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Riflessioni sul documentario “Leaving Neverland”.

Ho appena finito di guardare il documentario “Leaving Neverland”(Channel 4) dedicato a Michael Jackson e soprattutto alle testimonianze dei ragazzi che dicono di essere stati abusati da lui. Confesso che raramente mi è capitato di vedere qualcosa di più degradato, degradante per lo spirito. No, non sto parlando degli abusi, pure raccontati con grande dettaglio grafico da questi ragazzi, chissà perché, adesso che lui non c’è più, pronti ad aprire il cuore e l’anima. Ciò che mi ha impressionato è la “facilità” con cui un ragazzo mai diventato adulto, ha “comprato” quei bambini e la facilità con cui i loro genitori glieli hanno “venduti”, se coscientemente non è dato sapere, ma sarebbe difficile credere che così non sia stato.

L’immagine jacksoniana dipinta da questo programma è di fatto quella di un “predatore” seriale vorace, molto scaltro, completamente avulso nel suo “vizio”, assolutamente incapace di combatterlo. Ciò che però spaventa veramente, è l’ombra terribile che queste perniciose interazioni gettano sull’entourage del cantante da un lato e sulle famiglie dei ragazzi dall’altro. Com’è possibile che costoro non sapessero? Non è possibile, naturalmente, ma pecunia “non olet”, neppure quando si tratta di procurare piccoli angeli da sbranare a un mostro figlio della sua stessa grande miseria quale è stato senz’altro questo bravissimo quanto dannato artista.

A colpire in modo particolare è lo story-telling di alcune delle “madri” coinvolte, le quali sembrano ricordare quei giorni ormai andati persino con una data “nostalgia” mentre li ripropongono con una leggerezza narrativa assolutamente fuori luogo data la tematica discussa. La “concentrazione” di queste signore sembra essere ancora tutta sul grande “orgoglio” che avevano sentito nel sapersi “amici” di Michael, nell’averlo in casa, anche da solo, senza il suo gruppo, per giorni. E ancora il “focus” è sui viaggi completamente spesati che facevano con lui, sulle suites degli alberghi di mezzo mondo, sullo shopping, sulle paillettes, su tutto ciò che è rappresentazione icastica della futilità. Nessuna parola sul fatto che i loro figli venivano “abusati”. Il compito di raccontare tali dettagli minimi lo delegano, una volta di più, ai figli stessi, i quali, ormai adulti, sembrano essere costretti a rivivere il loro “dramma” in completa solitudine.

Ciò che sconvolge è, infine, la didattica insegnata da questa brutta, bruttissima storia, cioè da una storia dove una madre è persino capace di affermare con stupefacente candore: “Jimmy (i.e. il figlio) non sapeva che io e mio marito ci stavamo separando, che dormivamo in letti separati, lui era occupato a divertirsi (i.e con Michael)….”. Infatti, la morale che bisogna trarne è che a guardare nello specchio dove riflette una simile “realtà umana”, a spaventarsi, a perdersi, a confondersi, è soprattutto l’anima. Il ritratto del mondo del miliardario Michael Jackson che emerge è insomma molto simile a quello wildiano di Dorian Gray: perfettivo, perbenista, politically-correct a 360 gradi fuori, putrido dentro!

Avere il coraggio di guardare in faccia una simile “realtà” significa inoltre costringersi a contemplare la possibilità che la speranza di un mondo diverso non esista, che non sia mai esistita. Che la “speranza” sia solo un’altra favola che ci hanno raccontato da piccoli per imbrogliarci, un’altra favola come voleva essere quella del Peter Pan di Neverland. Avere il coraggio di guardare in faccia una simile “realtà” significa cioè osare gettare uno sguardo su un universo collassato dove la luce non è, non è mai stata, non sarà mai… ma tutto ciò che può mostrarsi, che può esistere, è solamente l’orrore di una notte senza fine.

Rina Brundu


Aggiornamento 7 marzo 2019

Dato l’interesse che sembra suscitare questo argomento, inserisco qui di seguito uno screenshot dal Dailymail che mostra quanto questo programma abbia colpito il pubblico inglese, soprattutto a causa dell’atteggiamento delle famiglie denunciato in questo post. Da questo punto di vista è consolante che ci sia ancora il senso di una così forte coscienza civile capace di indignarsi  all’occorrenza.

Proteggere i diritti dell’infanzia è importantissimo nella vita reale così come online, dove i trolls, specie quelli anonimi, abbondano, in tutte le loro forme (su Rosebud però li blocchiamo)!

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