Lingua etrusca: sull’interpretazione e sulla traduzione dei testi
di Massimo Pittau. Ritengo opportuno esporre e spiegare quali siano state le circostanze favorevoli che mi hanno spinto e convinto a tentare l’impresa, certamente molto ardua, della interpretazione e traduzione dei testi più lunghi e anche più difficili della lingua etrusca.
1ª) Fin da ragazzo, familiari, amici e compagni hanno riconosciuto in me una particolare caratteristica che mi sono portato dietro per tutta la vita: la “perseveranza” o – chiamamola pure – la “caparbietà”: non arrendersi di fronte alle difficoltà, non stancarsi di provare, fare innumerevoli tentativi per risolvere un problema. Da ragazzo e da adolescente accettavo la sfida coi compagni a risolvere problemi che qualcuno aveva già risolto: «Se ce l’hai fatta lui – dicevo – ce la farò anche io, sia pure in un tempo più lungo». Questa mia caratteristica mi è servita parecchio nella mia educazione scolastica, soprattutto nella mia preparazione linguistica: studiando il latino e il greco mi ero imposto di non ricorrere mai ai noti libri di “traduzioni interlineari” degli autori classici, che invece erano e sono di uso generale fra gli studenti, e con questo mi dovetti imbarcare nella dura fatica di tradurre i testi classici, vocabolo per vocabolo, frase per frase.
La conseguente acquisita capacità di “interpretazione” e di “traduzione” mi è in seguito servita parecchio, ad es. per fare la traduzione, con commento filologico e critico, di una delle più importanti e difficili opere di Aristotele, la Poetica (Palermo 1972, Editore Palumbo). E mi è servita parecchio anche da militare nell’ultima guerra mondiale, quando, anche in virtù dei miei studi di linguistica già intrapresi, sono stato impiegato pure nell’attività di decifrazione di messaggi criptati.
2ª) Io adopero il computer ormai da vent’anni e inoltre con discreta padronanza e pertanto posso affermare che questo strumento da un lato mi ha consentito di velocizzare enormemente il mio studio e la mia ricerca, dall’altro e soprattutto di procedere continuamente e con facilità alla comparazione dei vocaboli studiati, delle loro radici e dei loro morfemi, operazione che ovviamente mi ha consentito di effettuare non poche scoperte ermeneutiche. Tengo però a precisare che il computer non effettua mai “scoperte”, ma solamente mette il ricercatore in grado di effettuarle.
3ª) Decidendo di analizzare e comparare in maniera unitaria e sistematica l’intero materiale lessicale dei 13 più lunghi testi etruschi, in pratica ho lavorato su una somma globale di più di 1.000 lessemi. Che è una somma molto notevole, se si considera che l’uomo di cultura moderno, quando parla o scrive, fa uso di meno di un migliaio di vocaboli appunto (però ne conosce moltissimi di più quando ascolta o legge). Ebbene il continuo ricorso al metodo fondamentale della “verifica comparativa interna” di più di 1.000 lessemi mi ha consentito di effettuare su di essi non poche scoperte ermeneutiche o interpretative.
4ª) Ritengo di aver avuto una preparazione linguistica di prim’ordine, dato che ho seguito lezioni di Matteo Bartoli in glottologia e di Augusto Rostagni in Lingua e letteratura latina e in filologia classica per la mia laurea in Lettere Classiche nell’Università di Torino (1943), lezioni di Gian Domenico Serra in glottologia per la mia laurea in filosofia antica nell’Università di Cagliari (1945) e, in un corso di specializzazione nell’Università di Firenze negli anni 1948-1949, lezioni di Carlo Battisti, Giacomo Devoto ed Emidio De Felice in glottologia, di Bruno Migliorini in storia della lingua italiana e di Giorgio Pasquali in filologia classica. Infine sono stato per 10 anni in corrispondenza con Max Leopold Wagner, Maestro della Linguistica Sarda e uno dei più autorevoli studiosi delle lingue romanze, il quale mi cita numerose volte e con stima nel suo importante Dizionario Etimologico Sardo (1960-1964).
5ª) Avevo iniziato nel 1981 col pubblicare l’opera La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi (Sassari 1981) e nel 1984 l’altra Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico (Sassari 1984). In queste ho sostenuto la tesi di una parentela o “affinità” fra la lingua etrusca e quella che parlavano i costruttori dei “nuraghi” della Sardegna, cioè quella che i Sardi parlavano prima della conquista romana e della loro latinizzazione linguistica, la lingua “protosarda o paleosarda”, quella che io ho iniziato a chiamare «lingua sardiana». (Di passaggio faccio notare che in un’altra mia recente opera La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001, ho precisato che in questa esistono i relitti di differenti filoni linguistici, uno è quello tirrenico-etrusco).
Qualche anno dopo ho pubblicato una terza opera intitolata Testi Etruschi – tradotti e commentati (Roma 1990), nella quale ho presentato la traduzione di numerose iscrizioni etrusche, tratte dall’opera di Massimo Pallottino, Testimonia Linguae Etruscae (Firenze 1954, I ediz., II ediz. 1968).
