Majorana: mistero svelato?
di Umberto Bartocci. Continua dalla quarta parte. “Lascia perdere, vecchia”, disse Tiresia ridendo a Pannychis, “non preoccuparti di ciò che può essere stato diverso da come ce l’hanno raccontato e che non smetterà di cambiare faccia se noi continueremo ad indagare … La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta.”
(F. Dürrenmatt, La morte della Pizia)
Esaminate senza alcun timore reverenziale le ipotizzabili motivazioni, e la ‘cornice’, di un’eventuale azione violenta che avrebbe potuto mettere fine all’esistenza terrena di Majorana, resterebbe da discutere, per completezza, l’alternativa parallela a quella della soppressione, vale a dire il RAPIMENTO. Escluse ancora una volta ragioni private per la scomparsa del giovane e sfortunato fisico nucleare, è chiaro che lo sfondo nel quale si deve inquadrare questa ipotesi sarà lo stesso dianzi descritto, anche se adesso cambiano naturalmente le possibilità a priori relative a chi avrebbe potuto avere interesse ad architettare, e portare a compimento, una simile operazione[1]. Entrano prepotentemente nel gioco delle congetture infatti la Germania nazista, e, perché no, come presto vedremo, la stessa Italia. Inoltre, se si vuole, si può anche pensare all’URSS, tenendo conto di quanto sarebbe accaduto più tardi a Pontecorvo. Dopo il recente “disgelo” però, e con le informazioni provenienti dall’apertura degli archivi segreti sovietici (almeno fino a un certo grado, e bisognerebbe poi realisticamente valutare quanto in qualsiasi archivio potrebbe essere al più contenuto), quest’eventualità appare alquanto incredibile. Si può forse aggiungere, restando in tema, che da queste fonti è stata divulgata recentemente la notizia che dagli USA sia stato lo stesso Fermi, tra gli altri, a favorire l’inoltro di ‘informazioni’ riservate fino in URSS, ciò che stimola una mente fervida a tante riflessioni ulteriori[2]. La storia, raccontata ad esempio dal quotidiano romano Il Tempo, del 19.2.95, è la seguente. Pavel Sudoplatov, direttore dell’Ufficio Compiti Speciali del Cremlino, dal 1940 al 1953, sostiene che: “Scienziati illustri hanno collaborato con noi. Ci hanno passato, direttamente o indirettamente, il materiale per costruire l’atomica”. Tra questi nomi, quelli ‘attesi’ di Oppenheimer, Fuchs, Pontecorvo, ma anche, a sorpresa, quello di Fermi (marginalmente quello di Bohr). “Non lo facevano per denaro. Lo facevano per idealismo. Aiutando l’URSS, volevano prevenire il dominio americano sul mondo. I mostri sacri della leggenda nucleare americana erano quasi tutti di provenienza europea, quasi tutti ebrei e pacifisti o simpatizzanti comunisti […] La pace sarebbe stata meglio assicurata se si fosse creato un ‘equilibrio’, passando anche ad altri governi i segreti nucleari”. Il commento di “storici e illustri scienziati” è che Sudoplatov ha lavorato di fantasia, ma le sue rivelazioni sarebbero state confermate dal direttore degli archivi nazionali russi, Serghej Mironenko. Quest’ultimo avrebbe pure annunciato che la relativa documentazione sarebbe stata presto resa pubblica (quando?!), per ordine del presidente russo Boris Eltsin. Se tali notizie corrispondono anche solo in parte a verità, resterebbe dimostrato che quanto ‘noto’ agli storici della scienza, e da essi manipolabile per le loro considerazioni epistemologiche, è appena la punta di un iceberg…
Tornando al nostro discorso, anche la pista del sequestro, come quella dell’omicidio, non può liquidarsi in poche battute, e dirsi destituita di fondamento perché non ne resta evidenza in ‘documenti storici’, oppure soltanto perché ‘improbabile’. Il fatto è che Majorana non era un illustre sconosciuto, anche al di fuori del gruppo di Roma, e nonostante negli ultimi tempi si fosse ‘fisicamente’ allontanato dai suoi ex colleghi, restava pur sempre una delle massime e riconosciute autorità a livello internazionale in certi campi di ricerca. Testimoniano di questa sua notorietà alcuni prestigiosi inviti da lui ricevuti, pur se tutti regolarmente rifiutati. “Il governo sovietico lo invita ad andare a dirigere l’Istituto superiore di fisica. Le università di Cambridge e di Yale, la fondazione Carnegie gli propongono altissimi stipendi. Ettore respinge offerte e corrispondenza”[3]. Le memorie del Prof. D’Agostino, citate nel Capitolo II, confermano questa circostanza, e aggiungono anche che Majorana avesse, almeno in una certa fase della sua vita, il vezzo di rinviare siffatta corrispondenza al mittente scrivendo sulla busta “Si respinge per morte del destinatario”[4].
