Fonti certificate: vale anche per lo spirito. E sulla leggenda cinese di Tu Po
Non amo le religioni orientali, così come non amo le religioni in generale. Peraltro le grandi “religioni” orientali non sono veramente tali. Ovvero raramente abbiamo una qualche associazione di uomini di diversi orientamenti sessuali che si riuniscono per recitare ridicolissime preci e intanto arraffano il potere e compiono i crimini più efferati, per lo più a danno di donne e bambini… No, le “religioni” orientali, le ho sempre viste come un qualcosa a metà strada tra le “associazioni” religiose occidentali appena descritte, e le scuole filosofiche. Però mancano del “rigore” cogitativo che solo la filosofia migliore sa imporre.
Prendiamo le predicazioni di Gautama Budda. Per tanti versi questo signore sarebbe stato una sorta di San Francesco, nato ricco si è liberato di ogni possedimento terreno per inseguire il dettame della sua anima. Impresa lodevolissima da un punto di vista morale ed etico. Il problema però è dato dal fatto che se uno si prende la briga di andare ad analizzare per davvero le conclusioni che il Budda raggiunse quando si piazzò sotto l’albero, giurando che non si sarebbe spostato da lì fino a quando non avrebbe compreso le motivazioni che determinano dolore e sofferenza nel mondo… ecco, è lì che ti casca… il buddista. Di fatto io feci quell’esercizio e trovai quelle “conclusioni” troppo deboli, mancanti appunto del rigore che serve a imbastire un ragionamento minimamente accettabile anche da una mente mediamente capace come la mia, figuriamoci da uno spirito brillante!
Ma non è di questo che volevo parlare qui. In realtà, benché io non sia e non sarò mai un’entusiasta delle religioni orientali (mi ricordo quando Craxi e gi altri-arrivati volavano dall’imbroglione Sai Baba negli anni ’80: proprio vero che vai con lo zoppo… sic!), debbo ammettere che su date questioni i monaci buddisti volano molto più alto dei cosiddetti teologi cristiani. Un simile discorso si può applicare per esempio al concetto di Karma, ovvero a quella sorta di principio cosmico in virtù del quale la storia della nostra anima, anche e soprattutto delle sue future incarnazioni, è determinata dalle nostre azioni più o meno etiche presenti, le quali implicano risultanze quasi simili al terzo principio della Dinamica, detto anche terza legge di Newton o principio di azione e reazione uguale e contraria. Questo significa che ogni azione malvagia o buona che si commette determinerà una reazione, la quale però sarà uguale e uguale. Detto altrimenti se io imbroglio in questa vita, in automatico nella mia prossima esistenza sarò imbrogliato da chi ho imbrogliato e vivrò sulla mia pelle il danno che io stesso ho procurato agli altri. Tuttavia, il miglior modo per descrivere cosa sia e cosa fa il Karma è forse scrivere che tutto ciò che io faccio agli altri è il mio Karma, tutto ciò che gli altri fanno a me e il loro Karma.
Se questa fosse davvero la legge universale che dirime sul nostro destino sarebbe a suo modo straordinaria e condivisibilissima. Peraltro in questa sorta di matematica risoluzione di ogni mistero che accompagna il nostro destino, sarebbe insita una giustizia logica e infinita che si fa davvero ammirare e in cui io credo moltissimo. In questo modo di procedere c’è insomma la risposta a buona parte di tutte le domande per le quali non ha risposta la nostra filosofia più rigorosa e positivista: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Be’, per la verità alla prima domanda non risponde neppure il concetto di Karma, si tratta infatti di uno di quei quesiti a cui potrà rispondere solamente la filosofia dell’anima in un futuro molto lontano, ma alle altre due domande il concetto di Karma risponde benissimo, a livello epidermico almeno, cioè quando mi interrogo sul perché io sono nata qui e non lì, sul perché quello è sano e l’altro è malato, ricco o povero, bello o brutto, etc. Per la verità la filosofia dell’anima aggiungerebbe anche altro a queste considerazioni, di fatto perfezionando il concetto di Karma, ma preferirei non parlarne qui onde non rovinare completamente la mia già compromessa reputazione agli occhi cattolici e degli spiriti religiosi in generale (si fa per dire e per ridere, naturalmente).
Oggi però mi sento “daring enough” da andare oltre e raccontare il mio personalissimo concetto di Karma, ovvero mettere a nudo la mia anima con il coraggio che serve a mostrare un’anima ben lontana dall’essere saggia come ho scritto in più occasioni, anche quando parlavo del disprezzo. Sì, in fondo è così, noi umani, anche quando ci decidiamo ad accogliere, a fare nostro, un principio di tipo metafisico come è sicuramente anche quello del Karma, alla fine della fiera ce lo giriamo tra le mani sempre come ci conviene. E io, da buona sarda delle montagne, balente nell’anima, me lo giro nel modo che segue. Un modo che sotto aspetti è proprio influenzato da questo mio background socio-culturale di provenienza. Se ci pensiamo bene, infatti, anche uno dei peggiori vizi che riguardavano noi sardi delle montagne, ovvero quello della vendetta, che poi di solito scatenava faide a non finire (pensiamo solamente alle tante questioni simili che hanno martoriato per secoli paesi come Mamoiada e Orgosolo), è newtonianiano nella sua essenza “azione e reazione”.
