che valesse la pena di intervistare i risorti sulla loro straordinaria esperienza. E nessuno sembra aver registrato se questi due individui siano di nuovo «morti» o no, e come. Se diventarono immortali, allora si unirono all’antica compagnia dell’«ebreo errante», il quale fu condannato dai primi cristiani a peregrinare per sempre dopo che incontrò Gesù sulla via dolorosa: questa disgrazia fu inflitta a un semplice passante solo perché si potesse adempiere l’altrimenti inadempiuta profezia secondo cui Gesù sarebbe tornato nel corso della vita di almeno una persona che lo avesse visto nella sua prima venuta. Lo stesso giorno in cui Gesù incontrò lo sfortunato vagabondo, fu egli stesso messo a morte con rivoltante crudeltà, e in quel momento, secondo il Vangelo di Matteo (XXVII, 52-53), «le tombe si aprirono; e molti corpi dei santi che vi riposavano risorsero, e uscirono dalle tombe dopo la sua resurrezione, e andarono nella città santa, e apparvero a molti». Ciò sembra incoerente, poiché i cadaveri apparentemente risorsero sia nel momento della morte sulla croce sia nel momento della Resurrezione, ma viene narrato nello stesso modo fattuale del terremoto, del velo squarciato del tempio (due altri eventi che non hanno mai attratto l’attenzione degli storici) e del reverente commento del centurione romano.
Tale apparente frequenza di resurrezioni può solo indebolire l’unicità di quella tramite cui l’umanità ha ottenuto il perdono dei peccati. E non c’è culto o religione, né prima né dopo, da Osiride al vampirismo al vudù, che non si fondi su qualche radicata credenza nei «non morti». Fino a oggi, i cristiani non concordano sul fatto se il giorno del giudizio vi restituirà la vecchia carcassa che vi ha già abbandonato o vi riequipaggerà in qualche altra forma. Per adesso, e attenendoci anche sommariamente a quanto dichiarano i fedeli, possiamo dire che la resurrezione non proverebbe la verità della dottrina dell’uomo morto in croce, né la sua paternità, né la probabilità di un suo ulteriore ritorno alla forma corporea o a qualche altra riconoscibile forma. Ma anche in questo caso c’è troppo di «provato». L’azione di un uomo che va volontariamente a morire per i suoi simili è universalmente considerata come nobile. La pretesa aggiuntiva che non sia «realmente» morto rende l’intero sacrificio ingannevole e pacchiano. (Dunque, chi dice «Cristo è morto per i miei peccati», mentre egli in realtà non è affatto «morto», fa un’affermazione falsa nei suoi stessi termini). Non disponendo di testimoni affidabili o coerenti, del periodo, più o meno, in cui si sarebbero dovuti certificare tali straordinari avvenimenti, abbiamo in definitiva il diritto, se non l’obbligo, di rispettarci sufficientemente per non prestare fede all’intera faccenda. Ecco tutto; a meno che, o finché, non siano presentate prove più consistenti, il che non è stato. E pretese eccezionali richiedono prove eccezionali.
Ho trascorso buona parte della mia vita come corrispondente e molte volte mi è capitato di leggere resoconti di prima mano degli stessi identici eventi di cui ero stato anch’io testimone – scritti da persone di cui peraltro mi fidavo – ma totalmente discordanti dai miei. (Quando lavoravo per la stampa britannica, mi capitò perfino di leggere storie pubblicate sotto il mio nome e di non riconoscerle dopo che i redattori ci avevano messo le mani sopra). E ho intervistato alcune tra le centinaia di migliaia di persone che pretendono di aver avuto incontri diretti con astronavi di altre galassie, o con i loro equipaggi. Qualcuna è talmente vivida e dettagliata (e così simile alla deposizione di altri individui con i quali non possono essere state scambiate impressioni) da avere convinto certi impressionabili accademici a concederle la presunzione di verità. Ma qui interviene la ragione occamista a dirci perché sarebbe assolutamente sbagliato farlo. Se l’alto numero di «contatti» e di rapiti dicono anche solo una particella di verità, ne consegue che gli amici alieni non hanno alcuna intenzione di mantenere segreta la propria esistenza. Se è così, allora perché non si fermano mai più del tempo necessario per scattare un’istantanea? Non è mai stato fornito un rullino di foto completo, e neppure un pezzetto di metallo inesistente sulla terra o un minuscolo lembo di stoffa. E gli schizzi di tali esseri hanno una forte somiglianza antropomorfica con quelli che si possono trovare nei fumetti di fantascienza. Dal momento che il viaggio da Alpha Centauri (l’origine preferita) comporterebbe un’alterazione delle leggi della fisica, anche la più piccola particella di materia sarebbe di enorme utilità e avrebbe letteralmente l’effetto di un terremoto. Invece, niente. Niente, cioè, salvo l’affermarsi di una nuova formidabile superstizione, basata su una credenza in testi e frammenti occulti disponibili solo per pochi eletti. Ebbene, è qualcosa che ho già visto capitare. La sola decisione responsabile è di sospendere o rifiutare il giudizio finché i devoti non arrivino con qualcosa di meno assurdamente infantile(19).

A questo punto posso solo aggiungere un piccolo brano tratto da Santi e Beati, relativo a Padre Pio, il Santo Impostore:

Il 31 maggio 1923, la Suprema Congregazione del Santo Uffizio emana il primo decreto contro Padre Pio, affermando che «…dopo un’inchiesta sui fatti attribuiti a Padre Pio da Pietrelcina dei Frati Minori Cappuccini del convento di S. Giovanni Rotondo, nella diocesi di Foggia, dichiara non constare, da tale inchiesta, della soprannaturalità dei fatti, ed esorta i fedeli a uniformarsi, nel loro modo di agire, a questa dichiarazione». Il decreto viene pubblicato, il 5 luglio 1923, sull’«Osservatore Romano». Si sentenzia, quindi, che le stigmate del frate non hanno niente a che fare con le piaghe di Gesù Cristo. Il 23 maggio del 1931 il Sant’Ufficio emana un nuovo decreto che ribadisce le condanne precedenti e aggiunge: «A Padre Pio da Pietrelcina siano tolte tutte le facoltà ministeriali ad eccezione di quella di celebrare la Santa Messa, ma solo se celebrata entro il recinto del monastero, in una cappella appartata, in forma privata e senza partecipazione dei fedeli».
Il gesuita e teologo Giandomenico Mucci, sul numero 3670 di Civiltà Cattolica del 2003, rivela che padre Pio, in una decina di lettere ai suoi direttori spirituali, copiò pari pari i racconti delle estasi di santa Gemma Galgani, come se le estasi le avesse avute lui. Mucci esclude il plagio e spiega la cosa con «un processo di identificazione spirituale». Ma un piccolo rimprovero a padre Pio lo fa: «Che un santo renda conto della propria situazione d’anima con le parole di un’altra persona, non avvertendo i destinatari, è un fenomeno quanto meno inatteso e lascia perplessi»(20).

E’ infine utile riportare il pensiero di alcuni grandi pensatori sul tema dei miracoli, pensiero riassunto da Lawrence M.F. Sudbury.

Fra le principali posizioni, va ricordata l’opinione di Spinoza (1632-1677), che dedicherà ai miracoli un intero capitolo del Trattato teologico-politico. La sua visione panteista di un’unica sostanza, nella quale Dio e natura coincidono, lo porta a negare il carattere “eccezionale” o “contro natura” dei miracoli, e questo semplicemente perché l’attività della natura coincide con l’attività di Dio: in natura non può esservi nulla di straordinario, in quanto tutto ciò che accade, accade necessariamente. L’immutabilità delle leggi naturali è tale che, anche quando esse contravvenissero al loro corso, non si tratterebbe di una violazione, ma della manifestazione di un comportamento
necessario: di conseguenza, il miracolo è per Spinoza una incongruenza. David Hume (1711-1776) dirigerà la sua critica al miracolo sul terreno epistemologico e su quello storico-religioso, principalmente dalle pagine delle sue Ricerche sull’intelletto umano. Se il miracolo viene definito come una “violazione” delle leggi di natura, la nostra esperienza diretta della loro stabilità ed immutabilità ci porta a concludere — egli argomenta — che una persona di buon senso non può ragionevolmente prestargli credito. Inoltre, le testimonianze tramandateci sui miracoli non sarebbero attendibili, trattandosi di narrazioni originatesi e poi trasmesse all’interno di contesti religiosi e mitici, i cui fondamenti sono progressivamente venuti meno col progresso delle conoscenze razionali. Se per Spinoza il miracolo era assurdo, per Hume, dunque, il miracolo è semplicemente “non credibile”. Va notato che la sua ferma convinzione della ferrea immutabilità delle leggi di natura coesiste con la sua nota negazione del principio di causalità, per cui l’enfasi viene posta non sulla necessità filosofica (come in Spinoza) ma sulla più assoluta assenza di esperienza contraria, e, dunque, in un’ottica tipicamente empirista. La sua critica non si presta, pertanto, ad essere semplicisticamente aggirata insistendo sulla natura eccezionale del miracolo — cioè come qualcosa che viene riconosciuto proprio in quanto contraddice la comune esperienza ordinaria — perché ciò che egli sostiene è la non ragionevolezza del prestar fede a questo tipo di accadimenti. Nell’omonima voce del suo Dizionario filosofico, Voltaire (1694-1778) parla del miracolo come di una contradictio in terminis, una sorta di “insulto a Dio”, perché gli si ascriverebbe l’operazione di correggere, attraverso i suoi interventi miracolosi, quanto egli stesso ha creato e posto in essere. Già prima di Voltaire, Pierre Bayle (1647-1706) aveva sollevato argomenti analoghi, nei quali la negazione del miracolo non è indice di una negazione di Dio, ma di una certa
immagine che di Lui vorrebbero dare la credulità popolare e le religioni che la alimentano. In questi autori prende voce l’aspra critica rivolta dal deismo alle religioni rivelate; si riconosce in Dio solo l’architetto dell’universo ed il garante delle leggi di natura (così come dell’ordine morale), la cui mal compresa trascendenza sulla storia e sull’esistenza impedisce di riconoscerlo presente nelle vicende degli uomini o attento ad ascoltarne le invocazioni. Nel XIX secolo, poi, la critica al miracolo confluirà nella negazione di Dio ad opera dell’ateismo positivo e del materialismo moderno. I miracoli sono qui visti come il segno di una credulità direttamente proporzionale all’influenza della religione sulla mentalità popolare ed inversamente proporzionale al progresso della scienza. Nei pensatori della sinistra hegeliana, la religione, ormai intesa come mito, viene rimpiazzata dalla razionalità, ma anche dalle potenzialità creative dello Spirito idealista, giungendo fino a teorizzare un’opera purificatrice della scienza nei confronti delle credenze irrazionali.
Naturalmente, a questa grande “corrente negazionista”, fa da contraltare la patristica classica che, ovviamente, si è trovata ad affrontare il “problema miracolo” in forma molto più diretta e, in qualche modo, esistenziale, trovando risposte possibili alle successive critiche “ateisticheggianti”, in particolare di stampo volteriano, già in Agostino e Tommaso. L’ “assurdità” di vedere nei miracoli un nuovo intervento di Dio sulla natura aveva, infatti, già trovato soluzione parziale nel De Civitate Dei, semplicemente ricordando che “norma” della natura è Dio stesso, introducendo al contempo una distinzione tra prodigiosità dell’evento in se stesso e prodigiosità che dipende dalla conoscenza che noi abbiamo di esso, puntualizzazione quest’ultima che verrà utilizzata poi da altri autori, fra cui A. Flew, per mostrare la “provvisorietà” del concetto di miracolo. «Noi infatti — aveva affermato Agostino — pensiamo che tutti i portenti siano contro natura, ma in verità non lo sono. Non può essere contro natura ciò che avviene per la volontà di Dio, perché la volontà dell’eccelso Creatore è la natura di qualsiasi essere creato [la teoria del Dio giocherellone, ndr]. Il portento dunque non avviene contro natura, ma contro quella natura che a noi si manifesta».
Sviluppando il pensiero di Agostino, Tommaso sosterrà la tesi che l’operare di Dio non può mai dirsi “contro natura”. «Siccome l’ordine naturale è stato posto nelle cose da Dio, ciò che egli opera fuori di quest’ordine non è contro natura. “Per ogni essere”, dice s. Agostino [Contra Faustum, 26, 3], “è naturale tutto ciò che è fatto da colui dal quale deriva ogni misura, numero e ordine della natura”. […] Dio ha impresso un ordine stabile nelle creature, in modo però da riservarsi una motivata libertà di agire altrimenti [la teoria del Dio imbroglione, ndr]. Egli perciò non muta quando opera qualcosa al di fuori di tale ordine». La quaestio 6 del De Potentia Dei, interamente dedicata al tema dei miracoli, partendo dall’affermazione agostiniana che Dio non fa nulla contro natura, perché ciò che Dio fa è la natura
di ogni cosa, si propone di mostrare che i miracoli non sono effetto di una volontà volubile, ma una sorta di interplay fra azione di Dio nella sua provvidenza ordinaria e azione di Dio fuori di essa, senza che ciò generi tensione o contraddizione nell’operare divino: «Dio non agisce andando contro le leggi della natura a causa di una volontà mutevole: Dio infatti dall’eterno ha previsto e ha voluto fare ciò che opera nel tempo. Perciò ha fissato il corso della natura in modo tale da preordinare nella sua volontà eterna che talvolta avrebbe agito contro tale corso. Nell’agire andando oltre il corso della natura, Dio non elimina totalmente l’ordine dell’universo, in cui consiste la sua bontà, ma solo l’ordinamento di una causa particolare al suo effetto» [De Potentia, q. 6, a. 1, ad 6um e 7um]. Il miracolo, allora, non è una “correzione” della creazione, come affermato dal deismo settecentesco, ma una manifestazione e quasi una continuazione del medesimo potere creatore: «L’arte di Dio non si manifesta in modo esaustivo nella creazione; dunque Dio in forza di essa può fare qualcosa in modo diverso da quello del corso della natura. Non si può allora concludere che agisce contro la sua arte se opera contro il corso della natura: infatti anche un artigiano può realizzare un’altra opera con la sua arte in modo diverso da come ha fatto in precedenza» [De Potentia, q. 6, a. 1, ad 12um].

VIVA I SANTI, MALEDETTA LA GEOMETRIA !

        I Miracoli dei santi, per quanto incredibili, sono perfettamente ed integralmente creduti da tutti i fedeli ed anche dai dotti pensatori (sic!) come i Padri ed i Dottori della Chiesa. Stesse persone che si scaglieranno a testa bassa, come bestie con le corna, contro ogni manifestazione scientifica (avevano ben chiaro che l’unico nemico della superstizione è la razionalità scientifica). Vediamo qualche perla tratta dall’argomentare di questi scienziati della fede e riportata da Deschner [1].