L’interessamento di Mosca nei confronti dello scienziato italiano sembra del resto essersi mantenuto costante nel tempo: “Nel luglio del 1946, la ‘Gazzetta di Losanna’ crede di poter rivelare che il governo sovietico ha fatto di tutto per venire in possesso dei ‘quaderni di Majorana’. Ma quali? Non certo quelli ‘innocui’ che la famiglia ha donato nel 1965 alla ‘Domus Galileiana’ di Pisa”[5].
L’ipotesi che stiamo esaminando esclude comunque di solito le potenze alleate occidentali, per ovvie ragioni, e, a parte l’URSS, è la Germania nazista la nazione che diventa il candidato numero uno come organizzatrice di un tale piano. Ad essa dedica per esempio la sua attenzione il ‘racconto’ di Andrea Frezza citato nell’Avvertenza iniziale. Non meriterebbe forse di farne neppure cenno, per il genere dichiaratamente ‘immaginario’ dello scritto, se non fosse che l’autore non è nuovo a lavori di pretesa finzione, che mostrano invece un’aderenza piuttosto inquietante alla realtà. Un’altra sua interessante opera di sfondo storico[6] – ancora più interessante per il presente autore, dal momento che si ricollega in qualche modo al suo precedente citato saggio, America: una rotta templare – viene espressamente dichiarata da una parte “romanzo di fantasie”, mentre è detta dall’altra essere costruita “su base rigorosamente documentaria”. Per darne un’idea, informiamo che viene conclusa con i seguenti Ringraziamenti: “Per scrivere questo romanzo è stato necessario un lungo lavoro di documentazione nel corso del quale ho avuto l’amichevole e determinante collaborazione di Stephanie Abarbanel, Barbara Gelber, Dalia Lahav-Zagni, George Mester e di Aaron Breitbart del Simon Wiesenthal Center di Los Angeles. Due padri gesuiti, e un ex-guerrigliero combattente di El Salvador, dai quali ho avuto informazioni e aiuto nella ricerca e decifrazione di documenti, mi hanno chiesto di rimanere anonimi…”.
Lasciando al lettore ogni possibile commento al riguardo, citiamo estesamente quanto viene detto a proposito dell’ipotesi del rapimento in DM (p. 110), nel quale si riconosce che simili elucubrazioni trovano in verità qualche appoggio di natura fattuale.
“Nel 1944, all’epoca della repubblica di Salò, Mussolini venne informato della presenza di un italiano nell’équipe degli scienziati tedeschi che stavano lavorando in Germania alla terribile arma segreta in grado di capovolgere in pochi giorni le precarie sorti del conflitto. Mussolini si ricordò della scomparsa di Majorana e ritenne che si trattasse proprio di lui. In base a quali elementi? Forse perché il leader del progetto atomico tedesco non poteva essere presumibilmente che il maggior fisico teorico rimasto in Germania, cioè Werner Heisenberg, e di tutti gli scienziati italiani Majorana era stato senza dubbio quello più legato a Heisenberg. Qualcuno inoltre poteva avere informato Mussolini degli apprezzamenti lusinghieri che Majorana aveva espresso sulla Germania al tempo del suo viaggio di studio. Comunque Mussolini scrisse a Filippo Anfuso, suo ambasciatore a Berlino, ordinandogli di svolgere indagini per averne conferma, il che gli avrebbe permesso di rivalutare politicamente l’apporto dell’Italia nei confronti dell’alleato-padrone. Il crollo della Germania interruppe un carteggio Mussolini-Anfuso di cui oggi non resta traccia”.