Orbene io aborro la violenza fisica, in tutte le sue forme, non importa quale sia la ragione per cui si sia fatta necessaria! E aborro anche l’idea di fare volontariamente del male agli altri, non riuscirei mai, sono praticamente impedita nell’anima da questo punto di vista, il quale a ben pensarci potrebbe essere la conseguenza di qualche mio peccato passato, esattamente come potrebbe esserlo la mia incapacità di odiare. Bisogna ricordare infatti che anche situazioni come l’incapacità di odiare non sono viste dalla filosofia dell’anima come un fattore moraleggiante positivo come le considererebbe la filosofia cattolica, ma sono considerati dei “limiti” oggettivi dello spirito procurati da una causa passata ed esistenti nel dato periodo X per un motivo preciso (però qui mi fermo altrimenti la reputazione presso i cattolici ecc ecc).
Tuttavia il fatto che io (o chiunque) possa non contemplare l’idea di fare del male a terzi non significa che io non possa diventare oggetto di quel male in molti modi. Questo per ovvie ragioni mi pone in una condizione di subalternità, ma vero è che tutte le buone leggi della Fisica a volte agiscono anche sul piano della Metafisica e dunque a qualsiasi “azione” corrisponde sempre una “reazione”, che nel mio caso è pure peggiorata dalle implicazioni che porta seco quel mio background socioculturale di cui ho già parlato. Detto altrimenti io non vorrei mai essere nei panni di chiunque a qualsiasi titolo mi abbia fatto del male, sia che io lo sappia sia che io non lo sappia, dato che su questi spiriti gravitano più maledizioni di quanti granelli di sabbia esistono nella terra e quella più leggera parte con un tumore alla prostata. C’è anche di più, in realtà il mio senso del Karma rivisto in salsa balente, va anche oltre e ricorda molto da vicino quello del ministro cinese Tu Po (1) di cui già parlai in altra occasione. Cioè, io non ho dubbi nel dire che una volta passata ad altro stadio di esistenza, rendendomi conto chi sono i “reietti”, e messa in condizione di poterlo fare, tornerai a “risolvere” qualsiasi situazione con chiunque, attivando proprio una reazione “uguale e uguale”, non ci sono dubbi su questo.
Sì, l’ho già detto, non sono un’anima saggia e a volte tante volte mi interrogo sul reale valore aggiunto che potrebbe darci la saggezza: è meglio essere Diogene o Bill Gates? Che se ci pensiamo bene il concetto di Karma risponde anche a questo interrogativo dato che in un cosmo dominato da un principio ottimale come quello karmico, giusto, matematico, mai moraleggiante, la “saggezza” non ha senso di esistere, non serve a nulla, anzi può farsi arma pericolosissima nelle mani di chi saggio non è.
L’universo che racconta il concetto di Karma è dunque bellissimo, però bisogna essere sempre positivi e rigorosi come la miglior filosofia occidentale ci insegna e dunque anche codesta domanda si impone: e se il concetto di Karma fosse l’ennesima creazione della mente umana che cerca di porre razionalità dove c’è solo caos entropico, che cerca di imporre una qualche forma di giustizia dove non ce n’è nessuna e non potrà essercene mai alcuna? Detto altrimenti: e se le mie maledizioni non colpiranno mai chi dovrebbero colpire?
Paradossalmente, per la filosofia dell’anima questo sarebbe un grande “peccato” e anche solamente “contemplare” l’esistenza di una simile “possibilità” apre la porta a un universo barbaro e darwinista nell’essenza, dove la vince sempre la legge del più forte e alla fine della fiera conta solo sopravvivere. Sì, anche questa è una possibilità molto probabile da tenere in considerazione, su piano pratico la più probabile. Tuttavia, noi estimatori della filosofia dell’anima e dell’immensa giustizia, anche karmica, che la fa esistere, preferiamo pensarla altrimenti.
Rina Brundu
(1) Racconta una leggenda cinese che l’imperatore King Xuan di Zhou (827-783 aC), giustiziò il suo ministro Tu Po ingiustamente, accusandolo di crimini che non aveva commesso, e nonostante il fatto che Tu Po avesse giurato di tornare da morto per vendicarsi. In realtà Tu Po fece molto di più che infestare la casa dell’imperatore. Tre anni dopo la sua morte, un fantasma armato d’arco e frecce, che assomigliava molto a Tu Po, si presentò davanti a Xuan e alla corte di nobili feudatari riuniti e uccise l’imperatore con una freccia scagliata direttamente al cuore.
Si narra che il filosofo cinese Mo Tzu (470-391 aC) commentò questa leggenda dicendo: “Se sin dai tempi più remoti a oggi, ci sono persone che dicono di avere visto dei fantasmi e di averne sentito le loro voci, perché dobbiamo dire che non esistono? Se nessuno li avesse visti né sentiti, come avremmo potuto dire che esistono? Coloro che negano l’esistenza di codesti spiriti dicono: “Molti sostengono di avere visto e sentito i fantasmi, ma le loro testimonianze non concordano, dobbiamo accettarle lo stesso?”, e io dico “Se noi abbiamo fatto spesso affidamento su ciò che gli altri hanno visto e sentito, dobbiamo farlo anche con la storia di Tu-Po e accettarla”.
- NB– Le considerazioni del maestro Mo-Tzu sono tratte da “The Ethical and Political Works of Motse [Mo-tzu] Book VIII, Chapter XXXI “On Ghosts (III) Electronic republication of the translation by W. P. Mei (London: Probsthain, 1929) Retrieved December 19, 2006”, la traduzione è l’acconciamento della storia sono miei. Un’altra fonte è Live-Science.