Poi ho pubblicato le altre seguenti opere: La Lingua Etrusca – grammatica e lessico (Nùoro 1997); Tabula Cortonensis – Lamine di Pirgi e altri testi etruschi tradotti e commentati (Sassari 2000); Dizionario della Lingua Etrusca (Sassari 2005; nella quale risultano tradotte 1.600 iscrizioni); Toponimi Italiani di origine etrusca, (Sassari 2006); Dizionario Comparativo Latino-Etrusco, (Sassari 2009). Poi ho composto la presente opera I grandi testi della Lingua Etrusca – tradotti e commentati (Sassari 2011). Infine è di prossima pubblicazione un’altra opera che avrà il titolo Lessico italiano di origine etrusca – appellativi e toponimi.
Insomma, sulla lingua etrusca io ho pubblicato, compreso il presente e quello prossimo, ben 10 differenti libri e oltre a questi un centinaio di studi pubblicati in riviste specializzate o di cultura.
Con questi precedenti culturali, facendo riferimento al solo aspetto “quantitativo”, io ritengo di essere il linguista che ha dedicato alla lingua etrusca più tempo (oltre 30 anni) e più scritti (10 libri e un centinaio di articoli) rispetto a qualsiasi altro etruscologo.
E dunque, con un tale bagaglio specialistico sulle spalle (tutto quello indicato nei numeri 1ª, 2ª, 3ª, 4ª, 5ª), niente di strano che alla fine mi sia sentito in grado di affrontare l’avventura culturale e scientifica che risulta nella mia nuova presente opera.
* * *
Quale accoglienza in generale ha avuto la mia citata produzione etruscologica? Evidentemente non mi riferisco alla notorietà che mi è derivata dall’interesse che qualche mio libro ha suscitato in alcuni quotidiani e periodici di carattere nazionale e alle conseguenti numerose interviste radiofoniche e televisive che mi hanno procurato. Intendo riferirmi invece all’accoglienza che le mie pubblicazioni hanno avuto nel mondo degli specialisti, linguisti ed etruscologi.
Ebbene la risposta è duplice: in linea generale c’è stato un “quasi totale silenzio” sull’argomento da parte degli specialisti. La qual cosa mi sembra che si possa spiegare in maniera semplice e certa: per giudicare la mia tesi della affinità – almeno parziale – della lingua degli antichi Protosardi con quella degli Etruschi è necessario conoscere bene sia il Protosardo sia l’Etrusco e finora non si è fatto avanti nessun interlocutore ugualmente esperto nell’una e nell’altra lingua.
D’altra parte non posso negare che in generale le mie opere e le mie tesi non sono state accolte con entusiasmo, ma sono state viste con una certa diffidenza. Però si deve considerare che, per effetto del continuo proliferare dei genialoidi scopritori della “chiave di decifrazione dell’etrusco” (cosa che io non fatto per nulla), è certo ed evidente che linguisti, archeologi, storici e uomini di cultura hanno finito, sino ad ora, col non prendere sul serio nessuna ipotesi o tesi o notizia che compaia ex novo intorno alla lingua etrusca; anzi hanno finito col considerare l’argomento perfino come oggetto di battute umoristiche.
Oltre a ciò non posso tralasciare di segnalare che la diffidenza per le mie tesi è stata ed è particolarmente forte da parte degli etruscologi italiani; e la ragione di ciò è presto detta: io li ho criticati con insistenza per il fatto che, quasi tutti semplicemente “archeologi”, in effetti si sono impadroniti dell’”amministrazione” della lingua etrusca, sia col controllo accurato dell’assegnazione delle cattedre universitarie di Etruscologia, sia con la pubblicazione di libri e di riviste, sia infine con l’organizzazione dei convegni e congressi specialistici. E questo essi fanno in virtù del loro grande potere politico ed economico, dato che, come “custodi” dell’immenso patrimonio archeologico e artistico dell’Italia, ricevono grandi fondi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, delle Comunità Montane e dei Comuni italiani. Io invece ho fatto osservare e ho sottolineato che fra l’”archeologia” e la “linguistica” esiste un oceano di differenze nell’oggetto di ricerca e nei metodi di studio, ragion per cui il conseguente livello dell’insegnamento della lingua etrusca che essi impartiscono nelle cattedre universitarie di Etruscologia è veramente basso, condotto su manualetti veramente miserini. Inoltre li ho accusati esplicitamente di aver “bloccato” per mezzo secolo gli studi sulla lingua etrusca, succubi del grave pregiudizio – mai approfondito – che essa non possa essere confrontata e comparata con nessun’altra…
Anche altri linguisti hanno criticato questo grave stato di cose, ad es. Ambros Joseph Pfiffig, Vladimir I. Georgiev, Marcello Durante, Francisco Adrados, Riccardo Ambrosini, ecc., e il risultato è stato che dagli etruscologi-archeologi noi siamo stati “boiccotati” nelle case editrici, non siamo mai stati accolti nelle loro riviste, non siamo stati mai chiamati a tenere relazioni nei loro convegni e congressi ….
D’altra parte è bene che si sappia che non sono mancati pure alti riconoscimenti per le mie opere: Ambros Ioseph Pfiffig, uno più fecondi e acuti studiosi della lingua etrusca, mi scrisse da Geras (Austria) il 31 maggio 1990: «Illustre professor Pittau! Mi è giunto qual’omaggio dell’Autore e dell’Editore il di Lei eccellente libro ‘Testi Etruschi tradotti e commentati’, un’opera, che sfogliando, mi pare di valore speciale, sia essendo basata sul manuale già classico del Pallottino, sia applicando sistematicamente il metodo combinatorio nel senso da Lei spiegato e definito.- Oserei dire che ‘Testi Eruschi tradotti e commentati’ sia un ricco commentario per l’uso quotidiano di TLE [= Pallottino M., Testimonia Linguae Etruscae, Firenze 1954, I ediz., II ediz. 1968].- La ringrazio sinceramente di quest’omaggio, il cui acquisto raccomanderò nei Corsi di Etruscologia ormai regolari nell’Università di Vienna.- Gradisca i miei ottimi auguri e saluti: [firmato]».