COME SI FINÌ PER ESALTARE QUALE “RELIGIONE CRlSTIANA” (AGOSTINO) TUTTO QUANTO SI POTEVA UTILIZZARE DEL MONDO PRECRISTIANO

Come oggi tra gli intellettuali è minimo il numero dei cristiani – giacché, quanto più una persona sa, tanto meno crede generalmente in checchessia; segnatamente nelle religioni, e ancor meno nel cristianesimo -, così, anche nel IV secolo, la nuova religione godeva di scarsissimi consensi tra le persone colte e nel mondo nell’ aristocrazia. I vecchi credenti di codeste classi superiori, che ancora nel tardo IV secolo in Occidente ricoprivano posizioni direttive, nella loro grande maggioranza seguitarono a considerare il Cristianesimo una fede da schiavi, una religione per gente minuta, completamente incompatibile con la scienza antica. Sennonché la chiesa aveva bisogno proprio di persone colte. Anche in questo, dunque, essa ripensò a fondo la sua azione, aprendosi per accogliere quelli fino allora tanto spesso denigrati, o addirittura osteggiati. E siccome la nuova religione costituiva una buona base di partenza per le carriere, anche in campo amministrativo, ora anche le persone istruite e distinte cominciarono a farsi avanti. In breve, a salire sugli scanni vescovili ci sono, ora, quasi soltanto uomini provenienti dalle classi superiori. A poco a poco, a cavallo tra il IV e il V secolo, il paganesimo volge così al tramonto. Alla fine, i cristiani esponenti della cultura – ove si prescinda dal più rappresentativo storico di lingua latina Ammiano Marcellino – avranno una netta superiorità, grazie naturalmente alle risorse della cultura antica, che seppure in parte si trasmetterà al Medioevo, anche se controvoglia.
Questa evoluzione sta invero in antitesi con fondamentali insegnamenti del Nuovo Testamento, con un vangelo che non era stato certo annunciato per i sapienti e gli intellettuali. D’altra parte, sta il fatto che il Cristianesimo aveva fatto da tempo il passo decisivo per tirarsi fuori dal mondo ebraico di Gesù e degli apostoli. Certo, anche Paolo era già cittadino romano e figlio di una città ellenistica, anche 1’ebraismo era ellenizzato ormai da secoli, per cui il cristianesimo crebbe sempre di più all’interno de mondo romano-ellenistico, come un tipico prodotto ermafrodito. Il mondo cristiano non poté non confrontarsi, fino ad immedesimarsi insieme con questa cultura; quella in cui quasi tutti i cristiani, a somiglianza di Paolo, erano nati e cresciuti, quella di cui parlavano la lingua, di cui frequentavano le scuole.
Fino al VI secolo, la nuova religione non ebbe scuole sue proprie. Vero è che i cristiani odiavano la scuola dei gentili, ma non ne creavano una loro; non fecero nemmeno un tentativo, mancandogliene tutte le premesse, tutti i fondamenti e i principi. Impossibile, ad esempio, che potessero far concorrenza ai classici. Era infatti una massima assai diffusa – sostenuta da Tertulliano come da papa Leone I – che i cristiani dovessero sì studiare il sapere di questo mondo, mai però farne materia di insegnamento. Tant’è vero che ordinamenti come gli “Statuta Ecclesiae Antiqua” consentivano ai laici una pubblica attività didattica solo con speciale approvazione e sotto il controllo delle gerarchie ecclesiali. Nondimeno, perfino un rigorista come Tertulliano, che proibisce ai cristiani qualsiasi insegnamento nelle scuole pagane, non osa vietare ai bambini di frequentare la scuola. Sicché, nell’impero ormai diventato cristiano, piani di studio e materie d’insegnamento restarono quelli del passato.
Tutto ciò non poteva però restare senza conseguenze. Se si voleva conquistare il mondo, bisognava ammiccargli coi suoi stessi tesori. Era possibile vincere soltanto col suo aiuto, non solo lottandogli contro. A livello di consapevolezza, o in modo inconsapevole, si coniugava il Cristianesimo con la cultura coeva, con lo spirito della scienza greca. Nel corso del II e III secolo, difatti, la nuova religione ne fu compenetrata; il movimento essenzialmente escatologico dei primi tempi si trasformò in un sistema di speculazione filosofica.
Per opera, ad esempio, di Giustino, per il quale i filosofi sono veramente sacri; per lui, è cristiano chiunque vive o ha vissuto “con raziocinio”, anche se è vissuto secoli prima di Cristo, passando persino “per senzadio”, come nel caso “dei greci Socrate, Eraclito ed altri del loro livello”. Ancora più intensa fu la promozione di questo processo con Clemente di Alessandria che, instancabilmente e con assoluta intenzionalità, fa trasmigrare clandestinamente la filosofia pagana nel mondo cristiano, facendo della religione cristiana una vera e propria filosofia religiosa; a suo avviso, solo la filosofia, già prima di Cristo, ha redento gli uomini, e la filosofia per giunta educa i Greci conducendoli a Cristo, e ciò in modo tale che un cristiano non sarebbe in grado di comprendere Dio senza la cultura greca. Solo in virtù di questo suo metodo Clemente, pur non essendo riconosciuto santo da Roma, “ha reso il Cristianesimo capace di conquistare il mondo antico”. Il medesimo vale per l”’eretico” Origene, il quale pure traghetta globalmente nel Cristianesimo la cultura pagana, nella formulazione del suo concetto di Dio, della sua cosmologia, pedagogia, della sua dottrina del logos e della virtù, della sua antropologia e filosofia della libertà; per lui, similmente, solo il greco colto è il cristiano perfetto. Nella sua opera in 10 volumi “Stromateis” andata perduta (forse non a caso) Clemente – se si deve credere al vescovo Eusebio – “comprovò tutte le tesi della nostra religione in base a Platone, Aristotele, Numenio e Cornuto. Il Cristianesimo, visto come “germoglio del tardo ebraismo”, sperimentava così una “totale metamorfosi” per opera appunto di Clemente e di Origene.
Questa immensa capacità di adattamento, che in effetti aiutò i cristiani a vincere, toccò il suo culmine con Agostino il quale, al pari di Clemente, rimise di nuovo consciamente il sapere antico, nella misura in cui poteva servire, al servizio della causa cristiana, in modo addirittura programmatico nel suo scritto “De doctrina christiana“; Agostino anzi, col cinismo che gli è peculiare (solitamente ammantato da frasi di umiltà) arrivò ad asserire: “Ciò che oggi si caratterizza come religione cristiana esisteva già presso gli antichi, e non mancò mai fin dall’inizio della specie umana, fino a quando Cristo apparve in carne ed ossa, da quando cioè la vera religione, che già preesisteva, incominciò ad essere chiamata cristiana”.
In Occidente, per la verità, questa traslazione della civiltà antica avviene molto più lentamente che in Oriente, dove già Basilio, nel suo “Discorso ai giovani“, insegna “come essi possano trarre vantaggio dai libri dei Greci” (sebbene anche lui torni ad elogiare la castità più di tutto il resto: “Noi, o giovani, non teniamo in alcun conto questa vita terrena”; “chi non vuole sprofondare nei piaceri dei sensi come nel fango, deve disprezzare tutte le cose del corpo”, e quindi deve “mortificare il corpo e domarlo come gli assalti d’una bestia feroce” … il solito tema dominante). In Occidente, così almeno sembra, i teologi hanno quasi sempre una cattiva coscienza (se mai i teologi siano in grado di averne una) nei confronti della scienza. Ancora per tutto il III secolo, a questo riguardo, la chiesa occidentale la pensa come Tertulliano. Successivamente, però, si tollera il sapere e l’educazione come una sorta di male necessario, degradando la filosofia a sussidio della teologia, dichiarandola senz’altro ancilla theologiae.

“… SOLO DISPREZZANDO LE SACRE SCRITTURE DI DIO SI OCCUPANO DI GEOMETRIA”

Malfamata, per i cristiani, era perfino la matematica. Ancora nel IV secolo non si voleva accogliere come vescovo Eusebio in Emesa, perché costui si dedicava a studi matematici.
Geometria e scienze affini sono riguardate addirittura come occupazioni empie e sospette. Lo storiografo ecclesiastico Eusebio attacca gli “eretici” in questi termini:

Nutrendo disprezzo per le Sacre Scritture di Dio costoro si occupano di geometria; sono infatti uomini di questo mondo, parlano linguaggi terreni e non conoscono quello che viene dall’alto dei cieli. Studiano con passione la geometria di Euclide. Ammirano Aristotele e Teofrasto. Da alcuni, Galeno viene forse fatto oggetto di venerazione. Dovrei ancora osservare esplicitamente come coloro che utilizzano la scienza dei miscredenti per comprovare la loro eresia, alterando così la fede ingenua delle divine scritture con la perfidia degli empi, non abbiano nulla a che vedere con la fede? In tal modo costoro hanno messo sfrontatamente le mani sugli scritture divine, dando ad intendere di averle migliorate“.

Bersaglio di speciali anatemi da parte della teologia cristiana divenne presto la scienza della natura.
Questo avrà ripercussioni per lungo tempo, e finirà per spingere anche i ricercatori naturalisti sul patibolo. In Occidente, le scienze naturali (e altrettanto, significativamente, la storia) non verranno trattate nel normale insegnamento scolastico. Persino nelle Università esse si imporranno come “discipline” autonome solo a partire dal Settecento. Ma già nella tarda antichità è evidente presso tutti i popoli (ad eccezione tutt’al più della Mesopotamia) una forte decadenza della medicina ed una non meno forte predilezione per 1’occulto. Il patriarca Severo di Antiochia, per esempio, oppure Eznik di Kolb insistono sull’esistenza dei diavoli nell’uomo, respingendo ogni tentativo d’una spiegazione naturale da parte di medici.
Già l’ apologeta Taziano, allievo del santo Giustino, condanna la scienza medica, riconducendola all’influsso di “maligni” spiriti. “È con sottile astuzia, infatti, che i demòni distraggono gli uomini dalla venerazione di Dio, convincendoli ad aver fiducia in erbe e radici”. Si manifesta qui una profonda avversione, peculiare ai primi cristiani, contro la natura, contro ciò che è “immanente” e “terrestre”. Taziano si chiede: “Per quale ragione le persone che pongono la loro fiducia nell’efficacia della materia, non vogliono affidarsi invece a Dio? Perché non vai dal Signore più potente, e preferisci curarti come un cane con le erbe, come il cervo per mezzo di serpenti, il maiale coi granchiolini, il leone con le scimmie? Perché divinizzi ciò che è terreno?”. Così, in ultima analisi, l’intera medicina viene ridotta all’ opera del demonio, agli “spiriti maligni”. “La scienza medica, con tutti i suoi annessi e connessi, trae origine dalla stessa officina di inganni”. Analogamente pensa anche il Tertulliano che si prende beffe tanto dei medici quanto dei naturalisti: un atteggiamento che si aggirerà in forme spettrali, a lungo e in maniera devastante, attraverso il Medioevo e molto oltre.
Naturalmente, Taziano non tiene in nessun conto la scienza della natura. Come si dovrebbe credere a chi afferma che il sole è una massa infuocata, e la luna un corpo celeste come la terra? Queste sono ipotesi controverse e non fatti dimostrati … A che giovano mai … le ricerche sulle dimensioni della terra, sulla posizione degli astri, sull’orbita del sole? A niente! Giacché a tale attività ‘scientifica’ si addice solo uno il cui giudizio è la loro legge”. Qualsiasi altra motivazione meramente naturale non è più richiesta. Le persone che nel IV secolo cercano la spiegazione geofisica di un terremoto (anziché vederne la causa unicamente nell’ira di Dio!) sono segnalate da un vescovo di Brescia nella lista degli “eretici”.
Siccome il supremo criterio per l’accettazione di teorie naturalistiche era la loro conciliabilità con la Bibbia, la conoscenza della natura dovette ora ristagnare, non solo; ma si abbandonò perfino ciò che da tempo era stato acquisito. Così il prestigio della scienza naturale precipitò nella proporzione inversa con cui saliva la considerazione della Bibbia.
La teoria della rotazione della Terra e della sua forma sferica risale già ai filosofi pitagorici Ecfanto e Iceta di Siracusa, vissuti nel V secolo precristiano. Eratostene di Cirene, il più versatile scrittore dell’ellenismo, tratta nel II secolo come già certa la tesi della rotazione terrestre e della sua forma sferica; altrettanto dicasi di Archimede e di altri studiosi. Anche Aristotele la conobbe, e in seguito lo storico e geografo Strabone, Seneca, Plutarco. Ciò nondimeno, la chiesa cristiana abbandonò questa conoscenza per salvaguardare la storia mosaica della creazione e sostenere le tesi bibliche, predicando che la Terra è un disco circondato da mari. Della sua forma sferica gli studenti europei vennero a conoscenza un millennio dopo, nell’alto Medioevo, nelle università arabe di Spagna! E solo alla fine del Medioevo si sarebbe ritornati a quella teoria.
Lattanzio vilipende la scienza della natura come puro e semplice nonsenso. Il dottore della chiesa Ambrogio la respinge radicalmente quale attacco alla maestà di Dio. Il problema delle proprietà o della posizione della Terra non ha per lui il minimo interesse. Spiega che ciò è irrilevante per l’avvenire: “Può bastare di sapere che il testo degli scritti sacri contiene questa osservazione ‘Egli appese la terra sul nulla”‘. Dopo di che, Ambrogio liquida una questione analoga replicando: “Su di ciò basta, come credo, l’esternazione del Signore al suo servo Giobbe, quando parlò attraverso una nube … “. Per contro, il dottore milanese sostiene l’esistenza di parecchi cieli, almeno tre, perché Davide parla di “cieli dei cieli” e Paolo assicura “di essere stato rapito nel terzo cielo”.
Quale concetto abbia Ambrogio della filosofia della natura si evidenzia già dal fatto che afferma, in tutta serietà, come “a contenere sicuramente la filosofia naturale c’è il vangelo intitolato a Giovanni”. Eccone la motivazione: “Perché nessun altro, oso affermare, ha con tanta sublime saggezza scrutato la maestà di Dio, svelandocela in un linguaggio inimitabile”. Non fa meraviglia, quindi, che ad Ambrogio appaia inutile anche la filosofia, visto che ha fuorviato i seguaci di Ario. Eppure egli stesso ne era stato fortemente influenzato, segnatamente dal neoplatonismo, al punto da plagiarne senza scrupoli il massimo esponente Plotino. E nella sua cristiana dottrina sui doveri dei religiosi “De officiis ministrorum“, il vescovo Ambrogio ha ricalcato non solo il titolo di Cicerone, ma in sostanza quasi tutto il resto: forma, struttura, e spesso perfino l’ordine e il procedimento dimostrativo, che egli si limita a cristianizzare. Non è neppure in grado – fatto abbastanza significativo – di organizzare una sua personale deontologia cristiana; ha bisogno di quella dell’ autore pagano, e per di più in misura tale da giustificare lo scherno per cui Cicerone sarebbe diventato, nelle mani di Ambrogio, una specie di padre della chiesa. Ciò nondimeno, il suo giudizio sui “dialettici” è assolutamente negativo, dal momento che condanna senza remissione qualsiasi sapere al di fuori di quello religioso.
Forse è molto istruttivo far comprendere una buona volta l’abito e l’orizzonte mentale dell’uomo che, dopo l’ottavo secolo, per tutto l’Occidente è considerato – insieme con Girolamo, Agostino e papa Gregorio I – tra i massimi padri della chiesa. […]

        Non serve chiudere con una qualche morale fatta da me. Serve una considerazione sola. Oggi siamo come 1500 anni fa. Vi è un attacco violento contro ogni produzione scientifica a fronte a richiami mistici ad un aldilà favoloso che, solo ad alcuni, garantisce un aldiquà lucroso alla faccia anche dei poveri credenti.

Roberto Renzetti

NOTE

(1) E’ utile riportare un passo di  Deschener [2] che spiega come iniziarono le persecuzioni contro i cristiani:

La tolleranza religiosa dei Romani conobbe anche in tempi precedenti talune eccezioni. Dopo il processo pei Baccanali del 186 a.c., col quale il Senato decise l’eliminazione totale dei culti dionisiaci, a Roma morirono i primi martiri di Dioniso, esattamente 250 anni prima della condanna neroniana dei cristiani. Nel 139 a.c. furono scacciati per la prima volta dalla città gli astrologi; nel 58 a.c. furono abbattuti i principali templi di Iside, nuovamente distrutti, dopo la loro ricostruzione, nel 48 d.c., forse a causa dell’attività politica delle comunità dei fedeli. Inoltre fu proibito il culto nazionale gallico dei Druidi, durante il quale si compivano anche sacrifici umani.

Ma in generale i Romani furono assai tolleranti in fatto di religione: i Giudei ebbero piena libertà di culto e non fu pretesa da loro la venerazione delle divinità statali nemmeno dopo la guerra giudaica; furono dispensati persino dai sacrifici per l’imperatore, i cui simulacri furono nuovamente allontanati dal tempio di Gerusalemme. E’ vero però che gli Ebrei non godevano di molta stima, se si eccettuano casi isolati di singoli imperatori, e la repulsione nei loro confronti fin dall’inizio fu trasferita ai cristiani, che ne erano per altro discendenti e coi quali in un primo tempo venivano confusi.

