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Media e regime (19) – Il caso “Repubblica”

media e regime new (1)Nel casino procurato dagli attacchi dei pseudo servi della gleba renzisti contro la mia persona, le mie attività e questo sito (questione diffamatoria su cui torneremo a tempo debito), quasi rischiavo di perdere di vista un fattoide mediatico che invece andrebbe sottolineato con maggiore attenzione, sicuramente va sottolineato su questo sito che, tra le altre cose, si occupa di giornalismo e di critica giornalistica.

repubblica

Mi sto chiedendo infatti in quanti abbiano letto l’articolo comparso quest’oggi su “Il Fatto Quotidiano” e titolato: “Consip, il pm di Modena accusa il Noe: “Scafarto e De Caprio mi dissero ‘Arriviamo a Renzi’”. “Falso. Mai detto””, e poi si siano soffermati su questo interessantissimo passaggio: “Il magistrato – come riportano il Corriere della Sera e la Repubblica – ha riferito che l’allora capitano, ora promosso maggiore, le disse: “Dottoressa lei se vuole ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba, scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi“. Frase che nel titolo del quotidiano La Repubblica diventa: “Vogliamo arrivare a Renzi”.

Si tratta di un passaggio molto importante secondo me e che per una volta risulta più interessante dell’articolo stesso dato che penso che non vi sia italiano in grado di intendere e di volere che sul Caso Consip non abbia già tirato le sue conclusioni. Secondo la redazione di Travaglio dunque, Calabresi, il suo giornale e il suo titolista avrebbero alterato una dichiarazione allo scopo, immagino, di rendere l’ennesima faccenda scandalosa che vedrebbe per protagonista Matteo Renzi, più digeribile dalla loro “readership”. Naturalmente potrei andare a verificare se quanto “Il Fatto” scrive corrisponde a verità ma non lo faccio per due motivi. Il primo è che non frequento i siti del Corriere e di la Repubblica da più di un anno (esattamente come non guardo più la Rai e la televisione italiana in generale), e in secondo luogo il giornalismo moderno è soprattutto credibilità: tra la redazione de “Il Fatto Quotidiano” e la redazione di “Repubblica” io la mia fiducia di lettrice accorta la dò alla prima. Penso che sia il minimo sindacale che pretenda la mia intelligenza.

Ovviamente la “sottolineatura” di questo supposto titolo di la Repubblica, vero  o falso che sia, non ci dice nulla che già non sappiamo sulla creatura fondata da quel venerato maestro del giornalismo italico, Eugenio Scalfari, che possiamo sicuramente considerare come il padre di tutto il giornalismo schierato (personalmente, e in altra occasione, lo elessi il peggior giornalista di sempre e questa è una di quelle opinioni che ritengo non dovrò cambiare mai vita natural durante). Resta il fatto che “Repubblica” è il giornale di De Benedetti, è un giornale nato per fare i suoi interessi di business, li ha sempre fatti e continuerà a farli e sotto questi aspetti non è criticabile; per la serie, ognuno in casa sua fa ciò che vuole. E scrive ciò che vuole.

Da questo punto di vista ciò che a me sorprende è che in Italia esista ancora una grossa fascia di popolazione che, vuoi  per età, vuoi per una formazione di tipo analogico, si informa con questa tipologia di marchette. Lo status quo ci dice molto del background culturale dentro cui ci muoviamo (ed è inutile meravigliarsi di tutto il resto), e ci porta anche al punto che volevo fare in merito a quest’ultimo… “caso Repubblica”. Ecco, quando ci indigniamo, o ci sentiamo patriotticamente feriti nell’orgoglio perché le associazioni che si occupano di monitorare il grado di libertà di stampa, e dunque di espressione, nel mondo si ostinano a considerarci alla stregua di uno stato mediatico canaglia, pensiamo a casi come questi e… zittiamoci subito.

Pensiamo, insomma, alla “gravità” del messaggio che passa, non rispetto alle pseudo-dinamiche del Caso Consip, che trovano il tempo che trovano, ma rispetto all’insegnamento etico che si dà, rispetto all’identità etica nazionale che purtroppo codesti comportamenti deontologici perniciosi aiutano a costruire: ma che popolo migliore aiutano a formare i venerati maestri di tipo scalfariano, insieme ai loro audaci figli e nipoti mediatici? Purtroppo, direbbe forse il grande Montanelli, il popolo che siamo, né più né meno che il popolo che siamo… e credo che con questo si sia detto tutto.

Rina Brundu