Nella nota rivista spagnola EMERITA (LXXIII 1, enero-junio 2005, pag. 45, l’autorevole linguista Francisco R. Adrados ha iniziato un suo importante studio sulla lingua etrusca parlando di me in questo modo: «Mala suerte ha tenido el etrusco cuando algunos lingüistas hemos querido incorporarlo al cuadro de las lenguas indoeuropeas. Massimo Pittau ha explicado muy claramente el veto que la escuela arquelógica italiana, siguiendo M. Pallottino, ha impuesto a cualquier intento de comparar el etrusco con otras lenguas. Siguiendo a Dionisio de Halicarnaso, esta escuela decretò el aislamiento dell etrusco». Poi mi cita altre tre volte con tutta deferenza, mostrando di approvare le mie tesi.
Come con tutta deferenza mi cita Francisco Villar, nella sua nota e importante opera, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa (trad. ital. Bologna 2008, Il Mulino, pag. 495).
E Riccardo Ambrosini, professore di Linguistica nell’Università di Pisa, nonché Presidente della «Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti», nella quale mi aveva chiamato per fare due conferenze, una sulla Tabula Cortonensis e l’altra sul mio Dizionario della Lingua Etrusca, in data 18.11.2005, mi ha scritto da San Lorenzo di Moriano: «Carissimo Pittau, ho appena ricevuto il Tuo stupendo Dizionario della Lingua Etrusca e mi sono affrettato a leggerne alcune pagine che attraevano la mia immediata curiosità. Non posso non congratularmi con Te per la sapiente disposizione del materiale e per la prudenza di alcune proposte, che ben sottolinei nella chiarissima introduzione. (….) Complimenti vivissimi e, scusami una sentita invidia per questo Tuo magnifico lavoro, e, insieme con questi, i ringraziamenti più vivi e i saluti più cordiali. Tuo [firmato]».
Un mese dopo (1.12.2005) mi ha ancora scritto: «Qui la tua conferenza è stata molto apprezzata dagli echi cittadini. Rileggendo il tuo bellissimo dizionario, ho notato che, ecc.».
Il giorno 20 agosto del corrente anno 2011 in una grande rappresentazione pubblica – con recita – che si è tenuta a Populonia, del Liber della Mummia di Zagabria, è stato tenuto presente e seguito esplicitamente il testo quale è stato letto e ricostruito dal sottoscritto.
Infine è un fatto che da circa vent’anni io sono solito tenere relazioni sulla lingua etrusca nel «Sodalizio Linguistico Milanese», che è uno dei più prestigiosi centri linguistici d’Europa e di cui sono membro appunto da una ventina d’anni, e che tali mie conferenze sono regolarmente pubblicate, di volta in volta, negli Annali del Sodalizio stesso.
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Espongo infine i criteri fondamentali ai quali mi sono ispirato e attenuto nell’effettuare la “interpretazione” e la “traduzione” dei 13 testi etruschi studiati.
In linea generale ritengo importante premettere e precisare che in fatto di “traduzione” dei vocaboli etruschi – come del resto di quelli di una qualsiasi altra lingua antica – la glottologia o linguistica storica distingue e non può non distinguere tra i risultati conseguiti quelli certi, quelli probabili e quelli ipotetici (TETC pag. 20). Ciò detto, è assolutamente necessario farsi consapevoli che in linea generale i risultati formulati e proposti dalla linguistica storica, riguardo a un qualsiasi dominio linguistico, nella immensa maggioranza dei casi sono semplicemente probabili, più o meno probabili, mentre quelli certi sono proporzionalmente assai meno numerosi. La ragione di ciò sta nel fatto che la linguistica storica non ha alcun vero e proprio strumento di accertamento o di controllo o di verifica, come sarebbe uno strumento uguale o almeno simile a quello di cui invece fanno uso le scienze della natura: l’esperimento e la sua ripetizione effettuati quanto e come si voglia. La linguistica storica – ma del resto anche tutte le discipline di carattere e di interesse storico – non possono far ripetere gli eventi passati e tanto meno sottoporli a verifica od a controllo e tanto meno ad esperimento. Ed è questa l’esatta ragione per la quale il sentenziare della linguistica storica assai raramente è caratterizzato dalla nota della certezza, mentre nella immensa maggioranza dei casi è caratterizzato dalla sola nota della probabilità o – si può anche chiamare – della verosimiglianza, della maggiore o minore probabilità o verosimiglianza, secondo i singoli casi.
Del tutto convinto, come dichiaro di essere, di questo principio metodologico relativo alla nostra disciplina, si sappia che anche in questa mia presente opera io faccio larghissimo uso dell’avverbio “probabilmente”, anteposto alle interpretazioni o traduzioni proposte da me oppure anche da altri linguisti.
