Riflessioni sul destino ultimo di Marella Agnelli

Screenshot da ilfattoquotidiano.it
Lo confesso, tendenzialmente in questa rubrica la defunta signora Agnelli non ci sarebbe entrata neppure se il patrimonio del marito fosse stato un milione di volte tanto. Questa rubrica è riservata alle vite mirabili, alla vite che insegnano, agli insegnamenti che ne traiamo dalle stesse, e di norma tali vite non fanno quasi mai equazione con le vite patinate, o almeno così è nel mio orizzonte d’attesa. Peraltro, ho tutta una lista di esistenze da raccontare, che s’impongono ogni giorno sulla mia strada, grazie al loro essere semplicemente straordinarie, e dunque tutto dovrei fare tranne che perdere tempo a scrivere di un’altra miliardaria che ha abbandonato questa valle di lacrime.
E allora perché lo faccio? Perché ancora una volta vorrei tentare di capire e ci sono alcune cose che non capisco. Comprendo per esempio perché i giornalini patinati italiani debbano scrivere che questa signora sia stata una “grande donna” in virtù del suo aver saputo portare con “dignità” le infinite corna fattele dal marito, perché avrebbe avuto un figlio suicida, perché una figlia l’avrebbe trascinata in tribunale per questioni di eredità, and so and so forth. Sono gli usati trucchetti analogici per determinare il lettore incauto a tentare una impossibile immedesimazione: cazzo, era una di noi! Ha sofferto quanto noi, poretta!
In realtà su due cose hanno ragione: era una di noi, cioè un’anima come tutte le altre, né più né meno, e forse era pure “poretta”, miserella… su tutto il resto però coltivo idee mie. Intanto, le supposte “tragedie” che avrebbe vissuto questa donna, sono “tragedie” per modo di dire. Rispetto all’argomento cornificazione infatti sarebbe bastato divorziare; nel caso della morte del figlio, invece, la vera tragedia l’ha vissuta il figlio, ma non alla morte, molto prima, come ben sappiamo (l’esperienza terrena del figlio, quella sì!, è di fatto una di quelle esistenze che si possono classificare come didattiche!); infine, rispetto alle cause in tribunale per questioni di “eredità”, le stesse non fanno che palesare spiriti più interessati ai beni terreni che a percorrere altre vie. Almeno questo è ciò che si può tranquillamente affermare guardando a queste dinamiche dall’esterno, dato che questo è tutto ciò che si può fare.
Ne deriva che in tutto questo, ciò che a me risulta davvero difficile capire è la didattica nel percorso di vita di questa signora. O meglio, io mi interrogo: quali lezioni ci ha insegnato la sua esistenza, dato che tutte le nostre vite hanno lo scopo di farsi didattiche per il nostro prossimo?
In verità, solo di una cosa sono certa: ovvero, che qualcosa Marella ci ha insegnato, perché in realtà tutte le vite insegnano e il fatto che noi non lo comprendiamo immediatamente non significa niente. Non significa nulla neppure lo sguardo freddo dalla foto tremenda che fa da corredo a questo post (in alto). Raramente, infatti, ho visto una foto così brutta e un ambiente così “povero”. Lo dico perché non vi è nulla di tutto ciò che è raffigurato in quella immagine, neppure il suo vestito, neppure il suo stesso genere-di-donna, che la sua “essenza” si sarà portata dietro quando ha fatto il grande salto. E purtroppo il suo sguardo freddo, distante, non permette di azzardare nessun’altra ipotesi. Il mistero dunque rimane: cosa si è portata dietro Marella Agnelli? Cos’è quel qualcosa di così prezioso che potrà vantare davanti alla sua anima di averci lasciato in eredità?
Una volta lessi una storia bellissima di un signore che aveva avuto una esperienza di premorte. Quest’uomo aveva fatto molte cose in vita sua e riteneva di essere un’anima tutto sommato mirabile. Quando venne il turno di una verifica sulla sua vita (la cosiddetta life-review), fu molto sorpreso: di fatto i momenti di cui andare fieri erano davvero pochi. C’era però una buona azione da lui fatta che splendeva più delle altre. L’aveva compiuta da bambino quando recandosi a prendere l’acqua in campagna, benché stanco a un certo punto si era fermato davanti a un fiorellino che s’andava seccando sotto l’arsura del sole e aveva usato quell’acqua faticosamente trasportata fin lì per dargli nuova vita. Dopo era tornato alla fonte, aveva riempito nuovamente la brocca e aveva ripreso il percorso verso la fattoria della nonna!
Una storia bellissima, a mio avviso. E dato che “Dio non crea spazzatura” sono pure convinta che “l’eredità” di Marella, quella “vera” non quella che andava reclamando in tribunale, possa essere fatta proprio di tante piccole azioni simili, dimenticate dai più, da lei per prima, ma mai scordate da una coscienza universale molto attenta ai nostri “deeds” umani. La speranza è dunque che lo stesso si possa dire di tutti noi, dato che non sono i miliardi a fare le anime grandi, così come non è l’assenza di quelli a raccontarci spiriti migliori!
Rina Brundu