All’incirca fino al governo di Caracalla (211-217) l’odio verso i cristiani derivò più dal popolo, che li respingeva istintivamente, che dall’iniziativa di imperatori o governatori. Erano sospetti politicamente e moralmente per il loro disprezzo di incarichi e dignità pubblici, per il rifiuto del servizio militare, il loro attivismo, il tentativo di sottrarre ai tribunali statali le proprie cause giudiziarie, il rifiuto del giuramento e il capovolgimento totale dei rapporti sociali. Il popolo odiava i cristiani perché si appartavano da tutti, dall’intera vita statale e culturale come pure dalla sua esistenza privata e religiosa. I cristiani non frequentavano il circo né il teatro, e nemmeno le feste e le processioni pagane; nelle famiglie introducevano la discordia e facevano passare per l’unico vero il proprio dio, degradando le altre divinità al rango di figure diaboliche. Bramavano ardentemente la fine del mondo, quella raccapricciante catastrofe che avrebbe recato loro la gioia eterna, e agli altri interminabili tormenti. Tutta la letteratura precristiana pullulava di una radicale condanna della vita antica. I Pagani appaiono come atei, rigonfi d’invidia, di menzogna, odio, desiderio di morte, apertamente interessati soltanto alla sfrenatezza sessuale, a mangiare e a ubriacarsi. Il loro mondo è «nero», maturo per la distruzione «nel sangue e nel fuoco»; i cristiani definivano se stessi «la parte aurea», «Israele di Dio», «popolo eletto», «popolo santo» e tertium genus hominum.

Nessun altro culto dell’antichità conobbe un simile atteggiamento esclusivistico, che contraddiceva il principio stesso del politeismo. I Pagani non pretendevano, come gli Ebrei, di essere il popolo eletto, né, come i cristiani, una nuova schiatta, benché tali formulazioni fossero usuali anche fra loro, che però non se ne servirono mai in forma talmente faziosa e provocatoria. Nessun Pagano convinto negava l’esistenza di divinità diverse e le loro convinzioni religiose non perseguivano alcuna forma di «conversione».

Invece i cristiani, che spregiavano ogni altro culto, erano allora ritenuti nemici di Dio e si attribuiva loro tutto il male possibile, solitamente incesto, omicidi rituali e cannibalismo. Eppure le autorità non prestavano fede a tali racconti dell’orrore, non di rado creduti autentici dalla massa, in assenza di dati di fatto probanti, tant’è che non costituirono mai oggetto di procedimento giudiziario.

Molto maggior peso, tuttavia, esercitava il rifiuto del sacrificio agli dèi. Stato e Religione, allora per i cristiani due mondi diversi, per i Romani erano strettamente connessi, e attribuivano al favore degli dèi i propri successi; favore strettamente legato al compimento di precisi atti sacrali. L’intera vita pubblica era per questa ragione accompagnata da cerimoniali religiosi: il sacrificio, il punto centrale della religione romana, era una pietra di paragone della disciplina civile e della lealtà politica, e la partecipazione era obbligatoria. Per altro era ovvio che ciascuno potesse invocare gli dèi che più gli fossero stati a grado e andare alla ricerca della propria salvazione personale dove gli paresse e piacesse.

Ciò valeva in linea di massima anche per i cristiani.

Le ordinanze degli imperatori di sacrificare agli dèi non erano dirette contro il Cristianesimo in quanto tale né venivano emanati a esclusiva difesa dei culti pagani: si prefiggevano semplicemente l’unità interna dell’impero e lasciavano intatta la libera manifestazione della propria religiosità. Anche durante le persecuzioni più dure, quella di Diocleziano ad esempio, la coazione statale si concentrò esclusivamente sull’adempimento del sacrificio prescritto dalle leggi, e ci si limitò a punire il rifiuto di tale adempimento, mai l’esercizio libero della religione cristiana. Tant’è vero che anche in quella circostanza le chiese conservarono intatti i propri diritti patrimoniali.

Ma per i cristiani l’apoteosi di una persona umana era impensabile, benché essi stessi ne avessero già compiuta una e avessero accolto nel culto del Cristo parecchie forme proprie del culto imperiale. E se un cristiano consumava il sacrificio davanti al simulacro dell’imperatore, la Chiesa considerava tale atto un’apostasia. Ma se un cristiano rifiutava il sacrificio, le autorità e il popolo sentivano il fatto come sacrilego e lesivo della maestà imperiale. E quando nuclei sempre più numerosi si opposero al culto imperiale, lo Stato vi scorse la dissoluzione dell’energia vitale della nazione, la distruzione dell’intero ordinamento della vita romana.

La pace interna dell’impero, faticosamente conquistata e ristabilita da Augusto, la maestà infinita della pax romana (per usare un’espressione di Plinio il Vecchio), scomparve definitivamente con la comparsa dei cristiani: proprio quella medesima condizione che aveva tanto favorito la loro missione fu la loro disfatta. Nel 50 l’imperatore Claudio si vide costretto a cacciare da Roma i Giudei, perché la predicazione cristiana vi aveva indotto occasione di disordini, e anche il primo processo contro i cristiani sotto Nerone (54-68) non fu privo di nessi con le asperrime diatribe dei cristiani anche secondo un documento ecclesiastico della fine del I secolo (nella Prima lettera di Papa Clemente ai Corinti, scritta intorno agli inizi del II secolo, si legge tra l’altro: Per le improvvise disgrazie e avversità capitatevi l’una dietro l’altra, o fratelli, crediamo di aver fatto troppo tardi attenzione alle cose che si discutono da voi, carissimi, all’empia e disgraziata sedizione aberrante ed estranea agli eletti di Dio. Pochi sconsiderati e arroganti l’accesero, giungendo a tal punto di pazzia che il vostro venerabile nome, celebre e amato da tutti gli uomini, è fortemente compromesso. […]A questi uomini che vissero santamente [Pietro e Paolo] si aggiunse una grande schiera di eletti, i quali, soffrendo per invidia molti oltraggi e torture, furono di bellissimo esempio a noi. Per gelosia furono perseguitate le donne, giovanette e fanciulle che soffrirono oltraggi terribili ed empi per la fede. Affrontarono una corsa sicura ed ebbero una ricompensa generosa, esse deboli nel fisico. La gelosia allontanò le mogli dai mariti ed alterò la parola del nostro padre Adamo: “Ecco ella è osso delle mie ossa e carne della mia carne”. La gelosia e la discordia rovinarono molte città e distrussero grandi nazioni.).

Questo primo scontro vero e proprio fra cristiani e Stato Romano avvenne in seguito all’incendio di enormi proporzioni divampato a Roma per sei giorni alla fine di luglio del 64. A torto ne fu accusato Nerone, il quale in quel periodo non era a Roma, ma ad Anzio, ed egli, a sua volta, per distogliere da sé l’accusa infamante, ne accusò i cristiani (Tacito negli Annali 15, 44 scriveva: Nessuno sforzo umano, nessuna elargizione dell’imperatore o sacrificio degli dei riusciva ad allontanare il sospetto che si ritenesse lui il mandante dell’incendio. Quindi, per far cessare la diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e colpì con pene di estrema crudeltà coloro che, odiati per il loro comportamento contro la morale, il popolo chiamava Cristiani. Colui al quale si doveva questo nome, Cristo, nato sotto l’impero di Tiberio, attraverso il procuratore Ponzio Pilato era stato messo a morte; e quella pericolosa superstizione, repressa sul momento, tornava di nuovo a manifestarsi, non solo in Giudea, luogo d’origine di quella sciagura, ma anche a Roma, dove confluisce e si celebra tutto ciò che d’atroce e vergognoso giunge da ogni parte del mondo. Quindi dapprima vennero arrestati coloro che confessavano, in seguito, grazie alle testimonianze dei primi, fu dichiarato colpevole un gran numero di persone non tanto per il crimine di incendio, quanto per odio nei confronti del genere umano. E furono aggiunti anche scherni per coloro che erano destinati a morire, che, con la schiena ricoperta di belve, morissero dilaniati dai cani, o che fossero crocefissi o dati alle fiamme e, tramontato il sole, utilizzati come torce notturne. Per quello spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini ed allestiva uno spettacolo al circo, confuso fra la folla in abito da auriga o salendo su una biga. Quindi, benché le punizioni fossero rivolte contro colpevoli ed uomini che si meritavano l’estremo supplizio, sorgeva una certa compassione nei loro confronti, come se i castighi non fossero stati inflitti per il bene pubblico, ma per sadismo di un solo uomo), senza però pensare di incolparli e di perseguirli a ragione della loro fede; e infatti le motivazioni di carattere religioso non ebbero ruolo alcuno o ne ebbero uno secondario durante la celebrazione del processo. Tanto è vero che l’azione giudiziaria di Nerone fu circoscritta, e ciò significa pur qualcosa, solo ai cristiani di Roma, anche se in seguito furono fabbricati documenti attestanti martiri anche nel resto d’Italia e in Gallia; ma, come afferma un teologo cattolico (Ehrhard, Kirche der Mirtyrer, 21), «tutti questi martirologi non hanno alcun valore storico». D’altra parte, però, non è escluso, anche se è assolutamente indimostrabile, che in quella circostanza a Roma sia stato giustiziato Pietro, e fors’anche Paolo (Cfr. Sulp. Sev., chron. 2,29).

Durante le esecuzioni la fantasia crudele di Nerone celebrò, come è noto, i suoi fasti; in ogni caso tutte le modalità delle condanne capitali (sbranamento ad opera di bestie feroci, crocifissione e rogo) erano specificamente previste dal codice penale romano per gli incendiari, e tale formalismo giuridico venne rispettato dall’imperatore. Anche storici assai ostili a Nerone come Tacito e Svetonio giudicarono equo il processo; Svetonio annoverò l’esecuzione capitale fra le misure buone e ragionevoli dell’imperatore e così anche Tacito, il quale credeva che i cristiani «erano colpevoli e avevano meritato le pene più dure». Né i due storici sottacquero il fatto che Nerone, la cui immagine torbida è stata stravolta dalla Chiesa fino al grottesco, dopo la catastrofe si sforzò di attenuare con tutti i mezzi la disgrazia e promosse con somme enormi la ricostruzione della città più bella e più vivibile, dimostrando generosità e magnificenza con l’eliminazione delle tasse più pesanti, con l’appoggio ai Senatori più poveri guadagnandosi in questo modo una popolarità che durerà anche dopo la sua morte.

Coi successori di Nerone, Galba, Vespasiano e Tito, conquistatore di Gerusalemme, trascorse quasi una generazione senza conflitti coi cristiani. L’imperatore Domiziano, fratello di Tito, fece condannare nel 95 alcune personalità d’alto rango per «empietà», fra le quali un cugino dell’imperatore, il Console Tito Flavio Clemente, giustiziato, mentre fece deportare la moglie Flavia Domitilla su un’isola delle coste italiche. Ma anche questa azione punitiva rimase circoscritta a Roma, senza contare che sussistono notevoli dubbi che costoro fossero effettivamente cristiani.

Tutti i Padri della Chiesa, compreso Agostino, vogliono suscitare l’impressione che i primi secoli siano stati una serie ininterrotta di vasti attacchi alla Chiesa e che tutti gli imperatori siano stati dei selvaggi persecutori di cristiani. In realtà, nel I e ancor più nel II secolo gli imperatori si sentivano troppo forti per curarsi di un’oscura setta di gentucola di basso rango: quando lo Stato interveniva, lo faceva a causa del sentimento ostile del popolo. Né Traiano né Adriano o i loro successori hanno mai proibito espressamente il Cristianesimo. Per esempio, durante il più che ventennale regno di Traiano, a parte poche esecuzioni ordinate da Plinio, è documentato con una certa sicurezza un unico martirio, precisamente quello del vescovo antiocheno Ignazio. Per quasi due secoli, come ha spesso dimostrato l’indagine storiografica, le autorità si comportarono verso il Cristianesimo in modo non meno tollerante che verso tutti gli altri culti pagani.

Le dieci persecuzioni che abitualmente vengono indicate non rispondono alla verità dei fatti storici; come tanti altri fenomeni cristiani, anche il numero dieci riferito alle persecuzioni è una finzione, inventata in analogia alle dieci piaghe d’Egitto. Se si prescinde dal processo neroniano per incendio doloso, è possibile stabilire con certezza solo le persecuzioni avvenute sotto cinque imperatori, dei cinquanta che hanno regnato fra Nerone e Costantino. «Tutte ebbero breve durata e un numero relativamente basso di martiri autentici».

        A fronte di quanto detto da Deschner a proposito delle persecuzioni dei cristiani vi è da aggiungere qualcosa sulla tolleranza romana verso tutte le religioni. Ne abbiamo conferma da alcuni brani del De bello gallico di Giulio Cesare. Cesare entrava in territori abitati da popolazioni che avevano altre religioni, altri dei. Da ciò che scrive egli considerava quegli dei come se fossero proiezioni dei suoi e quindi li trattava con rispetto, allo stesso modo delle credenze di tali popoli. Allo stesso modo con cui operarono tutti i successivi rappresentanti dell’Impero nei territori conquistati, Cesare si dedicò a romanizzare i nomi sacri di quegli dei e le credenze che li circondavano in modo da farli capire ai cittadini di Roma. Nel De bello gallico (VI, 17, 18) leggiamo:

Come dio adorano soprattutto Mercurio. Di costui ci sono moltissime immagini, questi lo dicono inventore di tutte le arti, questi guida delle vie e dei viaggi, credono che questi abbia una potenza grandissima per ricerche di denaro e per i commerci. Dopo questi Apollo, Marte, Giove, Minerva. Su di questi hanno quasi la stessa concezione che (hanno) gli altri popoli: che Apollo cura le malattie, Minerva tramanda i principi delle attività e dei mestieri, Giove detiene il potere dei celesti, Marte governa le guerre. A questi, quando hanno deciso di scontrarsi in battaglia, dedicano per lo più le cose che hanno razziato con la guerra; quando hanno vinto, sacrificano gli animali catturati e radunano le altre cose in un solo luogo. In molte nazioni è possibile vedere tumuli di queste cose innalzati in luoghi sacri; né capita spesso che qualcuno, trascurato lo scrupolo religioso, osi o nascondere presso di sé le cose prese o togliere quelle deposte, per questa cosa è stato stabilito il supplizio più grave con la tortura. I Galli si vantano di essere tutti discendenti dal padre Plutone, e ciò si dice che è stato tramandato dai Druidi per ciò calcolano la durata di ogni periodo non per numero di giorni ma di notti, i mesi e gli inizi degli anni computano così che il giorno segua immediatamente la notte.

(3) Sui martiri Deschner [2] scrive:

Per diventare «martiri» bastava una ferma confessione: si otteneva questo titolo senza la testimonianza della morte, anzi, senza sofferenza alcuna. Solo in un secondo tempo si operò una distinzione fra un puro e semplice «confessore» (confessor) e un «martire» (martys).

Era considerato un martire anche chi, per sottrarsi all’arresto, alla violenza o alla tortura e a un’eventuale apostasia, si precipitava giù da una finestra, si buttava in acqua da una nave o si gettava volontariamente nel fuoco d’un rogo. Il comportamento di questi suicidi viene giustificato assolutamente dagli scrittori ecclesiastici e spesso esaltato.

Il vescovo Dionisio di Alessandria considerava, a quanto pare, dei martiri anche quei cristiani, che durante la fuga morivano per opera di fiere selvagge, di briganti o per malattia. Secondo lui, del pari fuggiasco, v’era gran quantità di tali eroi, ma cita solo il vescovo Cheremone di Nilopoli insieme alla moglie, che, nonostante lunghe ricerche, non furono più ritrovati.

Secondo il Padre della Chiesa Tertulliano a candidati martiri poco affidabili come Pristino, per consolidarne la fede, «l’ultimo giorno, quello dell’interrogatorio, di buon mattino venne somministrato del vino drogato» (Tert., ieiun. 12). Ma ciò, come sostiene Tertulliano, non era «usuale». Tuttavia si veniva incitati al martirio dall’assoluta garanzia della beatitudine eterna: saltando a piè pari l’abituale permanenza transitoria nel mondo sotterraneo, i martiri sarebbero andati dritti dritti in cielo, e non avrebbero solo evitato il «Giudizio Universale», ma sarebbero stati giudici a latere di Cristo. E in seguito non si fecero analoghe promesse ai guerrieri cristiani (il che non sarebbe dovuto mai avvenire!), dicendo che, in caso di morte, sarebbero volati in paradiso direttamente dal campo di battaglia?