D’altra parte, oltre al pochissimo certo ed invece al moltissimo probabile o verosimile che in questa mia opera ho prospettato rispetto ai singoli vocaboli e alle singole frasi etrusche tradotte, preciso bene che ho fatto entrare anche l’ipotetico. Dieci anni fa, a me che avevo già pubblicato la traduzione della Tabula Cortonensis, un mio collega linguista ed etruscologo ebbe modo di obiettare e dichiarare: «Chi tenta di tradurre la Tabula Cortonensis lo fa a suo rischio e pericolo!». Quel mio collega aveva perfetta ragione! Chi traduce lo fa sempre a suo rischio e pericolo; anche quando si mette a tradurre la più semplice delle iscrizioni etrusche o perfino la più semplice frase latina oppure greca. Rischia di sbagliare anche il linguista o il filologo che si metta a tradurre una delle favole di Fedro oppure di Esopo: è sufficiente che intervenga per lui un momento di distrazione ed ecco che egli incappa senza accorgersene in un errore anche grave di interpretazione e di traduzione.
Eppure si ha l’obbligo di rischiare e non soltanto in linguistica storica, ma anche in una qualsiasi altra scienza. Il progresso in tutte le scienze, di qualsiasi carattere e tipo – “esatte”, naturalistiche, storiche, ecc. – è proprio il risultato del rischio che ha corso uno scienziato, anzi dei rischi che hanno corso in generale tutti gli scienziati precedenti. I loro errori, effetto del loro rischiare, in realtà sono dappertutto il prezzo che si paga al progresso delle scienze, di una qualsiasi delle scienze. E questo fatto fa parte persino del pensare della gente comune, che lo esprime col noto proverbio «Chi non risica non rosica». Gli scienziati che non rischiano mai nel loro sentenziare non sono propriamente “scienziati”, ma sono semplici “ripetitori” delle scoperte altrui. Io ho già avuto modo di scrivere che anche in linguistica «è molto meglio una ipotesi azzardata, che non alcuna ipotesi; infatti, da una ipotesi azzardata – che alla fine potrebbe anche risultare errata – prospettata da un linguista, potrà in seguito scaturire una ipotesi migliore e addirittura quella vincente, prospettata da un linguista successivo». Questo – ho detto – è l’esatto e profondo significato della tesi di G. W. F. Hegel della “positività dell’errore” (RIOn, VI, 1, 144).
Fatta questa premessa, dunque, preciso che anche nel mio presente libro entrano non solamente il certo e il probabile, ma entra anche l’ipotetico. E se per indicare il probabile io faccio larghissimo uso dell’avverbio “probabilmente”, per indicare l’ipotetico invece faccio pure largo uso dell’altro avverbio “forse”, preposto alla traduzione di un vocabolo o di una frase etrusca e talvolta anche rafforzato da un punto interrogativo (?).
D’altra parte ovviamente esiste ancora un certo notevole numero di vocaboli etruschi per i quali non siamo ancora in grado di affermare nulla circa il loro effettivo valore semantico o “significato” e circa le loro notazioni morfologiche. Per ciascuno di essi pertanto mi sono limitato a scrivere la frase «vocabolo di significato ignoto». Purtroppo il numero di questi «vocaboli etruschi di significato ignoto» è ancora abbastanza elevato e per risolvere il loro problema debbono ovviamente indirizzarsi gli sforzi ermeneutici congiunti di tutti i cultori della linguistica etrusca.
Riassumo e termino dicendo che nel Lessico e nel suo Commento che ho inserito dopo la traduzione di ciascuno dei 13 testi da me studiati, ho presentato il «significato» di ciascun vocabolo come fino al presente è stato prospettato dagli etruscologi che mi hanno preceduto oppure da me stesso, indicando di volta in volta, in maniera decrescente, il suo essere “significato certo” oppure “significato quasi certo” oppure “significato probabile” o infine “significato compatibile”. Quest’ultimo è praticamente un “significato ipotetico”, il quale però ha la caratteristica di potersi inserire in maniera logicamente compatibile col significato del contesto particolare della frase e pure di quello generale del documento studiato e, più in generale, col significato dei vocaboli già acquisito dalla recente ermeneutica etrusca.
Ricevo e pubblico questo commento dal Professore che ha letto le vostre richieste.
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Rispondo alla richiesta di un lettore, di avere l’esempio di una mia traduzione.
Massimo Pittau
LAMINE DI PIRGI
(CIE 6314, 6315; TLE 874, 875; ET Cr 4.4, 5)
PREMESSA
Circa 45 anni fa, e precisamente nel 1964, si è avuta una scoperta archeologica e linguistica che ha colpito in maniera immediata e notevole il mondo degli studiosi specialisti delle civiltà antiche, e non soltanto questi: a Pirgi, cioè nel porto dell’antica città etrusca di Cere (attuale Cerveteri), durante gli scavi condotti in un santuario di cui si aveva già notizia per antiche testimonianze storiche, nei resti di un piccolo locale interposto fra i due templi, sono state trovate tre lamine d’oro. Su queste risultano incise delle scritte, due in lingua etrusca e una in lingua punica o fenicia, le quali sono state riportate alla fine del sec. VI od ai primi anni del V a. C.
La notizia rimbalzò da un capo all’altro nel mondo dei dotti, anche per l’immediata prospettiva che si intravide di avere finalmente trovato iscrizioni etrusche abbastanza ampie con la traduzione in un’altra lingua conosciuta e quindi con la speranza di vedere proiettate sulla lingua etrusca, scarsamente conosciuta, nuove e importanti cognizioni da parte della lingua fenicio-punica, che invece è conosciuta in maniera discreta.