Siffatte considerazioni permettono addirittura la sovrapposizione dell’eventualità rapimento con quella della fuga volontaria. Majorana avrebbe potuto volersi recare di propria spontanea volontà da Heisenberg, e collaborare a un progetto gemello a quello che si sarebbe andato svolgendo di lì a poco negli Stati Uniti. La questione apre allora anche quella dell’effettiva consistenza, e del reale stato di avanzamento, della ricerca e della produzione di tali “armi segrete”. Voci in tal senso furono senz’altro molto diffuse verso la fine del conflitto, tanto da avere secondo alcuni alimentato oltre ogni ragionevole limite la resistenza delle potenze dell’Asse contro la straripante superiorità numerica e materiale delle forze alleate[7], ma la critica storica attuale le ridimensiona di molto, dichiarando che si trattava di aspettative in gran parte infondate. Leonardo Sciascia, per esempio, ricorda i timori degli “alleati” che i nazisti stessero anche loro per arrivare alla costruzione di un ordigno nucleare, e come questa preoccupazione fosse stata accresciuta da un fraintendimento da parte di Bohr di alcune informazioni passategli da Heisenberg: “[Heisenberg] cercò, anche se maldestramente, di far sapere a quegli altri che lui e i fisici rimasti in Germania non avevano l’intenzione, né sarebbero stati in grado, di farla; e diciamo maldestramente perché credette di poter servirsi come tramite del fisico danese Bohr, che era stato suo maestro. Ma Bohr già nel 1933 era in fama di rimbambimento […] e figuriamoci sette anni dopo, nel 1940. Capì esattamente il contrario di quel che Heisenberg, cautamente, voleva far sapere ai colleghi che lavoravano negli Stati Uniti”[8].
Riportiamo anche ampiamente l’efficace descrizione che viene fornita a questo proposito in DM (pp. 110-111).
“É il maggio del 1945: una missione segreta alleata, la missione Alsos[9], fa luce in Germania sulla reale consistenza del progetto atomico tedesco e individua gli uomini che se ne stanno occupando. Il loro leader è Werner Heisenberg.
In una piccola caverna semiartificiale scavata nella roccia, molti metri sotto le robuste fondazioni di un castello medievale, nella cittadina di Haigerlock, nel cuore della Selva Nera, la missione alleata mette in luce un ‘reattore atomico’. Ma è poco più che un abbozzo. L’esiguità degli stanziamenti[10], la distruzione delle scorte olandesi [sic] di acqua pesante provocata da commandos alleati[11], nonché, bisogna aggiungere, la scarsa volontà di collaborazione degli scienziati che vi lavorano, hanno bloccato il progetto a uno stadio corrispondente più o meno a quello raggiunto da Fermi a Chicago verso gli inizi del 1942. Quindi un ritardo di almeno tre anni.
La conclusione balza agli occhi: la paventata bomba atomica nazista il cui timore ha riunito in America, al servizio del governo degli Stati Uniti, la più grande concentrazione di cervelli nella storia della scienza, per costruire la bomba atomica, questa paventata minaccia nazista non è mai stata un serio pericolo.
Tra gli uomini catturati nei pressi di Haigerlock dalla missione Alsos ci sono Carl Friedrich von Weizsäcker, fisico di valore e figlio del sottosegretario della Germania hitleriana; Otto Hahn, l’uomo che ha scoperto la scissione nucleare; il Premio Nobel Max von Laue e molti altri.
Nessuna traccia di fisici italiani. Manca anche il leader, Werner Heisenberg, fuggito due settimane prima, in bicicletta”.
