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Televisione: il caso Mediaset. Un problema manageriale o culturale?

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Confesso che il “caso Mediaset” comincia ad appassionarmi. Per la verità è l’unico argomento relativo alla televisione che ancora riesce ad interessarmi, forse perché implica dinamiche aziendali che sempre riflettono le più elementari dinamiche umane. La domanda che continuo a pormi è: perché questo sistema televisivo, che rispetto alla Rai potrebbe, volendo, coltivare maggior libertà, sperimentare come crede, sembra invece votato al provincialismo culturale da un lato e alla progressiva distruzione dall’altro?

Onestamente non riesco a darmi una risposta, fermo restando che mi riesce difficile immaginare Piersilvio Berlusconi seduto passivamente a sovvenzionare ogni puttanata che gli propongono i suoi managers. Ciò che so di sicuro, ciò di cui ho contezza è l’imbarazzo che di recente ho provato davanti agli schermi di questa televisione, anche in quei pochi minuti in cui mi sono fermata a guardarla. Uno dei ricordi che non mi abbandonano è un concerto musicale tenuto nel periodo di Natale in Vaticano e “condotto” da un Jerry Scotti talmente logorroico che il suo parlare sovrastava le note musicali. Scotti sembrava non avesse capito che non stava presentando “La corrida”, ma che si trattava di altra occasione degna di maggior rispetto. Non dimentico dunque l’immagine della nota cantante americana che, forse ansiosa di fermare quell’ondata scomposta di parole, gli ha stretto velocemente le mani e si è allontanata quasi di corsa.

Esempi di provincialismo mediatico, appunto! Come sono esempi eclatanti di un gap culturale – una sorta di digital divide culturale – consolidato, la reiterata riproposizione di programmini d’avanspettacolo imbottiti di Albani, Romine, Toto Cutugni, Ive Zanicchi, di cui un qualsiasi millennial no sa nulla e giustamente nulla vorrà mai sapere se vive, come dovrebbe, una vita davvero piena e al passo con i suoi tempi. L’impressione è che Mediaset viva nel passato, sia determinata a restarci in quell’idealizzato tempo andato, mentre il futuro le appare rappresentato da un ideale e spaventoso buco-nero che, se faranno gli scongiuri come li sanno fare, forse non li inghiottirà!

Più gravi, mi sembrano comunque gli shortcomings su piano aziendale; decisamente più gravi mi paiono i fortissimi investimenti in programmi come “Freedom” di Giacobbo e in quest’ultima avventura al limite dell’incredibile televisivo, vale a dire l’orrore che è stato “Adrian” di Adriano Celentano. Ciò che mi meraviglia è che in tempi digitali, in tempi in cui anche un ragazzino mediamente sveglio è in grado di captare il liking o il disliking del pubblico, il mood della Rete, non ci sia nessuno nell’immagino costoso entourage di Piersilvio, a consigliarlo altrimenti, a consigliarlo in altra direzione.

Insomma, per dati versi il destino dell’impero televisivo di Berlusconi sembra segnato, contenutisticamente, quindi culturalmente, ma anche come impresa. Nulla da meravigliare cioè se nel prossimo trentennio tale impero sparisse insieme al suo creatore, mentre per qualche ragione appare già chiaro che saranno ben pochi i posteri interessati a smuovere la pietra sepolcrale che lo seppellirà nell’improbabile speranza di trarre maggior conoscenza da simili deleteri fantasmi del passato. Sic!

Rina Brundu