Senonché questa speranza cadde quasi immediatamente, quando si intravide che l’iscrizione in lingua fenicio-punica e quella maggiore in lingua etrusca si corrispondono tra di loro, sì, ma non costituiscono affatto un esatta “traduzione” l’una dell’altra, cioè si intravide che si ha da fare non con un «testo bilingue etrusco-punico», bensì con un «testo quasi-bilingue etrusco-punico», nel quale cioè i due testi si corrispondono solamente a grandi linee.
D’altronde quella speranza cadde in larga misura, anche per la circostanza negativa che pure il testo punico si rivelò subito scarsamente aggredibile in fatto di interpretazione e di traduzione effettiva e minuta.
Dopo più di un quarantennio di studio ermeneutico molto intenso delle lamine di Pirgi, condotto sia dagli specialisti della lingua etrusca sia da quelli della lingua fenicio-punica, le conclusioni alle quali si è alla fine pervenuti sono che da un lato alla conoscenza dell’etrusco sono venute dal testo punico alcune conferme significative, ma purtroppo anche molto ridotte in quantità e in qualità, dall’altro la traduzione dei due testi, condotta in maniera comparativa, implica purtroppo numerosi e grandi punti oscuri sia per l’uno che per l’altro. E la presa di posizione ultima che gli specialisti delle due lingue hanno assunto, in maniera esplicita o anche implicita, è che convenga mandare avanti l’analisi e la interpretazione e traduzione di ciascuno dei due testi in maniera sostanzialmente indipendente l’uno dall’altro, nella quasi certezza che si ha da fare con due versioni alquanto differenti di un identico messaggio relativo a un certo evento storico: la consacrazione, da parte di Thefario Velianio, lucumone o principe-tiranno di Caere, di un piccolo edificio religioso (thesaurus) in onore della dea Giunone-Astarte.
Testo Etrusco
e traduzione interlineare
1ª lamina
ITA · TMIA · ICAC · HERAMASHVA [·] VATIEXE UNIALASTRES ·
Questo thesaurus e queste statuette sono divenuti di Giunone-Astarte dietro vaticinio.
THEMIASA · MEX· THUTA · THEFARIEI · VELIANAS · SAL [CL·]
Avendo la protettrice dello Stato concesso a Thefario Velianio due [figli]
CLUVENIAS · TURUCE · MUNISTAS · THUVAS TAMERESCA · ILACVE ·
da Cluvenia, (egli) ha donato a ciascun tempio e al tesoriere offerte
TULERASE NAC CI AVIL XURVAR TESHIAMEITALE ILACVE ALSHASE NAC
in terreni per i tre anni complessivi del (suo) comando, offerte in sale per
· ATRANES · ZILACAL · SELEITALA · ACNASHVERS · ITANIM ·
la presidenza del tempio di questa (Giunone) Dispensatrice di discendenti; ed a queste
HERAMVE · AVIL · ENIACA · PULUMXVA ·
statue (siano) anni quante (sono) le stelle!
2ª lamina
NAC · THEFARIE · VELIIUNAS · THAMUCE CLEVA · ETANAL MASAN ·
Così Thefario Velianio ha disposto l’offerta della metà del mese di Dicembre;
TIUR UNIAS · SHELACE · VACAL · TMIAL · AVILXVAL · AMUCE ·
ha fatto elargizioni a Giunone. La cerimonia degli anni del thesaurus è stata
PULUMXVA · SNUIAPH
la undicesima sulle stelle.
LESSICO E COMMENTO
ACNASHVERS (Pirgi I) significato compatibile «d(e)i discendenti o successori» (in genitivo plur.), da confrontare con ACNANAS «lasciando», ACNANASA «avendo lasciato» (LEGL 123, 124; DETR 29).
ALSHASE (Pirgi I) probabilm. «in sale» (in dativo sigmatico; LEGL 80). Cfr. TULERASE.
AMUCE (Pirgi II) significato certo «fu, è stato». Vedi AMCE.
ATRANES (ATRANE-S) (Pirgi I) sembra un aggettivo derivato dall’etr.-lat. atrium «atrio» ed anche «tempio», per cui significherebbe «templare, del tempio» (in genitivo) (DETR 69).
AVILXVAL (AVIL-XVA-L) (Pirgi II) significato certo «degli anni», nel senso di «anniversari» (in genitivo articolato plur. LEGL 74).