Il sacrificio di coloro che morivano per la propria convinzione non viene qui sminuito; hanno fatto e fanno questo certi cattolici nei confronti di altri cristiani, che subirono il martirio fuori della Chiesa: uno storico cattolico dei giorni nostri (Daniell Rops) disprezza tutti i martiri cristiani d’altro credo, chiamandoli «ribelli e traditori nel senso letterale del termine». Tali martiri, senza scorgervi presunzione, come faceva Marc’Aurelio, o irragionevolezza, come Epitteto, possono essere più compianti che ammirati, in quanto sono espressione di fanatismo religioso. Lo stesso Origene vide degli «ipocriti» fra martiri e confessori; anche Herder a proposito del martirio della maggior parte dei cristiani si espresse con altrettanto spirito critico. A parere d’un moderno teologo (Achelis) i casi di resistenza eroica provenivano «in massima parte da giovani, che in quel momento si sentivano chiamati al ruolo degli eroi».

In ogni caso, e ciò è l’elemento più importante, la morte dei martiri non «prova» la «verità» del Cristianesimo, per quanto la Chiesa antica si faccia vanto di questa «testimonianza». E in effetti, quale verità cristiana dovrebbe provare? Quella dei Cattolici? Dei Marcioniti? Dei Montanisti? Dei Novaziani? Tutti quanti costoro ebbero i loro martiri. I martiri poi non sempre incutevano ardimento: dopo il martirio del vescovo Publio di Atene la sua comunità, come ci informa il vescovo Dionisio di Corinto, poco mancò che abbandonasse la propria fede (in Euseb., h.e., 4, 23).

Il numero di tutti i martiri cristiani dei primi tre secoli fu valutato intorno a 15004, cifra assai dubbia, perché è rimasta testimonianza scritta solo di un paio di dozzine di casi. E non è fuori luogo rammentare qui la pochezza delle sofferenze dei cristiani del tempo a paragone con le persecuzioni medioevali di eretici e di streghe. Solo il cattolico Duca d’Alba fece giustiziare in un giorno più di 20.000 protestanti; gli ebrei furono ammazzati dai cristiani a centinaia di migliaia, e le vittime della follia ecclesiastica contro la stregoneria sono state calcolate in circa nove milioni.

Il fiume di sangue che si presume abbia inondato la storia del Cristianesimo antico è in massima parte leggenda. Fu, al contrario, enorme il numero degli apostati, tanto che la Chiesa divenne sempre più larga con essi: se nel Cristianesimo primitivo l’apostasia costituiva peccato mortale imperdonabile, in seguito il rigorismo originario non poteva più essere mantenuto, se la Chiesa voleva sopravvivere. E sopravvisse, ma per l’esattezza non come Chiesa dei Martiri, ma degli Apostati, che, passato il pericolo, rientravano contriti nel suo seno. Durante la persecuzione il vescovo Trofimo sacrificò con quasi tutta la sua comunità, e quando le condizioni lo consentirono, fece penitenza e ridiventò cristiano insieme a tutti gli altri apostati. Cipriano si esprime con favore per una prassi simile: «Nessuno di loro sarebbe tornato alla Chiesa senza la guida di Trofimo». In effetti, un bel trionfo dell’organizzazione. Come scrive Eduard Schwartz, la tattica della Chiesa, con la quale combatté e vinse le proprie battaglie fu «che teste calde coraggiose e uomini di carattere dai nervi d’acciaio dovevano compiere le imprese eroiche, mentre la gran massa se la squagliava, per poi riempire di nuovo i quadri lasciati vuoti, una volta venuta meno la folata della tempesta persecutoria».

Il numero dei martiri cristiani fu, in realtà, tanto ridotto, che poi se ne inventarono premurosamente degli altri, per di più capaci di soffrire e di morire molto più eroicamente e più coraggiosamente dei modesti martiri autentici.

Dal IV al VI secolo, allorché non vi furono pressoché più martiri cattolici, il loro numero si raddoppiò e si triplicò nelle grande comunità ecclesiali orientali, e a Roma divenne nel corso del V secolo otto volte più elevato. I luoghi delle loro sepolture furono indagati a centinaia e a migliaia: quando ci si imbatteva in una tomba antica, subito si ipotizzavano sante carcasse.

Anche il dottore della Chiesa Ambrogio vivificò in tal modo la vita della fede: fu lui l’inventore e il ritrovatore dei santi martiri Gervasio e Protasio, della cui esistenza nessuna sapeva nulla. Quando nel 386 gli Ariani, appoggiati dall’imperatrice Giustina, misero alle strette i cattolici milanesi, i due martiri comunicarono in sogno ad Ambrogio d’essere seppelliti nella sua chiesa. Circondato dalla comunità, il cui zelo religioso era diventato piuttosto fiacco, egli fece scavare e finì per imbattersi davvero nelle loro preziose ossa; la terra era addirittura arrossata, evidentemente del sangue dei due eroi; ci furono subito alcuni miracolucci e l’entusiasmo dei fedeli ebbe una subitanea impennata.

Nel 393 Ambrogio visitò Bologna, e proprio durante tale visita i martiri Agricola e Vitale additarono al vescovo del luogo i propri sepolcri, dove, accanto alle tracce del sangue dei due eroi, si celavano anche i frammenti degli strumenti di tortura adoprati per macellare i due santi uomini.

Ambrogio partecipò attivamente anche a un terzo ritrovamento di due martiri.

In questo modo si arrivò anche ai martiri più antichi, compreso Santo Stefano. Di Giovanni il Battista, alla cui scomparsa definitiva la cristianità non poteva credere, alla fine venne rintracciato non solo il capo a suo tempo mozzato, ma addirittura due teste: il primo cranio del Battista fu recato personalmente nel 391 a Costantinopoli dall’imperatore Teodosio, il secondo fu scoperto nel 452 da un monaco di Emesa. Questi metodi non erano poi tanto nuovi; già i Pagani avevano ritrovato sepolture e reliquie mediante profezie oracolari o altri accadimenti miracolosi, ad esempio i resti di Pelope oppure di Esiodo, entrambi poi utilizzati efficacemente contro le pestilenze.

La maggior parte degli atti dei martiri sono dei falsi, eppure furono considerati tutti quali documenti storici assolutamente degni di fede; e la gran parte di questi martiri fasulli, come ammette un dotto cattolico (Ehrhard), ha goduto della venerazione della Chiesa.

Come parti essenziali del Nuovo Testamento sono rielaborazioni di passi del Vecchio Testamento, allo stesso modo numerosi racconti cristiani sui martiri furono riplasmati su narrazioni ebraiche di martiri, non da ultimo sulla passione di Gesù, a sua volta narrata secondo modelli veterotestamentari.

E’ nota la storia del martirio di Policarpo: sa già della propria morte; entrando nello stadio viene incoraggiato da una voce celeste; non prende fuoco sul rogo ma promana un meraviglioso profumo, il boia è costretto a dargli il colpo di grazia, ma il sangue estingue il fuoco e dalla ferita una colomba prende il volo verso il cielo !

Gli atti di questo martirio sotto il governo di Antonino nel 156 vengono gabellati come la più antica testimonianza oculare sulla morte di un martire cristiano! Eppure questo racconto, col quale ha inizio un nuovo genere letterario cristiano presto popolarissimo, il Martirio Leggendario, indica plasticamente come già nelle scritture più antiche sui martiri fiorisca l’elemento miracolistico e come fin dal principio si tratti non tanto di storiografia, quanto di edificazione, caratteristica presente pari pari già nelle storie dei martiri non cristiani. Ben presto il racconto «storico» viene soppiantato dalla leggenda e dal romanzo martirologico.

I portenti degli eroi cristiani divengono sempre più numerosi e più grandi: animali feroci aizzati contro di loro si accucciano ai loro piedi, leccano le loro ferite, spezzano a morsi le loro catene o crepano per le loro preghiere. Il boia è come paralizzato e può ucciderli solo col loro assenso (Acta Perpet. 21); la mano salvatrice di Dio li afferra anche dalle profondità marine (Euseb., Mart. Palaest. 4). Non c’è crudeltà o diavoleria che gli sgherri pagani non commettano contro i martiri: si estirpano loro i denti, si strappano loro le unghie dei piedi e delle mani, si cavano i loro occhi, si strappa la pelle dal viso e dal resto del corpo, si mette a nudo il loro cuore, li si immerge nell’acqua bollente, nella pece, nell’olio, nel piombo fuso; e nonostante tutto questo non c’è cristiano che batta ciglio !

Al contrario! Col corpo semicarbonizzato istituiscono serenamente comparazioni filosofiche fra la Roma cristiana e pagana; sanguinolenti declamano centinaia di versi o, nonostante la lingua mozzata, tengono lunghe e sonore disquisizioni contro l’idolatria e passeggiano sui carboni ardenti come su un prato di rose. Gli eroi cattolici irridono i loro torturatori, compatiscono la loro subitanea stanchezza, consigliano nuove e inaudite torture, li pregano di arrostirli per benino da entrambe le parti, oppure, come la vergine Maura, ordinano dal fondo della pentola d’acqua bollente di riattizzare il fuoco.

San Giorgio, il draghicida, il combattente invincibile, che molto probabilmente ha preso il posto della bellicosa divinità arabica Teandrite, resistette alla tortura nel pentolone gorgogliante, benché prima fosse stato ben bene affettato. I raffinatissimi tormenti e, fra l’altro, il ripetuto smembramento furono sopportati da costui per non meno di sette anni, e perciò è venerato oggi dalla Chiesa orientale a buon diritto come l’Arcimartire; i cattolici lo han fatto patrono dei cavalieri, gli Inglesi addirittura il Santo nazionale. Probabilmente, però, era un «eretico», precisamente un Ariano, e solo la leggenda lo ha trasformato in cattolico.

I martiri guariscono, esorcizzano demoni, abbattono al suolo idoli e templi interi, e dietro loro invocazione il persecutore spesso viene raggiunto su due piedi dalla punizione celeste. Ma per il fatto che prima o poi devono morire, determinati tratti diventano schematicamente ricorrenti, come l’assenza di dolore nella morte o il portentoso profumo dei corpi martirizzati.

Hanno un ruolo molto importante le vergini, di cui viene minacciata la cosa più sacra, o le puttane, convertite da un martire alla purezza di vita. Nel martirologio di Agata, la vergine cristiana rimane salda in compagnia di una donna, le cui nove figlie sono la quintessenza della depravazione; le si taglia il seno, ma questo ricresce (Acta Agathae, 8 sg.). Negli atti di Cristoforo, l’eroe cristiano è allocato con due graziose divette in una chambre séparée, ma non soggiace al loro fascino malizioso; al contrario, riesce a convertire le pulzelle, che poco dopo subiscono il martirio dopo terribili tormenti e torture (Acta Christophori, 11 sgg.). Un giudice offre la propria figlia in sposa al martire, e lo stesso imperatore vuole impalmare una cristiana e farle erigere statue per tutta la regione, a patto che rinneghi la sua fede (Passio Calliopii. Mart. Pauli et Julianae).

Passa come prima martire Santa Tecla, benché pare sia sfuggita alla terribile sorte mediante un miracolo. D’altra parte però la Chiesa, stranamente, non fa uso del martirio della moglie del principe degli Apostoli Pietro tramandato da un padre della Chiesa.

Insomma, i cristiani muoiono a schiere innumerevoli, come nella storia inventata da Prudenzio, che racconta di 300 suicidi, i quali, per evitare il sacrificio, si precipitano in una vasca di calce viva durante la persecuzione di Valeriano. Sotto Diocleziano parrebbe che l’intera Legione Tebaica, non meno di 6600 uomini, abbia sofferto in Svezia la morte dei martiri, come sostiene per la prima volta quasi un secolo e mezzo dopo il vescovo Eucherio di Lugdunum, evento oggi assai poco creduto persino da teologi di parte cattolica.

In quel periodo i fabbricanti cristiani di leggende inventarono il martirio di 10.000 cristiani, crocifissi sul monte Ararat. E sotto Licinio, in Antiochia, si fece ottenere la palma del martirio a un certo San Pappo insieme a 24.000 compagni: gli eroi cattolici si dissanguarono nel giro di cinque giorni su un’unica roccia. Per l’occasione, come per la morte di Cristo, si verificò un terribile terremoto e da quel momento si verificarono guarigioni e segni miracolosi «per chiunque» si fosse recato alle loro tombe. La falsificazione conclude non senza un’impressionante invocazione al cielo e ai suoi 24001 santi freschi di giornata:

«Tutto ciò e più di ciò è avvenuto ai nostri giorni, e noi lo abbiamo visto coi nostri occhi (!). Noi tutti preghiamo nel duolo il nostro Signore perché garantisca sicurezza alla sua Chiesa e al suo popolo, tramite la preghiera della santa Vergine Maria, la Teotoca, e di San Pappo e dei suoi compagni e di tutti i santi nei secoli dei secoli. Amen. Finisce qui la storia di San Pappo e dei suoi 24.000 santi ch’eran con lui. La loro preghiera sia con noi! Amen».

(4) La pratica dell’agapete fu soppressa definitivamente nel 1139, sotto il pontificato di Innocenzo III, dal Concilio Lateranense II.

(5) Maria Maddalena è nota anche come Maria di Magdala o Myriam di Magdala. Il riconoscerla come protettrice delle prostitute è una vera menzogna, almeno stando a ciò che i Vangeli raccontano, proprio perché i Vangeli in nessun luogo affermano che Maria di Magdala sia stata una prostituta, a meno di non credere a superficiali identificazioni con altri personaggi evangelici come Maria di Betania per il fatto che ambedue queste Marie avrebbero lavato i piedi di Gesù. Tale confusione, e come no ?, nacque da Papa Gregorio I (540-604), naturalmente Santo (vi era anche un’altra Maria prostituta con cui poter confondere la Maddalena, era una donna che, come racconta Luca, Gesù avrebbe conosciuto nella casa di un fariseo in Galilea. Anche questa donna lavò i piedi di Gesù con il suo pianto e li asciugò con i suoi capelli. L’apocrifo Vangelo di Filippo addirittura parla della Maddalena come compagna di Gesù. Da ciò deriva tutta una storia secondo cui Gesù e la Maddalena avrebbero avuto un figlio che la donna avrebbe salvato scappando, dopo la crocifissione, nella Francia del Sud. Tale figlio sarebbe stato alla testa della dinastia dei Merovingi che regnò in Francia dal V all’VIII secolo ed anche l’origine dei fortissimi movimenti ereticali che si svilupparono in quelle zone della Francia. Da qui la leggenda del Santo Graal che non sarebbe altro che Sang Real, il sangue reale della stirpe merovingia discendente da Gesù.

(6) La verginità di Maria ha portato la Chiesa a posizioni che se non fossero folli, sarebbero ridicole. Facendo l’ipotesi che Gesù sia stato concepito senza alcun rapporto sessuale (è successo a giovanette che hanno dormito in un letto dove precedentemente si era consumato un rapporto sessuale), è irragionevole supporre che il parto abbia mantenuto la verginità. Ed il parto è uno dei momenti che, biblicamente, rendono l’uomo un uomo, un essere che nasce dal dolore della madre. Ma la Chiesa sostiene che Maria è Vergine prima, durante e dopo il parto (la purificazione è stata tutta una messa in scena ?). Da qui le sciocchezze di Sant’Agostino (un dottore della Chiesa) che rimurginava l’ipotesi di Gesù nato da un orecchio di Maria. Ognuno è comunque libero di credere a ciò che vuole … Contento lui !

(7) Anche Pitagora ha tratti biografici che assomigliano a quelli di Gesù. Fu, appunto venerato da vivo come un dio, guarì i malati nell’anima e nel corpo, fece vari miracoli, fu insultato e perseguitato, morì andando agli Inferi per resuscitare poco dopo.