[CL] (Pirgi I) Procedo a ricostruire ed inserire il gruppo CL, abbreviazione di CLAN (cfr. le altre iscrizioni proprio di Cere CIE 5922, 5923, 5934, 5944, ETCr 1.16, 17, 24, 33), perché ritengo che sia stato obliterato dal foro che risulta all’inizio della riga e che è stato fatto, al momento dell’affissione della lamina a un supporto di legno, da uno dei chiodi di bronzo, dalla capocchia rivestita d’oro, che sono stati recuperati assieme con le lamine. È da escludersi con decisione che i fori siano stati fatti in precedenza, cioè prima che le lamine venissero scritte: da una parte infatti non era per nulla necessario farli prima, data la grande duttilità e perforabilità delle lamine d’oro, dall’altra lo dimostra il fatto che all’altezza delle righe 11 e 12 della lamina i due fori risultano sfasati l’uno rispetto all’altro (la quale cosa si constata anche nella lamina del testo punico rispetto alle righe 4 e 5); se invece i fori fossero stati fatti in precedenza, di certo l’andamento delle righe sarebbe stato allineato appunto sui due fori laterali già predisposti. L’obliterazione della abbreviazione CL sarà stata determinata sia perché non compresa dall’individuo – differente dallo scriba – che affiggeva la lamina coi chiodi, sia perché sarà stata da lui interpretata come un errato inizio della parola seguente CLUVENIAS, e insomma per il noto errore di aplologia che interveniva spesso nel passato nella pratica della copiatura a mano dei testi. D’altra parte si potrebbe persino fare a meno di procedere a questa ricostruzione traducendo nel modo seguente: «Avendo(ne) la protettrice dello Stato concesso a Thefario Velianio due da Cluvenia», in cui il vocabolo CLENAR «figli» risulterebbe sottinteso, dato che ai vari santuari di Giunone si andava soprattutto per chiedere la grazia di una discendenza di figli; e “i discendenti” (ACNASHVER) infatti sono citati subito dopo.
CLEVA (Pirgi II) significato compatibile «offerta».
CLUVENIAS (Pirgi I) significato certo «di/da Cluvenia» (in genitivo), gentilizio femm. che trova riscontro in quello lat. Cluvenius (RNG).
ENIACA (Pirgi I) significato compatibile«quanti, tanti quanti-e» (DETR 135).
ETANAL (ETAN-AL) (Pirgi II) significato compatibile «del mezzo, della metà», intendendolo come derivato dalla glossa lat.-etr. Itus, lat. Idus, Edus, Eidus «Idi» (la metà del mese) (ThLE 416; DETR 226; DICLE) (vedi ITUNA, TCap 6, 30). Oppure «di questo stesso (Dicembre)», derivato dal pronome ETA «questo-a», accusativo ETAN (DETR).
HERAMASHVA (Pirgi I) significato compatibile «statuette», in cui -SH(A)- è una variante del suffisso diminutivo -ZA, mentre -VA è la desinenza del plurale (DETR 195, 197). Probabilmente le statuette erano due, una per ciascuno dei figli di Thefario Velianio e di Cluvenia, e ancora probabilmente raffiguravano i due bambini oppure due animali che simbolizzavano altrettante vittime da immolare alla divinità.Vedi HERAMVE.
HERAMVE (Pirgi I) significato compatibile«statue» (plur.), quelle offerte a Giunone-Astarte da Thefario Velianio per i suoi due figli, probabilmente due, una per ciascuno; forse è da confrontare col greco hérma «erma, base, sostegno, puntello, cippo (anche funerario), cippo con figura di Ermes» (DETR 196, 197). Vedi HERAMASHVA.
ILACVE (Pirgi I) (ILAC-VE) probabilm. «offerte» (di terreni e di sale) (in plur.).
ITA TMIA ICAC HERAMASHVA (Pirgi I) significato probabile «questo thesaurus e queste statuette». Il pronome dimostrativo ITA «questo» corrisponde perfettamente ad ICA «questo», per cui è da escludersi che iMEX (Pirgi I) abbreviazione di MEXLUM «lega, federazione, confederazione, comunità, stato», in questo caso “della città-stato di Cere”; vedi MEXL dell’iscr. CIE 5360 di Tarquinia e della Tabula Cortonensis (capo III).
MUNISTAS (MUNIS-TAS) (Pirgi I) significato compatibile «dell’edificio o tempio», letteralmente «di questo edificio o tempio» (in epoca recente sarebbe stato MUNISTS), da confrontare col lat. munire (di origine ignota; DELL) (in genitivo di donazione) (LEGL 104, 136). Vedi MUNICLET.
NAC (Pirgi I) significato quasi certo «per, in», preposizione che nella frase CI AVIL XURVAR «per i tre anni complessivi», avente un valore “temporale”, mostra di richiedere il caso zero, mentre nella frase seguente NAC ATRANES ZILACAL «per la presidenza del tempio», avente un valore “causale”, mostra di reggere il genitivo.
NAC (Pirgi II) significato certo «così, come» (qui è avverbio). Sia il cambio di grafia fra le due lamine sia la differenza tra la forma del gentilizio VELIANAS della prima e VELIIUNAS di questa ci assicurano che ciascuna delle due lamine è stata scritta da un differente scriba. Probabilmente il nome del committente in realtà suonava VÉLINAS, cioè con l’accento sulla prima sillaba e con la vocale posttonica indistinta.
PULUMXVA (Pirgi II) «sulle stelle», le quali segnavano il passare del tempo; è un complemento di tempo con morfema zero.
PULUMXVA (PULUM-XVA)(Pirgi I, II) significato compatibile «le stelle, gli astri» (in plur. articolato, LEGL 69), significato assicurato da un corrispondente vocabolo dell’iscrizione punica; probabilmente è da confrontare col lat. polus, greco pólos «polo, stella polare». PULUMXVA (Pirgi II) «sulle stelle», le quali segnavano il passare del tempo; è un complemento di tempo con morfema zero. Forse la connessione semantica con FULUMXVA «arredi funerari, oggetti votivi» (Cippus) avviene coi significati intermedi di «*offerte astrali» (cioè effettuate rispetto ai singoli astri), «*offerte votive», «oggetti votivi».
SAL (Pirgi I) significato certo «due». n questo passo tra le due varianti esista una qualche distinzione. L’uso così ravvicinato che lo scriba ha fatto delle due varianti può essere stato determinato, al livello inconscio, dalla attrazione delle consonanti vicine: ITA T-e ICA-C.
ITANIM (ITANI-M) (Pirgi I) significato probabile «ed a questi-e», dativo plur. di ITA «questo-a», da confrontare con ETAN «questo-a» (accusativo; TLE-TET 620; ET, Cr 3.24). Si deve pensare a una frase ottativa, che per ciò stesso spiega l’ellissi del verbo.
MASAN (Pirgi II) significato quasi certo «Dicembre» e corrisponde alla forma sincopata MASN del Liber linteus.
MEX (Pirgi I) abbreviazione di MEXLUM «lega, federazione, confederazione, comunità, stato», in questo caso “della città-stato di Cere”; vedi MEXL dell’iscr. CIE 5360 di Tarquinia e della Tabula Cortonensis (capo III).
MUNISTAS (MUNIS-TAS) (Pirgi I) significato compatibile «dell’edificio o tempio», letteralmente «di questo edificio o tempio» (in epoca recente sarebbe stato MUNISTS), da confrontare col lat. munire (di origine ignota; DELL) (in genitivo di donazione) (LEGL 104, 136). Vedi MUNICLET.
NAC (Pirgi I) significato quasi certo «per, in», preposizione che nella frase CI AVIL XURVAR «per i tre anni complessivi», avente un valore “temporale”, mostra di richiedere il caso zero, mentre nella frase seguente NAC ATRANES ZILACAL «per la presidenza del tempio», avente un valore “causale”, mostra di reggere il genitivo.
NAC (Pirgi II) significato certo «così, come» (qui è avverbio). Sia il cambio di grafia fra le due lamine sia la differenza tra la forma del gentilizio VELIANAS della prima e VELIIUNAS di questa ci assicurano che ciascuna delle due lamine è stata scritta da un differente scriba. Probabilmente il nome del committente in realtà suonava VÉLINAS, cioè con l’accento sulla prima sillaba e con la vocale posttonica indistinta.
PULUMXVA (Pirgi II) «sulle stelle», le quali segnavano il passare del tempo; è un complemento di tempo con morfema zero.
PULUMXVA (PULUM-XVA)(Pirgi I, II) significato compatibile «le stelle, gli astri» (in plur. articolato, LEGL 69), significato assicurato da un corrispondente vocabolo dell’iscrizione punica; probabilmente è da confrontare col lat. polus, greco pólos «polo, stella polare». PULUMXVA (Pirgi II) «sulle stelle», le quali segnavano il passare del tempo; è un complemento di tempo con morfema zero. Forse la connessione semantica con FULUMXVA «arredi funerari, oggetti votivi» (Cippus) avviene coi significati intermedi di «*offerte astrali» (cioè effettuate rispetto ai singoli astri), «*offerte votive», «oggetti votivi».
SAL (Pirgi I) significato certo «due».
SELEITALA (SELE-ITALA) (Pirgi I) significato compatibile «della Dispensatrice» (Giunone) (in genitivo articolato), da confrontare con SHELACE «ha elargito» della 2ª lamina; è da distinguere in SELE-ITALA, con -ITALA ancora genitivo del pronome dimostrativo ITA in posizione enclitica e forse al femm. (cfr. VENALA dell’iscr. TLE-TET 34); in età più recente sarebbe stato *SELEITLA(cfr. TESHIAMEITALE) (LEGL 107; DETR 366).
SHELACE (Pirgi II) significato compatibile «elargì, ha elargito o fatto elargizioni»; sembra un preterito debole, corradicale di SELEITALA (SELE-ITALA) della 1ª lamina.
SNUIAPH (Pirgi II) significato probabile «undici». Secondo G. Giannecchini («La Parola del Passato», 1997), indicherebbe il numero «dodici»; io lo escluderei, visto che in etrusco «dodici» molto probabilmente si diceva SHRANCZL (LEGL 96). Comunque questo divario di una unità non implicherebbe alcuna differenza effettiva, considerato il modo in cui la gente spesso effettua la numerazione, cioè saltando o il terminus a quo o il terminus ad quem. Dunque la commemorazione della prima fondazione e dedicazione del thesaurus venne fatta undici/dodici anni dopo, secondo un numero che nei tempi antichi aveva una valenza sacrale a ricordo delle dodici lunazioni o comparse della dea Luna.- È molto notevole il fatto che in questa 2ª lamina non si faccia alcun riferimento alla dea fenicio-punica Astarte e che a questa iscrizione etrusca non ne corrisponda una analoga punica: nella verosimile supposizione che ho fatto a proposito della 1ª lamina, evidentemente Thefario Velianio negli undici/dodici anni trascorsi aveva ormai rafforzato il suo potere su Cere, per cui non aveva più bisogno dell’aiuto di Cartagine e tanto meno di ringraziarla pubblicamente.
TAMERESCA (TAMERES-CA) (Pirgi I) significato compatibile «e del tesoriere» del tempio, anch’esso in genitivo di donazione; vedi TAMERA«dispensiere, tesoriere, questore» delle iscr. TLE-TETC 170, 172, 195, da confrontare col greco tamías «dispensiere» (DETR 392). Per la congiunzione enclitica -CA vedi HAMPHISCA, LAIVISCA del Liber e FARICEKA dell’iscr. TLE-TETC 78.