(8) Per trovare tutte le deformazioni paoline del pensiero di Gesù si veda Deschner [2] pagg. 142-172.

(9) La derivazione pagana della Verginità di Maria è discussa in Deschner [3], pagg. 315-318. Ed anche qui e qui. Più in generale, il culto della Madonna, sebbene contenga elementi sincretistici di varia provenienza, deriva principalmente dal culto di Iside. E’ Iside che era definita “la Vergine”, come del resto molte altre madri di eroi divini secondo i miti mediterranei. Poiché Iside rappresentava la notte molte sue statue erano nere e questo spiega l’esistenza di “madonne nere”. Tuttora esistono più di 450 luoghi in cui si trovano Madonne Nere. E’ stato appurato, da reperti, che moltissime chiese cattoliche sono sorte su antichi templi di Iside. Anche le feste dedicate a Maria sono la trasformazione, anzi per meglio dire il proseguimento, di antiche feste dedicate alle madonne pagane.

(10) Discutendo dei luoghi dell’aldilà, Paradiso, Inferno e Purgatorio, Papa Giovanni Paolo II sostenne che essi sono luoghi dello spirito con nulla di materiale. La domanda allora è: Dove sono i corpi di Gesù e di Maria ?

(11) I Decreti di Teodosio:

24 febbraio 391

« L’Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del pretorio.

Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.

Milano, in data VI calende di marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco. »

11 maggio 391

« Gli augusti imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del pretorio.

Coloro che hanno tradito la santa fede [cristiana] e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: dalla testimonianza [in tribunale] siano esentati, e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, da nessuno siano indicati come eredi. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano e essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche del voto degli uomini siano privati.

Se casomai nello stato precedente [il paganesimo] ritornano [i neo-converiti], non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale Dio hanno riconosciuto, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Poiché sia portato soccorso ai lapsi e agli erranti, non ci sia rimedio di penitenza alla vera perdizione, cioè alla profanazione del santo battesimo, la quale [penitenza] solitamente per gli altri crimini soccorre per giovare.

A Concordia, in data V idi di marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco »

16 giugno 391

« L’Augusto Imperatore (Teodosio) al prefetto Evagrio e a Romano conte d’Egitto.

A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dèi e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.

Aquileia, in data XVI calende di luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco. »

8 novembre 392

« Gli augusti imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio a Rufino prefetto del pretorio.

Nessuno, di qualunque genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra (alcuna) vittima innocente (agli dèi) o bruci segretamente un sacrificio ai lari, ai geni, ai penati, accenda fuochi, offra incensi, apponga corone (a questi idoli). Poiché se si ascolterà che qualcuna avrà immolato una vittima sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di (lesa) maestà e accolga la sentenza competente, benché non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza (Dio) o contro la (sua) salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa (da quella cristiana), promettere una speranza diversa.

Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una ingiuria alla piena religione (cristiana), è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso, se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre di oro di multa si propone di infliggere (al sacrificante), è bene poi essere indulgenti verso lui (il padrone) e la pena trattenere.

Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro scoperti (negligenti), quelli accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono (gli accusati di idolatria) con finzione, saranno multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso.

Constantinopoli, in data VI idi di novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino. »

(12) Scrive ancora Donini che è superficiale l’individuare una sovrapposizione tra divinità greche e romane:

Le dodici grandi divinità olimpiche, sei maschili e sei femminili, vennero più tardi adottate dai romani e identificate con le figure centrali del loro bagaglio mitologico, sino a far parlare, talvolta, di un’unica religione greco-romana. Si tratta naturalmente di illazioni del tutto ingiustificate sul terreno storico, dovute ben più all’influenza esercitata in età classica dalla cultura greca e a sensibili analogie di carattere sociale, che non a reali affinità religiose. Così è avvenuto per Zeus e la sua sposa Era (Giove e Giunone), Posidone sovrano dei mari (Nettuno), Apollo dio del sole, Ares dio della guerra (Marte), Efesto, il dio-fabbro (Vulcano), Ermete, patrono del commercio (Mercurio), Atena, dea della saggezza (Minerva), Artemide (Diana), Afrodite (Venere), Demétra, dea delle messi ed Estia, dea del focolare (Vesta).
Queste identificazioni non devono trarre in inganno. L’antica religione di Roma, piccola comunità tribale passata poi a immenso impero, si differenzia profondamente da quella della Grecia. Essa deve ben più al sostrato italico ed etrusco, che non all’apporto ellenico. Mercurio, ad esempio, ha preso il nome da una famiglia etrusca, «Mercu», che si ritrova nella parola «merce», ed ha ben poco a che vedere con la sua controparte greca, Ermete;Giunone, «la giovane», patrona degli agglomerati urbani, deriva dall’etrusca Uni e Minerva (in etrusco Menerva) era in origine una divinità guerriera degli italici, ben diversa da Atena. In genere, inoltre, gli dèi etruschi venivano raggruppati a «triadi», e non a coppie.

(13) Come tutti i martiri abbiamo a che fare con prodigi incredibili. Senza commenti riporto le meraviglie di questo giovane santo:

Venanzio giovanetto di quindici anni apparteneva ad una nobile famiglia di Camerino, fattosi cristiano, lasciò tutte le comodità in cui era vissuto ed andò a vivere presso il prete Porfirio.
Venne ricercato dalle autorità pagane della città e minacciato di tormenti e di morte se non fosse ritornato al culto degli dei, in esecuzione degli editti imperiali. Venanzio adolescente per età, ma dalla forte personalità per la fede ricevuta, si rifiuta e quindi viene sottoposto a flagellazioni, pene di fumo, fuoco, eculeo (cavalletto), ne esce sempre incolume e per questo raccoglie conversioni fra i pagani curiosi e gli stessi persecutori.
Resta imprigionato e viene ancora tormentato con i carboni accesi sul capo, gli vengono spezzati i denti e mandibola, gettato in un letamaio, Venanzio resiste ancora, allora viene dato in pasto a cinque leoni affamati, ma questi gli si accucciano inoffensivi ai suoi piedi.
Ancora incarcerato, può accogliere ammalati di ogni genere che gli fanno visita ammirati ed imploranti, ed egli ridona a loro la salute del corpo e dell’anima, convertendoli al cristianesimo. Ormai esasperato, il prefetto della città lo fa gettare dalle mura, ma ancora una volta lo ritrovano salvo, mentre canta le lodi a Dio.
Viene legato e trascinato attraverso le sterpaglie della campagna e anche in questa occasione opera un prodigio, facendo sgorgare una sorgente da uno scoglio per dissetare i soldati, operando così altre conversioni.
Alla fine, il 18 maggio del 251, sotto l’imperatore Decio o nel 253 sotto l’imperatore Valeriano, viene decapitato insieme ad altri dieci cristiani; mettendo così fine a questa galleria di orrori, che è difficile credere a tanta crudeltà, messa in atto da un popolo che dominava il mondo di allora, sì con la forza ma suscitando anche cultura, arte, diritto, civiltà.

Altre meraviglie di santi sono state raccolte in Le assurde storie dei Santi che riporto di seguito:

San Romano

È stato scritto: Il terrificante Diocleziano come ogni giorno andava a caccia di cristiani, questo barbaro imperatore aveva gli occhi rossi come il demonio. Incontrò un povero ragazzo di nome Romano che pregava Gesù e per questo fu condannato a morte. Fu condannato a bruciare vivo.

Durante l’ esecuzione c’ erano tre giudei che canzonavano il povero ragazzo: “Dov’ è adesso il tuo Gesù ? Ah! Ah! Ah!”. All’ improvviso le fiamme che avvolgevano il piccolo Romano si staccarono da lui e andarono a bruciare i tre giudei. Diocleziano stesso sorpreso, impaurito, decise di sospendere l’ esecuzione.

Poco tempo dopo mentre san Romano predicava il vangelo parlando di Gesù per ore, un giudice pagano di un villaggio condannò il giovane al taglio della lingua.

Il primo chirurgo dell’ imperatore tagliò di netto la lingua al giovane ragazzo e lo schernì: “Eh! Eh! Eh! Voglio vedere adesso come parlerai ancora di Gesù”.

Ma san Romano, con tutta la lingua tagliata, si mise subito a predicare il Vangelo ancora con più destrezza e volubilità mandando in visibilio tutto il popolo.

San Giuseppe da Copertino
Spesso andava in estasi e parlava con Dio. Rimaneva immobile come una statua, insensibile come la pietra, e nulla poteva smuoverlo. Qualunque cosa si riferisse al Signore lo poneva in uno stato di contemplazione. Ciò succedeva anche quando vedeva un dipinto religioso, oppure quando udiva il suono di una campana, musica sacra, il nome di Dio, della Vergine Maria o di un Santo. I suoi confratelli potevano pungerlo con gli spilli o bruciarlo con tizzoni ardenti nel tentativo di risvegliarlo, ma egli non si accorgeva di nulla.
Frequentemente si sollevava dal suolo e rimaneva sospeso nell’aria: in chiesa, gli succedeva di volare verso l’altare o al di sopra di esso. Fu visto levitare dalla gente oltre settanta volte, mentre diceva la Messa o pregava. Poteva accadere che egli stesse pregando dinanzi ad una statua in giardino, ed i frati lo vedessero sollevarsi in aria, ancora inginocchiato.
Una folla incessante gli chiedeva aiuto e consiglio ed egli convertì molta gente ad una vita veramente cristiana. Giuseppe compì molti miracoli, specialmente fra la povera gente. Toccava occhi ciechi, ed essi vedevano, prendeva in braccio un bambino malato e lo guariva, trascrisse la benedizione di S. Francesco e tale foglio, fatto circolare in paese, compì meraviglie.
Quando i confratelli venivano a parlargli, egli leggeva immediatamente nei loro pensieri, e talvolta apprendeva molto più di quanto essi avrebbero voluto.

San Patrizio
La storia più celebre che lo riguarda è quella relativa alla cacciata di tutti i serpenti dall’Irlanda. San Patrizio intimò a tutti i serpenti di tornare nel mare, ma uno dei serpenti più anziani si rifiutò. Il santo allora realizzò una scatola, tentando di invogliare il serpente ad entrarvi, sostenendo che era un posto ideale per riposarsi. Il serpente, però, affermò che la scatola era troppo piccola, ma il santo ribatté che la grandezza era più che sufficiente. Il diverbio proseguì in questa maniera per lungo tempo finché il serpente, ormai annoiato dalla controversia, scivolò nella scatola per dimostrare al santo che era realmente piccola. San Patrizio chiuse prontamente la scatola e la scagliò con forza in mare, con dentro il serpente. La leggenda del “pozzo di San Patrizio”, ha origine da quella volta in cui il santo disegnò un cerchio per terra e in quel punto si aprì subito un pozzo molto profondo. Patrizio ebbe poi la rivelazione che quella era l’entrata del purgatorio e, chi voleva espiare i propri peccati poteva scendere nel pozzo, salvandosi così dal purgatorio dopo la morte.

San Rocco
Dopo la morte del padre, Rocco, che all’epoca aveva vent’anni, si recò a Roma, a quel tempo piagata dalla peste, per curare gli appestati. Venne però anche lui infettato dalla malattia, mentre si trovava in ospedale e, al mattino seguente aveva la febbre alta e una gigantesca ulcera sulla gamba sinistra. Non volendo dare fastidio agli altri malati, fuggì nel bosco, attendendo la morte. Vennero così in suo aiuto un angelo e un cane (che assieme ai segni della peste è un simbolo del santo), che gli curavano le ferite e gli portavano del cibo tutti i giorni.
In seguito venne accusato di spionaggio e passò cinque anni in prigione. Uscito di prigione vide se stesso morto e vicino al suo corpo un biglietto sulle quali erano scritte queste parole: “gli appestati che pregheranno tramite le benemerenze e le mediazioni di Rocco, servo di Dio, si risaneranno”.

San Gregorio Magno
Una delle storie più famose è quella della messa di San Gregorio. La storia ci narra di un uomo che metteva in dubbio il fatto che Cristo fosse realmente presente sull’altare durante la messa, così Gregorio pregò ardentemente affinché Cristo comparisse durante la messa. Appena il santo finì la preghiera, Cristo apparve sull’altare con gli strumenti della passione. Secondo altre fonti, l’uomo venne convinto della presenza di Cristo quando Gregorio prese in mano un ostia che iniziò a sanguinare. Un’altra storia racconta che il segretario di San Gregorio, Giovanni Diacono, era solito osservare la presenza di una colomba appoggiata sopra la spalla del santo, che era in realtà lo Spirito Santo che assumeva tali sembianze.

Santa Giovanna d’Arco
Dio le ordinò di combattere una guerra contro gli Inglesi. Gli inglesi la processarono con l’accusa di stregoneria, e sembra che mentre era in carcere venne violentata da un lord, anche se poi risultò vergine a un esame medico.

San Francesco d’Assisi
Una notte ebbe una visione nella quale Gesù gli mostrava una stanza colma di gioielli dicendogli tutto ciò sarebbe andato a chi si sarebbe battuto per la sua causa.
Molte sono le storie su San Francesco in particolare quelle legate al suo predicare agli animali. Oltre alle sue famose predicazioni agli uccelli sull’amore di Dio, la vicenda più famosa è quella del lupo di Gubbio. Il lupo faceva razzia per le campagne e terrorizzava la popolazione, così il santo gli parlò, promettendogli che se non avrebbe più aggredito gli abitanti del luogo, loro stessi lo avrebbero sfamato. Il lupo non fu più una minaccia, e anzi diventò amico della persone. San Francesco che ammansisce il lupo è uno dei suoi miracoli più rappresentati nell’arte

Santa Chiara
Chiara fermò i Saraceni che accerchiavano Assisi pur essendo costretta a letto. Quando giunsero nelle vicinanze del convento, ella si alzò dal suo letto, e mise la pisside con al suo interno l’ostia consacrata per la messa sulla soglia del convento. Così, quando i Saraceni intravidero la pisside, si ritirarono dalla città senza che questa fosse nemmeno toccata

San Brandano
Brandano è conosciuto per la sua presunta traversata alla ricerca del Paradiso Terrestre, che secondo alcune credenze popolari si trovava in un’isola in mezzo al mare. Questa leggenda viene narrata nella Navigatio Sancti Brendani, opera che nel medioevo fu tradotta in molte lingue europee, ricca di avventure alcune delle quali derivate da antichi miti pagani irlandesi. Questa leggenda ebbe per molti secoli un grande richiamo: basti pensare, infatti, che fino XVIII secolo, alcune carte geografiche segnalavano l’Isola di San Brandano, cioè il Paradiso Terrestre, a ovest dell’Irlanda. Proprio per questa segnalazione furono molte le esplorazioni che partirono alla ricerca dell’isola soprattutto portoghesi e spagnole. Si racconta che, la notte di Natale, prima di giungere nel Paradiso Terrestre, San Brandano incontra Giuda, seduto su una roccia. Qui, Giuda può riposare durante i giorni di festa, grazie all’unica buona azione da lui compiuta in tutta la sua esistenza.

San Bernardino da Chiaravalle

Mentre Bernardo stava scrivendo il Commentario al Cantico dei Cantici, in lode alla Vergine Maria, ella gli si manifestò, e bagnò le labbra del santo con il latte del suo petto. Da quel giorno, Bernardo ebbe il dono di una portentosa forza espressiva.

Nota: a lui si deve in parte la Seconda Crociata, in cui vennero uccisi molti più ebrei in Europa che musulmani in Terra Santa.

San Bernardino da Siena
Il santo, essendo costretto ad attraversare un fiume per arrivare a Mantova e non avendo soldi per pagare il battello, venne lasciato a terra dal traghettatore. Così si tolse il mantello, e poggiandolo sull’acqua, attraversò il fiume.

Sant’Antonio da Padova
Quando alcuni eretici si erano rifiutati di credere alle sue parole, il Santo li portò in riva al mare nella città di Rimini e cominciò a predicare ai pesci, che lo ascoltavano con la testa fuori dall’acqua. Vedendo questo straordinario avvenimento, tutti i presenti vennero convertiti dal santo. Un giorno al cospetto del papa e dei cardinali, parlò in un modo così espressivo, così dolce ed erudito, che tutti i presenti, sebbene parlassero lingue differenti, compresero ciò che egli diceva, come se avesse parlato nella lingua di ognuno.