TESHIAMEITALE (TESHIAME-ITALE) (Pirgi I) significato probabile «del comando» di Thefario Velianio, come principe-tiranno della città-stato di Cere. In questa eventualità è ragionevole supporre che egli fosse stato aiutato dalla potente Cartagine nella sua conquista del potere a Cere; ed in questo modo e per questa ragione si comprenderebbero bene sia la assimilazione effettuata nella lamina tra la etrusca Giunone e la fenicio-punica Astarte, sia la versione in lingua fenicio-punica dell’iscr. etrusca di questa 1ª lamina. In proposito è appena da ricordare la notizia data da Erodoto (I 166, 167; VI 17) della lega politico-militare che si era stabilita fra Cere e Cartagine, la quale aveva attaccato i Focesi della colonia greca di Alalia, in Corsica, nella battaglia navale del Mare Sardo (circa 535 a. C.) e, pur con un esito militare incerto, li aveva costretti a sloggiare dalla Corsica. Il vocabolo è in genitivo articolato; in epoca più recente sarebbe stato *TESHIAMEITLE. Vedi TESAMSA, TESHAMITN, TESINTH; cfr.SELEITALA.
THAMUCE (Pirgi II) significato compatibile «dispose, ha disposto»; nell’iscr. CIE 5357; ET, Ta 5.2 compare come THAMCE, cioè sincopato (DETR 207, 208).
THEFARIEI (Pirgi I) è un prenome maschile, che corrisponde a quello lat. Tiberius; è in dativo asigmatico (LEGL 80, 2°).
THEMIASA (Pirgi I) significato compatibile «avendo concesso», gerundio passato, forse da connettere con TMIA (vedi).
THUTA (Pirgi I) «tutore, protettore-trice, patrono-a»; cfr. ATI THUTA«madre protettrice» dell’iscr. TLE 159; è da confrontare col lat. tutor, tutrix, che è privo di etimologia (DELL s. v. tueor) e che pertanto potrebbe derivare proprio dall’etrusco (DETR 220).
THUVAS (THUVA-S)(Pirgi I) probabilmente aggett. riferito a MUNISTAS e pur’esso in genitivo; siccome sembra derivato da THU «uno», probabilmente significa «singolo», «ciascuno», con riferimento a ciascuno dei due templi che costituivano il complesso sacrale di Pirgi.
TIUR (Pirgi II) significato certo «mese». MASAN TIUR sono in caso temporale con morfema zero.
TMIA (Pirgi I) significato compatibile «thesaurus, tesoro di santuario», da confrontare col greco tameîon«tesoro o tesoreria» (vedi sotto TAMERESCA); probabilmente si trattava di una di quelle edicole che una città o il suo regnante costruiva accanto ai grandi santuari per esporvi i doni offerti alle rispettive divinità, anche con finalità propagandistiche di immagine esterna nei confronti dei numerosissimi frequentatori dei santuari. Vedi THEMIASA.
TMIAL (TMIA-L) (Pirgi II) significato compatibile «del thesaurus, del tesoro del santuario» (in genitivo).
TULERASE (Pirgi I) significato probabile «al confine» (del complesso templare), dativo sigmatico di TULAR «confine» (LEGL 80, 1°; DETR 416). Cfr. ALSHASE.
UNIALASTRES (Pirgi I) da distinguere in UNIAL-ASTRES con significato quasi certo «di Giunone-Astarte», è da confrontare con FUFLUNSUL PAXIES «di Funfluns-Bacco» dell’iscr. TLE-TETC 336, prove evidenti, l’una e l’altra, di interpretazione o assimilazione sincretistica di divinità straniere in origine differenti. Una spiegazione unitaria del vocabolo in senso totalmente etrusco è da respingersi perché inspiegabile dal punto di vista morfologico; d’altronde anche l’iscrizione punica nella prima riga richiama esplicitamente Astarte: L’ŠTRT.
UNIAS (UNIA-S) (Pirgi II) significato quasi certo «(di) Giunone» in genitivo di donazione o dedicazione (LEGL 136). Si osservi l’allomorfo del genitivo -ASrispetto all’altro -AL della 1ª lamina, nuova prova del fatto che si trattava di due differenti scribi.
VACAL(Pirgi II) significato quasi certo «rito sacro, cerimonia»; nel Liber linteus figura sincopato in VACL.
VATIEXEUNIALASTRES (Pirgi I) probabilmente «sono divenuti di Giunone-Astarte dietro vaticinio». VATIEXE è al preterito debole attivo, in 3ª persona plur. ed è da confrontare col lat. vaticinari. Cfr. ZIXUXE.
VELIANAS (Pirgi I) non compare la desinenza del dativo a norma della “flessione di gruppo”; invece la /-S/ è quella dell’originario genitivo patronimico ormai fossilizzata (LEGL 78).
XURVAR (Pirgi I) significato compatibile: siccome richiama il lat. curvus, è probabile che significhi «circolari», ma qui col significato di «globali, complessivi» (aggettivo plur.) (TCL 48; DETR 440).
ZILACAL (ZILAC-AL) (Pirgi I) significato certo «della prefettura o presidenza» templare o del tempio (in genitivo).
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Spero abbia copiato bene perché li ho ricevuti nel corpo della email, altrimenti fatemi sapere. Grazie