Sant’Ambrogio
Mentre Ambrogio appena nato dormiva nella culla, venne assalito da uno sciame di api che si avvicinò al suo volto: alcune di esse entrarono ed uscirono dalla bocca socchiusa senza recare alcun danno al lattante ma anzi depositando del miele, come segno della sua futura saggezza.

Una donna ariana, a Sirmio, in Pannonia attendeva Ambrogio presso il presbiterio per buttarlo giù dall’altare. Presolo x le vesti, stava già strattonandolo violentemente quando il vescovo, liberatosi dalla stretta, l’ammonì: “Prega che il Signore non ti punisca!”. Arika morì pochi giorni dopo. Diversi altri attentatori in più di un occasione hanno minacciato l’integrità fisica del santo, rimanendone, nel migliore dei casi, paralizzati.

La domenica delle Palme dell’835, nel corso della consueta processione a S. Ambrogio, il suo successore Angilberto II perse l’anello che portava al dito; nell’anello era incastonato un dente di S. Ambrogio. La processione venne interrotta e tutti si misero a cercare ma.. niente. Una donna molto anziana attirò l’attenzione di Angilberto e gli suggerì, prima di svanire nel nulla, di cercare il dente là dove l’aveva prelevato. E, con immenso stupore di tutti, scoperchiata la cassa, il dente si trovava al suo posto, nella mascella del santo.

Santa Teresa d’Avila

Dichiarò: “un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. il dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. quando l’angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per dio.”

Nota: qui Freud avrebbe da divertirsi.

San Carlo Borromeo

Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita: “e circa mezz’ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell’Arcivescovado, e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell’oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibugio carico di palla e di quadretti, li quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore)”. Nota: San Carlo Borromeo fece torturare, processare ed uccidere molti innocenti accusati di stregoneria, proprio un sant’uomo.

Le storie meno assurde dei Santi sono comunque assurde. In tal senso, le storie meno inverosimili parrebbero quelle di Padre Pio, ma se si vanno a leggere ci si accorge benissimo dell’assurdità estrema di queste situazioni.

Proviamo a scoprire queste storie attraverso i racconti e le testimonianze della sua più aggiornata agiografia ufficiale, quella pubblicata a puntate sul prestigioso settimanale “Dipiù”, di cui riportiamo di seguito alcuni illuminanti stralci:

SATANA GLI STRAPPAVA LA PENNA DI MANO ~ Raccontiamo le tentazioni e le vessazioni del Santo di Pietrelcina • Quando scriveva lo assalivano il mal di testa e “un acutissimo dolore al braccio destro” • “Da giovedì a sabato è una tragedia” • “Sono afflitto da quel Barbablù”»
[Dipiù n.1, 8 gennaio 2007]

«COSÌ L’ANGELO CUSTODE LO LASCIÒ A SATANA ~ “Sgridai l’angelo d’essersi fatto aspettare mentre io lo chiamavo in mio soccorso” • “Mi immergeva nel fuoco” • “Padre mio, mi sento debole” • “Vogliono indurmi nelle loro reti”»
[Dipiù n.2, 15 gennaio 2007]

«SATANA SPORCAVA LE LETTERE DI PADRE PIO ~ Rendeva illeggibile la corrispondenza del frate macchiandola con l’inchiostro • Il suo “angelino” lo ascoltava • “Barbablù vorrebbe finirmi”»
[Dipiù n.3, 22 gennaio 2007]

«I DEMONI NON LO FACEVANO DORMIRE LA NOTTE ~ Nell’oscurità veniva svegliato, aggredito e malmenato da presenze malvagie • “Quei cosacci mi tormentano”»
[Dipiù n.4, 29 gennaio 2007]

«I DEMONI LO SVESTIVANO PER PICCHIARLO ~ “Più di una volta sono giunti a togliermi la camicia e a percuotermi in tale stato” • Ma Gesù gli ripeteva sempre: “Non temere” • Il fracasso svegliava il Vaticano • La mamma temeva per la sua salute • “Mi hanno percosso ogni giorno” • “Il Signore manterrà le promesse”»
[Dipiù n.5, 5 febbraio 2007]

«”SATANA TORMENTA LA MIA ANIMA” ~ Scrisse Padre Pio: “Tutto l’inferno su di lei si riversa con i suoi ruggiti cavernosi” • “Gesù è sempre amoroso con me” • “Pensai a un gioco dei demoni” • “Il mio cuore prova strettezze”»
[Dipiù n.6, 12 febbraio 2007]

«IL DIAVOLO TORMENTAVA UNA SUA FEDELE ~ Padre Pio si preoccupava per una donna pugliese: “Satana le sta facendo guerra” • Tra i tanti dispetti, cercò di sconvolgerle la mente • “Approfittano della mia debolezza” • “Il demonio va infierendo” • “Non ha smesso nessuna mala arte”»
[Dipiù n.7, 19 febbraio 2007]

«COSÌ IL DIAVOLO LO SPINGEVA ALLA BESTEMMIA ~ “Il demonio strepita e ruggisce attorno alla mia povera volontà” • “Un dubbio perenne mi attraversa l’animo in tutte le mie azioni” • “I nemici insorgono di continuo” • “Le più fitte tenebre regnano” • “Che agonia, che terrore!”»
[Dipiù n.8, 24 febbraio 2007]

«SATANA GLI STRAPPAVA LA FEDE ~ “I di lui assalti sono violenti e assidui: l’anima mia è discesa all’Inferno”, scriveva il frate con le stimmate • “Le forze fisiche e morali si vanno sempre più debilitando” • “Nascono pensieri di bestemmia” • “Il demonio strepita e ruggisce” • “Non gliel’ho mai data per vinta” • “L’attentato è forte e formidabile”»
[Dipiù n.9, 5 marzo 2007]

«I DEMONI LO FERMAVANO PER LA STRADA ~ “Mo’ passa ‘o santariello!”, gli gridavano irridendolo, per poi malmenarlo • Ma nei loro confronti reagiva dicendo: “Schiattate!” • “Ho assiduo Satana presso di me”»
[Dipiù n.10, 12 marzo 2007]

«IL DIAVOLO GLI APPARIVA MASCHERATO ~ Assumeva le sembianze “dell’Angelo Custode, di San Francesco, di Maria Santissima” • “Sospinge l’anima a cedere” • “Io non ho colpa in ciò che avviene”»
[Dipiù n.11, 19 marzo 2007]

«NELLA SUA STANZA LOTTAVA CON IL DEMONIO ~ Ogni sera, nel convento c’era una colluttazione che spaventava i confratelli • “Si sentono rumori fortissimi” • “Era pallido e respirava a fatica” • Tremava tutto il refettorio • “Per rabbia, Satana schiattò”»
[Dipiù n.12, 26 marzo 2007]

«SATANA GLI APPARVE COME UN CANE RABBIOSO ~ “Vidi l’animalaccio spiccare un salto sul davanzale della finestra e poi sparire” • Dopo la lotta era tutto sudato • “Si sentiva un forte odore di zolfo” • “Dalla bocca usciva il fumo” • Per liberarsi invocava Gesù»
[Dipiù n.13, 2 aprile 2007]

«IL DIAVOLO GLI APPARVE TRAVESTITO DA FRATE ~ Ma aveva una strana ferita in fronte: il Santo si mise in guardia e lo riconobbe • Una volta stava quasi per cascarci • Satana cercava di fiaccargli l’animo e spegnere la Fede • Usciva dalle lotte assai malconcio • “Il demonio arrivò a mezzanotte” • “Gettò la Madonna contro le imposte”»
[Dipiù n.14, 9 aprile 2007]

«IL DIAVOLO GLI AUGURAVA UNA BRUTTA FINE ~ Al frate apparve una folla di demoni che gridava: “Vogliamo la morte di Padre Pio!” • Si sentivano rumori e sghignazzate • “Fui bastonato ma ho vinto” • “La Madonna mi diede un’arma” • Strappava le anime al maligno»
[Dipiù n.15, 16 aprile 2007]

«IL SUO SCONTRO CON IL DIAVOLO CREÒ SCANDALO ~ Dicevano che fosse invasato e avesse rapporti peccaminosi con le fedeli • Accadde una vicenda incredibile • Scoppiò un dramma insanabile • Lo controllavano con il registratore»
[Dipiù n.16, 23 aprile 2007]

E non mancano innumerevoli storie assurde inventate come la seguente ambientata durante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale:

« Stavano sorvolando il Gargano, quando all’improvviso qualcosa di insolito si materializzava in cielo tra le nuvole. Uno stormo di uccelli? No. Un caccia Heinkel della Luftwaffe? No, neppure quello. I rapporti citavano “qualcosa o qualcuno non identificato”, ma i piloti, in confidenza, sussurravano di un frate con la barba e le braccia aperte. I più stupiti erano i piloti ebrei, metodisti, anglicani, mormoni… “ho visto un frate cattolico…Ma ti giuro io non sono cattolico e i monaci non li posso soffrire!”. »

« “Comandante, è inspiegabile: mentre stavo per premere il pulsante delle bombe, improvvisamente è apparso in cielo, tra le nuvole, un uomo gigantesco con la barba, un frate barbuto, a braccia aperte con lo sguardo di ghiaccio, mi ha obbligato a tornare alla base”. Il giorno dopo il comandante della Raf, l’aviazione inglese, inviò sul cielo di San Giovanni Rotondo altri due aerei da combattimento. Ma anche questi tornarono alla base senza colpire il paese di Padre Pio. “Volavamo in formazione, ad alta quota, pronti a sganciare sull’obiettivo previsto, il deposito di materiale bellico e di carburante che i tedeschi hanno costruito nei pressi di San Giovanni Rotondo, quando i meccanismi di sganciamento delle bombe si sono attivati, contemporaneamente su tutti i velivoli. Le bombe sono cadute in mezzo alle sterpaglie, sul nulla! Nel frattempo, la strumentazione di bordo è impazzita su tutti gli aerei della squadriglia e quando noi piloti siamo riusciti a riprendere il controllo dei nostri mezzi ci siamo ritrovati in formazione compatta, lungo la rotta del ritorno”»

[Dipiù n.23, 27 ottobre 2008].

Devo comunque far notare che si approfitta anche dei martiri per fare del becero antisemitismo (e chi lo fa è amico del cuore di questo governo di Berlusconi, pieno di fascisti, quelli i cui antenati erano servizievoli e consegnavano gli ebrei ai nazisti, che sono amicissimi del criminale governo di Israele). E lo fa come sempre un rappresentante della Chiesa, tal don Pierpaolo Caspani nel suo dotto scritto Il martirio ed il suo significato spirituale. Scrive costui che i primi martiri cristiani si ebbero ad opera dei Giudei:  I primi martiri sono vittime delle persecuzioni da parte dei Giudei. Stando al racconto degli Atti degli Apostoli, dopo la Pentecoste, si ripropone la situazione che ha preceduto la morte di Gesù: mentre le conversioni si moltiplicano e la prima comunità cristiana si organizza, si organizza anche la reazione degli Anziani e degli scribi. Ritroviamo così sulla scena tutti gli artefici della condanna di Gesù: Caifa, Anna e i capi delle grandi famiglie di Gerusalemme. I discepoli di Gesù vengono a trovarsi in una situazione simile a quella del loro Maestro: il martire è colui che dà testimonianza, vivendo questa situazione come l’ha vissuta il Maestro. Continua a sostenersi che Gesù fu ucciso dai Giudei, la frase che aiutò molto al loro sterminio con Pio XII quantomeno silente. Qui occorre essere chiari. O la storia è andata come voleva Dio che sacrifica il figlio per salvare l’umanità o, davvero, non si capisce di cosa parliamo. I Giudei che avessero ammazzato Gesù sono o no l’espressione della volontà di Dio ? E se non l’avessero ammazzato, Gesù chi sarebbe oggi ?

(14) Altre imprese di una vergine e martire:

Margherita nacque nel 275 ad Antiochia di Pisidia. Figlia di un sacerdote pagano, dopo la morte della madre fu affidata ad una balia, che praticava clandestinamente il cristianesimo durante la persecuzione di Diocleziano, ed allevò la bambina nella sua religione. Quando venne ripresa in casa dal padre, dichiarò la sua fede e fu da lui cacciata: ritornò quindi dalla balia, che la adottò e le affidò la cura del suo gregge. Mentre pascolava fu notata dal prefetto Ollario che tentò di sedurla ma lei, avendo consacrato la sua verginità a Dio, confessò la sua fede e lo respinse: umiliato, il prefetto la denunciò come cristiana. Margherita fu incarcerata e venne visitata in cella dal demonio, che le apparve sotto forma di drago e la inghiottì: ma Margherita, armata della croce, gli squarciò il ventre e uscì vittoriosa. Per questo motivo viene invocata per ottenere un parto facile. In un nuovo interrogatorio continuò a dichiararsi cristiana: si ebbe allora una scossa di terremoto, durante la quale una colomba scese dal cielo e le depositò sul capo una corona. Dopo aver resistito miracolosamente a vari tormenti, fu quindi decapitata il 20 luglio (dies natalis) del 290 all’età di quindici anni.

Riguardo a Santa Rita, quando si pensa a quella di Cascia, occorre sapere che non era vergine.

(15) Riporto di seguito un elenco di Santi protettori non solo della salute ma praticamente di tutto:

SANT’ACACIO – MARTIRE SOTTO DIOCLEZIANO, INVOCATO NELLE MALATTIE DEGLI OCCHI. FESTA 8 MAGGIO
SS. ACISCLO E VITTORIA – MARTIRI, PROTETTORI CONTRO LE TEMPESTE (FESTA 17 NOVEMBRE)
S. ADALBERTO DI PRAGA – PATRONO E APOSTOLO DEI PRUSSIANI. PROTETTORE DEI MARINAI. (23/4)
SANT’ADELAIDE – PATRONA DEGLI ANCORATORI, BARCAIOLI, BATTELLIERI (16/12)
SANT’ AGATA – PROTETTRICE CONTRO TUTTI I PERICOLI, CONTRO LE ERUZIONI E IN PARTICOLAR MODO INVOCATA PER LE MALATTIE DEL SENO, IVI COMPRESE LE RAGADI.
SANT’AGOSTINO – PROTETTORE DALLE MALATTIE DI OCCHI E ORECCHIE, CONTRO LA TOSSE E GLI ANIMALI NOCIVI (28/8)
SANT’ABBONDIO, PROTETTORE CONTRO LA PESTE,(31/8)
SANT’ANNA, MADRE DELLA MADONNA – PATRONA DELLE MADRI, DELLE ISTITUTRICI, DELLE BALIE, DELLE VEDOVE E DELLE RICAMATRICI (26/7)
SANT’ ANDREA AVELLINO – PROTETTORE DALLA MORTE IMPROVVISA
SANT’ANTONIO ABATE – PROTETTORE DEI FORNAI, MACELLAI, SALUMIERI, ALLEVATORI, CONTADINI, ANIMALI DOMESTICI, FABBRICANTI DI SPAZZOLE. PROTEGGE CONTRO OGNI TIPO DI CONTAGIO E SOPRATTUTTO CONTRO IL “FUOCO DI SANT’ANTONIO”
SANT’APOLLONIA – PROTETTRICE DI DENTISTI, INVOCATA E MAL DI DENTI (9/2)
SANTA BARBARA – MARTIRE DI NICOMEDIA, INVOCATA CONTRO I FULMINI, GLI INCENDI, LA MORTE IMPROVVISA, PATRONA DELLA MARINA E DELL’ARTIGLIERIA, DEI GENIERI, DEI VIGILI DEL FUOCO, DEGLI ARCHITETTI, DEI MINATORI, DEI CUOCHI. TORTURATA E CONDANNATA ALLA DECAPITAZIONE CHE DOVEVA ESSERE EFFETTUATA DAL PROPRIO PADRE, DURANTE L’ESECUZIONE FU SALVATA DA UN FULMINE CHE COLPÌ IL GENITORE, INCENERENDOLO. FESTA 4 DICEMBRE.
SAN BASILIDE – PATRONO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA.
SAN BENEDETTO – PATRONO D’EUROPA, PROTETTORE DEGLI AGRICOLTORI, INGEGNERI, SPELEOLOGI, MEZZADRI, SCOLARI, INVOCATO CONTRO LE MALATTIE INFETTIVE (IL CALENDARIO LITURGICO DEL 70 HA SPOSTATO LA DATA IN CUI VENIVA RICORDATO DAL 21 MARZO ALL’11 LUGLIO)
SANTA BERNADETTE – PROTETTRICE DELLE DONNE CHE LAVORANO I CAMPI E DEI PASTORI (16/4) –
S. BERNARDINO DA SIENA – PROTETTORE DEI PUBBLICITARI, PUGILI, CASSIERI, ORATORI, INVOCATO CONTRO LA RAUCEDINE E LE EMORRAGIE (20/4)
SAN BIAGIO – VESCOVO DI SEBASTE, MARTIRE, INVOCATO CONTRO, LE MALATTIE INFETTIVE, LA BALBUZIE E IL MAL DI GOLA. LA BENEDIZIONE CONTRO QUESTO MALE VIENE IMPARTITA NEL GIORNO DELLA SUA FESTA (3 FEBBRAIO), CON DUE CANDELE INCROCIATE SOTTO LA GOLA. LE UNGHIE DI FERRO CON CUI VENNE MARTIRIZZATO, PROTETTORE DEI CARDATORI DI LANA E MATERASSAI.
S. BONAVENTURA – PROTETTORE DELL’ORDINE FRANCESCANO, DEI BAMBINI, APPORTATORE DI BUONA FORTUNA E COMPROTETTORE DEGLI STUDI DI TEOLOGIA. INVOCATO DAI TESSITORI, FACCHINI, OPERAI. (15/7 E 14/3, ANNIVERSARIO DELLA SCOPERTA DELLA SUA LINGUA INTATTA)
SAN CALLISTO PAPA – PROTETTORE DELLA GENTE CHE LAVORA NELLE GALLERIE, NEI POZZI, NELLE MINIERE. MOLTO NOTE LE FAMOSE CATACOMBE DEDICATE ALLA SUA MEMORIA (14/10)
SAN CAMILLO DE LELLIS – FONDATORE, PATRONO DEGLI INFERMI, DEGLI OSPEDALI DI – TUTTO IL MONDO, DEGLI INFERMIERI E DEL PERSONALE OSPEDALIERO.
S. CARLO BORROMEO – PROTETTORE DI TUTTE LE CLASSI SACERDOTALI, CATECHISTI, MAESTRI, E’ INVOCATO CONTRO LE EPIDEMIE (4/11)
SAN CASSIANO – PATRONO DEI SEGRETARI, DATTILOGRAFI, SCRITTORI E DEGLI INFORMATICI.
SANTA CATERINA DI ALESSANDRIA – MARTIRE SOTTO MASSENZIO, INVOCATA DALLA PUERPERE E DALLE RAGAZZE IN CERCA DI MARITO (CATERINETTE). PATRONA DEGLI ORATORI, FILOSOFI, FILATRICI, NOTAI, CICLISTI, CARROZZIERI, NOTAI. FESTA 25 NOVEMBRE.
SANTA CATERINA DA SIENA – PATRONA D’ITALIA INSIEME A S. FRANCESCO D’ASSISI, COMPATRONA D’EUROPA, PROTETTRICE DELLE LAVANDAIE, DEI TINTORI, DEGLI INFERMIERI, DEI BOY SCOUTS, DEGLI STUDENTI, DEI CICLISTI, DELLE SARTE E DELLE GIOVANI DA MARITO.
SANTA CATERINA DE RICCIIS – VENERATA A PRATO, PATRONA DELLE NOVIZIE, ATTIVISTE LAICHE E TABACCAI (2/2)
SAN CELESTINO – PATRONO DELL’ORDINE DEI CELESTINI DA LUI FONDATO, PROTETTORE DEI LAVORATORI DELLA LANA E DEI RILEGATORI DI LIBRI (19/5)
SAN CLAUDIO – PATRONO DEI TORNITORI, DEI FUMATORI E DEI FABBRICANTI DI GIOCATTOLI.
SANTA CHIARA – PATRONA DEI TINTORI, DEI VETRAI, DELLE LAVANDAIE, DEGLI OCULISTI, DEGLI OTTICI E DELLA TELEVISIONE.
SAN CIRIACO – MARTIRE, INVOCATO CONTRO GLI SPIRITI MALIGNI. FESTA 4 MAGGIO/8 AGOSTO
SS. COSMA E DAMIANO – MARTIRI, PATRONI DEI MEDICI, CHIRURGHI, FARMACISTI, DELLE OSTETRICHE E DEI DROGHIERI.
S. CRISPINO – PATRONO DEI CALZOLAI E DEI LAVORATORI DEL CUOIO.
SAN CRISTOFORO – MARTIRE, INVOCATO NELLE MALATTIE REUMATICHE. PATRONO DEGLI AUTOMOBILISTI E DEGLI AUTIERI, DEI BATTELLIERI, DEI TASSISTI, DEGLI SPORTIVI. GUERRIERO DI GRANDE STATURA, DOPO ESSERSI CONVERTITO, SI MISE IN CERCA DI CRISTO; GLI FU SUGGERITO DI OFFRIRSI DI PORTARE SULLE SPALLE TUTTI COLORO CHE AVESSERO AVUTO BISOGNO DEL SUO AIUTO PER ATTRAVERSARE UN FIUME. DA ALLORA FU INVOCATO DA CHI DOVEVA INTRAPRENDERE UN VIAGGIO. FESTA 25 LUGLIO.
SAN DIONIGI – MARTIRE, INVOCATO NELLE MALATTIE DEL CAPO. FESTA 9 OTTOBRE.
SANT’EGIDIO – ABATE, INVOCATO NELLE PAURE. FESTA 1 SETTEMBRE.
SANT’ EMIDIO – INVOCATO COME PROTETTORE CONTRO I TERREMOTI
SANT’EUSTACHIO, MARTIRE, INVOCATO NELLE PATOLOGIE DELL’INTESTINO. VIENE SPESSO RAPPRESENTATO CON UN CERVO CHE TIENE UNA CROCE TRA LE CORNA, UN MODELLO DI CHIESA, ARNESI DA CACCIA E VARI CANI. E’ PATRONO DEI CACCIATORI. FESTA 20 SETTEMBRE.
SANT’ERASMO, MARTIRE, INVOCATO DAI MARINAI NELLE TEMPESTE. PATRONO DI FORMIA. FESTA 2 GIUGNO
SAN FERDINANDO III RE – PATRONO DEI PIONIERI DEL GENIO, COSTRUTTORI E PRECURSORI. GRAN GUERRIERO, FU ECCELLENTE CAPO DI STATO E SI PRODIGO’ PER LA COSTRUZIONE DI UNIVERSITA’ E CATTEDRALI.
SAN FLORIANO – E’ INVOCATO COME PATRONO CONTRO IL FUOCO
SANTA FRANCESCA ROMANA – COMPATRONA DI ROMA, INSIEME A SAN FILIPPO NERI E ACCANTO, OVVIAMENTE AI SS. PIETRO E PAOLO, VIENE INFATTI CHIAMATA “ADVOCATA URBIS” PROTETTRICE DELLE VEDOVE E DEGLI AUTISTI, INVOCATA CONTRO LA PESTE, PER LA LIBERAZIONE DAL PURGATORIO (9/3)
SAN FRANCESCO D’ASSISI – PATRONO D’ITALIA (4/10)
S. FRANCESCO DI SALES – PROTETTORE DEI GIORNALISTI (24/1)
SAN GENESIO – PATRONO DEGLI ATTORI
SAN GIORGIO – MARTIRE SOTTO DIOCLEZIANO, INVOCATO NELLE MALATTIE CONTAGIOSE. PATRONO DELLA CAVALLERIA E DEI MILITARI IN GENERE.
 SANTA GIOVANNA D’ARCO – PATRONA DI FRANCIA E DEI RADIOFONISTI.
SAN GIOVANNI A PORTA LATINA (ROMA) – PATRONO DEI RILEGATORI, STAMPATORI, EDITORI, LIBRAI E CARTOLAI
SAN GIROLAMO – PATRONO DEI BIBLIOTECARI
SAN GIUSEPPE – PATRONO E PROTETTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE, PATRONO DELLE FAMIGLIE CRISTIANE, DEI FALEGNAMI, ARTIGIANI E LAVORATORI IN GENERE, DEGLI ESILIATI, DEI DECORATORI, DELLE RAGAZZE DA MARITARE. MA E’ ANCHE PATRONO DEI VIAGGIATORI, DEI VIAGGI IN GENERALE E PATRONO DELLA BUONA MORTE.
S. GIUSEPPE CAFASSO – PATRONO DEI CAPPELLANI DELLE CARCERI, VIENE DETTO IL “PRETE DELLE FORCHE” (23/6)
SAN GUGLIELMO – PATRONO DEGLI INGEGNERI E DEGLI ARMATORI
SANT’IRENE – PATRONA DELLE INFERMIERE
SANT’ISIDORO – PATRONO DEGLI AGRICOLTORI
SANT’IVO – PATRONO DEGLI UFFICIALI GIUDIZIARI, DEI NOTAI, AVVOCATI, GIURECONSULTI E MAGISTRATI
SAN LORENZO – PATRONO DEI POLIZIOTTI, DELLE ROSTICCERIE E DEGLI ECONOMI
SANTA LUCIA  – VERGINE E MARTIRE SIRACUSANA, PATRONA SPECIALE PER TUTTE LE MALATTIE DELLA VISTA, DEGLI ELETTRICISTI E DEGLI OTTICI
 SANTA MARGHERITA (IN ORIENTE VENERATA COL NOME DI SANTA MARINA) – MARTIRE. IN OCCIDENTE È INVOCATA DALLE PARTORIENTI (FESTA 20 LUGLIO)
SANTA MARIA MADDALENA – PATRONA DELLE PARRUCCHIERE, DELLE PROFUMIERE, PEDICURE, DEGLI IDRAULICI E DELLE PROSTITUTE
SANTA MARTA – PATRONA DEGLI SCULTORI, DELLE CASALINGHE, DELLE CUOCHE E DEGLI ALBERGATORI.
SAN MEDARDO – PATRONO DEI BIRRAI, AGRICOLTORI, OMBRELLAI, ARATORI
 S. MICHELE ARCANGELO – PATRONO DELLA POLIZIA DI STATO
SANT’ ONORATO – PATRONO DEI PASTICCERI E DEI PANETTIERI.
SAN PANTALEONE, MEDICO E MARTIRE DI CAPPADOCIA, INVOCATO CONTRO OGNI MALATTIA. FESTA IL 27 LUGLIO.
SAN PAOLO – PATRONO DEGLI STAMPATORI, DEI TAPPEZZIERI E DEI LAVORATORI DEL GIUNCO.
SAN PIETRO – INSIEME A SANT’ANDREA E’ PATRONO DEI PESCATORI E DEI FABBRI
SAN PIO DA PIETRALCINA – PATRONO DELLA PROTEZIONE CIVILE [SI PUO’ CAPIRE LA CORRISPONDENZA DI SPIRITO, NDR]
SAN ROCCO – PATRONO DEI PELLEGRINI, DEGLI AUTOMOBILISTI E INVOCATO CONTRO LA PESTE
SANTA SARA – PATRONA DEGLI ZINGARI
SAN SEBASTIANO – PATRONO DI MOLTE MISERICORDIE E DELLA POLIZIA MUNICIPALE, INVOCATO CONTRO LA PESTE
S. TOMMASO MORO – PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI
SAN TOMMASO D’AQUINO – PATRONO DEI LICEI, DEI TEOLOGI, DELLE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI,DELLE SCUOLE ED ACCADEMIE CATTOLICHE, DEI LIBRAI, FABBRICANTI DI MATITE. E’ INVOCATO CONTRO LE TENTAZIONI CARNALI.
SANTA VERONICA – PATRONA DEI REPORTER, DEI FOTOGRAFI, DEGLI INFORMATICI E DEI GUARDAROBIERI
SAN VITO – SICILIANO DI NASCITA, MARTIRE SOTTO DIOCLEZIANO, INVOCATO NEL “BALLO DI S. VITO”, CONTRO IL MORSO DEI CANI E ANIMALI VELENOSI. FESTA 15 GIUGNO.

Occorre però osservare che di tanto in tanto la Chiesa fa ammenda ed alcuni santi, in precedenza glorificati, li considera falsi. Riporto in proposito un articolo di Claudio Rendina, riferito ai soli falsi santi del protocristianesimo:

Viaggio nelle chiese dei falsi santi

Repubblica — 18 giugno 2006   pagina 12   sezione: ROMA

Nel nuovo Calendario della Chiesa Cattolica, emanato nel 1969, risultano cancellati numerosi santi perché non riconosciuti più tali, e così ben quindici titolari romani di chiese sono ormai un’ invenzione. Peraltro è stato mantenuto il titolo originario di certe chiese, senza assegnarne uno nuovo con un santo autentico, e molti fedeli romani a tutt’ oggi sono all’ oscuro della cancellazione e frequentano certi luoghi di culto seguitando magari a rivolgere preghiere al santo «eliminato». A cominciare dalle chiese dell’ Aventino, nelle quali sono venuti meno cinque santi. Balbina, leggendaria figlia di un inesistente San Quirino, con la basilica sulla piazza omonima; Prisca, da identificare in una matrona che avrebbe solo fondato la chiesa sulla via omonima; Sabina, anche lei una matrona romana del IV secolo, sulla cui casa fu eretta la basilica in piazza Pietro d’ Illiria; Bonifacio ed Alessio, il primo originario di Tarso, mai esistito, e il secondo leggendario medicante e figlio del senatore romano Eufimiano, sulla cui casa sorse la chiesa di piazza Sant’ Alessio. Altro rione che ha subìto una mutilazione di titoli è l’ Esquilino, dove Santa Prassede e Santa Pudenziana fanno capo a due sorelle, figlie del senatore Pudente, che avrebbero avuto solo il merito di ospitare san Pietro nelle loro case, sulle quali sorsero le basiliche nelle vie Santa Prassede e Urbana. Un’ invenzione popolare è Bibiana, nonché sua sorella Demetria e i genitori Flaviano e Defrosa, la cui fama resta legata al proverbio «Si piove pe’ Santa Bibbiana, piove quaranta ggiorni e ‘na settimana», ma «Si se n’ accorgheno li parenti, piove puro pe’ antri venti». La basilica in via Giolitti, originaria del V secolo, rifatta nel XII e divenuta un gioiello grazie a Bernini, custodisce un pezzo della colonna del martirio di Bibiana, che è ovviamente un falso. E poi c’ è Eusebio, un semplice presbitero elevato agli altari dalla voce popolare; e oggi appare ridicola nella volta della navata centrale della chiesa di piazza Vittorio la sua Gloria affrescata dal Mengs. Simile la sorte di Crisogono, titolare della basilica di Trastevere, cancellato ma esaltato nella Gloria del Guercino. San Vitale di via nazionale ha perso il titolare; non è vero che fu martire con i figli Gervasio e Protasio. E anche Pantaleo non è più santo, così chi sa di chi è il sangue custodito nella chiesa di corso Vittorio che nella festa del 27 luglio si metteva a bollire. Molto eclatanti le cancellazioni di Anastasia, tradizionalmente smembrata nel martirio, con la chiesa in via di San Teodoro, e di Caterina d’ Alessandria, martire sulla ruota, alla quale fanno capo due chiese a via dei Funari e in via Monserrato. E infine ci sono le chiese di due sante mai contemplate nel calendario e quindi poco o niente conosciute dai più. Sulla via Nomentana Santa Costanza, prendendo nome dalla figlia di Costantino, che ne curò la costruzione come mausoleo. E al Portuense Santa Passera, toponimo che deriva da una serie di modificazioni popolari dal titolare Abbas Cirus, cioè San Ciro, in Abbaciro, Appàcero, Pàcero, Pàcera, e quindi via via attraverso trasformazioni linguistiche ha preso il nome di Passera.

CLAUDIO RENDINA

Ma quanti sono i santi ? E da quando sono riconosciuti come tali ? Leggiamo dall’agenzia ASCA:

Tante sorprese nell’Indice dei santi pubblicato oggi in Vaticano: sorprese nei numeri e nei nomi, come la grande quantità di santi e beati proclamati da papa Wojtyla; nomi eccellenti di contemporanei (Lazzati, Schuman, La Pira, Salvo D’Acquisto, papa Giovanni), e figure ancora in mezzo al rovente dibattito storico e culturale come per Pio IX e Pio XII.
Da l’index ac status causarum si apprende che un registro centrale di santi e beati si ha solo dal 1588.
Nel periodo precedente santi e beati venivano riconosciuti a livello locale dalle chiese di appartenenza di uomini e donne vissuti santamente.
Presso la congregazione vaticana per le cause dei santi sono tuttora in piedi 1921 cause di persone che devono arrivare alla beatificazione.
I beati riconosciuti sono invece 1742 negli ultimi tre secoli (1609-1999). Tra essi ben 934 sono stati proclamati da Giovanni Paolo II.
Nell’elenco dei beati si devono annoverare 1430 unità riconosciuti prima del 1534.
Il catalogo dei santi canonizzati dalla fondazione del dicastero vaticano ad oggi comprende 591 santi: tra essi 296 sono stati proclamati dal 1594 alla morte di Paolo VI (1978) mentre 295 (tra cui 103 martiri) proclamati da papa Wojtyla.
(ASCA, 17 dicembre 1999).

Sul mito dei martiri si legga l’articolo serio e documentato Il mito dei santi martiri di Alexamenos.

(16) Altra vita eroica di una vergine e martire:

I testi della letteratura popolare parlano di Caterina come una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili, abitante ad Alessandria d’Egitto. Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria. Per l’occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi. Caterina però invita Massimino a riconoscere Gesù Cristo come redentore dell’umanità e rifiuta il sacrificio. Non riuscendo a convincere la giovane a venerare gli dèi, Massimino propone a Caterina il matrimonio. Al rifiuto della giovane il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo. Sarà un miracolo a salvare la ragazza che verrà però decapitata. Secondo la leggenda degli angeli porteranno miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l’altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo sarebbe avvenuto nel novembre 305.

(17) S. Lucia da Siracusa:

Gli Atti del suo martirio, il cosiddetto Codice Papadopulo, narrano di una giovane, orfana di padre, appartenente ad una ricca famiglia di Siracusa, che era stata promessa in sposa ad un pagano. La madre di Lucia, Eutichia, da anni ammalata, aveva speso ingenti somme per curarsi, ma nulla le era giovato. Fu così che Lucia ed Eutichia, unendosi ad un pellegrinaggio di siracusani al sepolcro di Agata nel dies natalis della vergine e martire catanese, pregarono S. Agata affinché intercedesse per la guarigione della donna. Durante la preghiera Lucia si assopì e vide in sogno S. Agata in gloria che le diceva Lucia, perché chiedi a me ciò che puoi ottenere tu per tua madre? Nella visione S. Agata le preannunciava anche il suo patronato sulla città di Siracusa. Ritornata a Siracusa e constatata la guarigione di Eutichia, Lucia comunicò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo. Il pretendente, insospettito e preoccupato nel vedere la desiderata sposa vendere tutto il suo patrimonio per distribuirlo ai poveri, verificato il rifiuto di Lucia, la denunciò come cristiana. Erano in vigore i decreti di persecuzione dei cristiani emanati dall’Imperatore Diocleziano. Il processo che Lucia sostenne dinanzi all’Arconte Pascasio attesta la fede ed anche la fierezza di questa giovane donna nel proclamarsi cristiana. Il dialogo serrato tra lei ed il magistrato vede addirittura quasi ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia quasi mettere in difficoltà l’Arconte che, per piegarla all’abiura, la sottopone a tormenti. Lucia esce illesa da ogni tormento fino a quando, inginocchiatasi, viene decapitata. Prima di morire annuncia la destituzione di Diocleziano e la pace per la Chiesa. Privo di ogni fondamento, ed assente nelle molteplici narrazioni e tradizioni, almeno fino al secolo XV, è l’episodio di Lucia che si strappa gli occhi. L’emblema degli occhi sulla tazza, o sul piatto, è da ricollegarsi, semplicemente, con la devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a causa del suo nome Lucia (da Lux, luce). La sua iconografia vede spesso gli occhi accompagnati dal pugnale conficcato in gola. Il motivo di questa raffigurazione è da spiegarsi con il racconto dei cosiddetti Atti latini che descrivono la morte di Lucia per jugulatio piuttosto che per decapitazione.

(18) Sui miracoli presenti in altre religioni, vedi Deschner [1], pagg. 144-147 e Deschner [2], pagg. 57-59.

(19) Un paio di fatti soprannaturali che farebbero sobbalzare chiunque posso descriverli e spiegarli. PRIMO. Supponiamo che, ad un dato istante, gli atomi che costituiscono un sasso ‘decidessero‘, tutti (si pensi che in un solo pezzettino di sasso vi sono 1023 atomi!), di dirigere le loro velocità in un unico verso determinato. Il fatto che tutti gli atomi dirigano le loro velocità in un solo verso comporta che la somma di queste singole velocità atomiche è un’unica velocità del sasso nello stesso verso di quello degli atomi. Le leggi della termodinamica sono probabilistiche  e noi possiamo solo dire che certi fatti sono estremamente improbabili. I sassi, normalmente, non saltellano da soli. Ma se ci impegnassimo a passare il tempo su una panchina per fissare tutti i sassi che la circondano e, una volta, vedessimo, saltare un sasso, non avremmo a che fare con un fatto soprannaturale ma con un fatto estremamente improbabile, esso è infatti previsto! La termodinamica statistica ci permette anche di fare il conto della frequenza con cui può verificarsi un tale evento: uno ogni 1026 anni (l’età stimata della Terra è molto minore di 1010 anni), basta un poco di pazienza …. SECONDO. Se vedete piangere una statuina della Madonna non inginocchiatevi a pregare ma prendete un bastone e rincorrete il truffatore che ha organizzato il miracolo. Come lo si realizza ? Si compra una statua in gesso della Madonna. La si vernicia a smalto con i bei colori che normalmente adornano queste statue (La si vernicia dappertutto meno alla base che comunque resta invisibile. Con un oggetto a punta sottile si fanno due buchini allo smalto in corrispondenza delle ghiandole lacrimali negli occhi. La statuina si sistema in un ambiente a lei consono (è l’iconografia classica: una specie di grotticella, meglio se di “pietra cardellino” con vegetazione intorno, con un poco d’acqua che scorre) avendo cura di sistemare la base dentro una piccola riserva d’acqua in cui si sia sistemato un colorante rosso (il tutto risulta coperto dalla vegetazione o dalla pietra o da qualunque arredo che si voglia usare). A questo punto funziona la fisica perché il gesso assorbe il liquido fino alla sommità della statuina; il liquido non può uscire all’esterno perché lo smalto è impermeabile. Arrivato però alle ghiandole lacrimali trova lo smalto interrotto dai due buchini che avevamo praticato. Ed ecco la statua piangente della Madonna. Osservo che le statue sacre piangono sempre e capisco che in questo mondo, particolarmente in Italia, con la Seconda Provvidenza dopo Mussolini, ci sia poco da stare allegri ma, per Giove, un sorriso ogni tanto quando ad esempi viene approvata la Legge 40 che vieta la procreazione assistita (meno della sua comunque) lo potrebbe fare. O no ?

Abbiamo comunque l’opportunità di stabilire quali sono i veri e quali i falsi miracoli. Leggiamo da prega.it:

COME SI DISTINGUONO I VERI DAI FALSI MIRACOLI ?

di CORNELIO a LAPIDE

Per indicare in che modo Dio ci fa distinguere i veri miracoli dai falsi, proporremo  le tre essenziali differenze che Teodoreto rileva e indica tra i miracoli di Mosè ed i pretesi miracoli dei maghi di Faraone.

1° I maghi di Faraone cangiarono le loro verghe in serpenti, ma la verga di Aronne, ugualmente cangiata in serpe, divorò le loro; essi cambiarono l’acqua in sangue, ma non poterono farla tornare come prima; fecero comparire delle rane, ma non poterono più, come fece Mosè, liberarne gli Egiziani. Dio dunque permise ai maghi di operare simili prodigi, unicamente per castigare gli Egiziani, senza loro concedere la potestà di far scomparire le piaghe che avevano fatto.

2° Quando Dio vide che il re, a cagione dei pretesi prodigi, si ostinava sempre di più, tolse a loro ogni potere e allora quelli i quali avevano saputo produrre rane, non seppero più produrre mosche, e si videro costretti a confessare pubblicamente la propria impotenza, col dire: «Qui vi è il dito di Dio» – Digitus Dei est hic (Exod. VIII, 19).

3° Mosè coprì di ulceri il corpo stesso dei maghi (Id. IX, 10); Mosè, che faceva veri miracoli in favore della verità, fu egli in qualche incontro impedito nel suo potere? Giammai; ma tutti i giorni, alla corte di Faraone, in presenza di tutto l’Egitto, ne dava sempre più splendide prove e con continui e sempre nuovi miracoli. I suoi ordini e le sue proibizioni ottenevano immediatamente meravigliosi effetti (In Exod.).

S. Agostino insegna che un mezzo per discernere i veri dai falsi prodigi è il considerare il potere e l’autorità da cui derivano. «I fattucchieri, dice, fanno opere mirabili per il segreto commercio che tengono coi demoni; i santi all’opposto, operano miracoli in forza, della provvidenza, e per ordine di colui al quale ogni creatura è soggetta. I maliardi, pertanto, operano in virtù di privata convenzione; i santi in forza di un evidente diritto (Quaest. LXXIX, inter LXXXIII)». Inoltre coloro i quali fanno dei veri miracoli, sono uomini probi, pii, ordinariamente santi; mentre coloro i quali ne fanno dei falsi, sono sempre uomini rotti all’empietà o al vizio. Gli stregoni fanno prodigi simulati, immaginari, fantastici e che non durano punto, scoprendosi ben presto quello che in essi vi è di vero o di falso; fanno prodigi o affatto inutili o anche nocivi. Ma i veri miracoli sono fatti certi, veritieri, schietti, i cui effetti durano e non avvengono che o per una grande utilità o per liberare gli uomini in qualche necessità.

Ad ottenere le loro pretese meraviglie, i fattucchieri si servono di menzogne, di prestigi, di mezzi studiati a bella posta per ingannare la gente, di certi segni, di certe figure, per esempio lettere o parole, che non significano nulla, se pure non sono assurde; si servono ancora di pratiche superstiziose; mescolano e deturpano il sacro col profano. I santi invece fanno miracoli con le loro preghiere, con le mortificazioni, col segno della croce, e con altri oggetti sacri e santi, e sempre col nome di Gesù Cristo. I maliardi e i demoni fanno prodigi per fine cattivo, per esempio, per guadagnare qualche scommessa, per vana ostentazione, per cattivarsi gloria ed onori, per salire in fama, per formarsi una clientela di devoti; ovvero per danneggiare la fede e inoculare i loro errori; ovvero ancora per commettere o far commettere delitti, come furti, adulteri, uccisioni, e simili. I santi nel fare miracoli mirano all’onore e alla gloria di Dio, all’esaltazione ed edificazione della Chiesa, all’aiuto, dei loro simili… «I maghi, scrive S. Agostino, fanno cose che sembrano miracoli, studiando alla gloria propria; i santi fanno dei veri miracoli mirando alla gloria di Dio (Quaest. LXXIX, inter LXXXIII)».

Chiaro no ?

(20) Da un articolo di Giovanni Maria Bellu (Repubblica 25 aprile 1999):

Ma il miracolo riconosciuto da tutti, atei compresi, è il modo in cui questa meteora [Padre Pio] è esplosa nel ventesimo secolo: come ha agito sulla materia, oltre che sullo spirito. Tra Pietrelcina, San Giovanni Rotondo e Roma il culto di padre Pio quest’anno farà muovere un numero di persone pari a un sesto dell’intera popolazione italiana. Un business da centinaia di miliardi all’anno cominciato nel 1918, anno dell’ apparizione delle stimmate, e cresciuto senza sosta. Nel 1927 Pio XII dispensò padre Pio dal voto di povertà. Nel 1968, anno della sua morte, il Vaticano ereditò un patrimonio di 200 miliardi. Col Giubileo, Pietrelcina ha avuto, tra comune e convento dei Cappuccini, 12 miliardi, San Giovanni Rotondo 53, 21 dei quali al comune che li spenderà quasi tutti per costruire parcheggi: i residenti sono 26.000, i posti letto 3.500, destinati a diventare presto 7.500 con le nuove costruzioni. Trovare un posto per l’auto è più difficile che nel centro di Roma.
San Giovanni Rotondo è un cantiere. Le sagome delle gru, quando arrivi – accolto anche da una insegna “Oleificio Padre Pio” – interrompono la vista della Casa del sollievo della sofferenza, il gigantesco ospedale nato nel 1956 per volontà del futuro beato: duemilacinquecento dipendenti, una delle migliori strutture d’Italia. Poco distante c’è il cantiere della basilica progettata da Renzo Piano: 8000 posti a sedere, 12.000 in piedi, 40.000 sul sagrato. Costo, 35 miliardi (per ora), che saranno pagati con le offerte dei fedeli. Esiste un sito internet dove è possibile vedere il prezziario delle offerte: 50.000 lire una pietra, 100.000 una canna d’organo… La donna malata si ferma davanti alla vetrina di un capannone, guarda un po’, poi entra. Ora i cloni del beato la circondano. “Cosimo Rossi, statue di Padre Pio di tutte le dimensioni”. E’ vero: ci sono padri Pio alti pochi centimetri, e ce ne sono di giganti, che sfiorano i due metri. Ce ne sono a colori e bianchi come la calce. Di bronzo, di marmo e di vetroresina. Con prezzi diversi. Diciotto milioni in bronzo, cinque lo stesso modello in vetroresina. “Il vetroresina – spiega Rossi facendo “toc toc” sul saio per far vedere che non è di metallo – è molto più economico e ormai riproduce alla perfezione il bronzo”. Una famigliola sta trattando l’acquisto di una statua da sette milioni e mezzo in grandezza naturale (cm. 170) per il giardino. “Decidetevi – ammonisce Rossi perché sono gli ultimi modelli. Il resto è prenotato”. È chiaro che questo c’entra poco con padre Pio, anche se forse ha qualcosa a che vedere con le sue furibonde lotte col demonio, ingaggiate fin dal noviziato: dalla sua cella s’udivano ruggiti e gemiti da far accapponare la pelle. C’entra comunque poco con la spiritualità e crea qualche tensione tra i luoghi di culto. La più sobria Pietrelcina, appena gemellata con Betlemme, considera l’opulenta San Giovanni Rotondo la “Las Vegas dei miracoli”, trascurando l’eventualità che, prima o poi, a Las Vegas decidano di rifare Pietrelcina. Padre Pio ha molti devoti anche negli Usa. Ai Cappuccini tanto turbinare di denaro-sterco-del-diavolo crea un certo imbarazzo. Ma anche su questo padre Pio aveva detto qualcosa. A chi gli faceva notare gli eccessi del culto già nascente, rispondeva: “Guagliò, anche quelli hanno a campà”.

(un lavoro del giugno 2010 già apparso sul sito del professore, fisicamente.net)

BIBLIOGRAFIA

(1) Karlheinz Deschener – Storia criminale del Cristianesimo – Ariele 2000-2010

(2) Karlheinz Deschener – Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa – Massari 1998

(3) Karlheinz Deschener – La croce della Chiesa – Massari 2000

(4) Juan G. Atienza – Los santos paganos – Robin Book, Barcelona 1993

(5) Ambrogio Donini – Breve storia delle religioni – Newton Compton 1991

(6) Christopher Hitchens – Dio non è grande – Einaudi 2007

(7) Fiorella Traini – Anima Mundi