Personalmente incliniamo per questo tipo di conclusioni, che, assieme a quanto precedentemente riportato, mostrerebbero come all’interno del gruppo dei ‘fisici’ ci fosse un ‘accordo’ che andava molto al di là delle divisioni nazionali, e delle apparenti ‘scelte di campo’[12], e confermano quanto avremo modo di dire assai presto in ordine alla possibile collaborazione di alcune ‘forze’ operanti nel campo italo-tedesco a favore degli anglo-americani, e dei loro alleati. Per contro, a rompere la monotonia di un contesto interpretativo alquanto uniforme (almeno sui punti di partenza!), il giornalista italiano Luigi Romersa, inviato del Corriere della Sera, pubblicò alcuni anni fa delle sue ‘anomale’ testimonianze relative all’effettiva consistenza delle “armi segrete” di Hitler. In particolare, riporta di avere assistito, nel 1944, a Rügen, una piccola isola del mar Baltico, all’esplosione di un ordigno di inaudita potenza per quei tempi, circostanza che gli permise di affermare di aver visto esplodere “la bomba atomica di Hitler”[13].
Su uno sfondo simile si muove la seconda ipotesi di rapimento che illustreremo, quella del fisico-matematico Carlo Bresciani, inserita, ancorché marginalmente, nello scritto citato nell’Avvertenza iniziale. Tanto per sintetizzarne brevemente il contenuto, Bresciani sostiene che alcune evidenze di tipo fisico-chimico farebbero sorgere dei dubbi sulla circostanza che l’esplosione che affondò la corazzata italiana “Roma”, il 9 settembre 1943, fosse un’ordinaria esplosione chimica, e congettura pertanto che potesse trattarsi di una vera e propria “bomba atomica”, contenuta nelle stive della nave, seppure assai diversa (per concezione, dimensioni, e impiego previsto) da quella che esploderà circa due anni dopo ad Alamogordo[14]. In tale contesto ipotetico, si interroga allora su chi avrebbe potuto portare a compimento un tale strumento bellico, e da qui a ricollegarsi alla misteriosa ‘scomparsa’ di Majorana il passo è breve. Bresciani sottolinea anche che gli americani, dopo l’invasione del 1943, cercarono ansiosamente ‘qualcuno o qualcosa’ nel triangolo costituito dalle tre basi navali di Napoli, Brindisi e Taranto, e che interrogarono Edoardo Amaldi nel 1944. Una serie di nuovi elementi, dunque, per l’apertura di un’altra ‘pista’, che giudichiamo improbabile per i motivi generali dianzi spiegati, ma che dimostrano comunque quante informazioni essenziali ci siano di consueto sottratte perché ci si possa poi costruire una fondata opinione personale e autonoma su quasi tutti gli avvenimenti che hanno qualche rilievo economico, sociale e politico.
La sostituzione della Germania nazista con l’Italia fascista nella precedente ipotesi, ha perlomeno il merito di non far passare proprio per degli sprovveduti i nostri servizi segreti e il nostro governo, che sembrerebbero altrimenti non aver capito proprio niente di quanto stava avvenendo sotto i loro occhi – a meno che, naturalmente, e forse anche probabilmente, non si trattasse già allora di servizi segreti deviati, che facevano in realtà gli interessi di altri gruppi e di altre potenze. Su certi particolari aspetti di questa storia che ci sono noti, e su alcune congetture che ne derivano, preferiamo sorvolare, non senza prima averne presentato però qualche ‘assaggio’ al lettore, che avesse pensato che siamo andati già in troppa e farneticante profondità nelle pagine precedenti, mentre forse il nocciolo duro che sta dietro a tanti ‘misteri’ non è stato ancora neppure scalfito…
É comune negli ambienti massonici parlare di determinanti e decisivi apporti della loro organizzazione alla caduta dei “regimi fascisti” in Europa. In Italia, in modo particolare, c’era rancore perché “Il fascismo ha soppresso la Massoneria non appena asceso, con la violenza, al potere. La dittatura ha invaso e distrutto le Logge, ha sequestrato, distrutto e disperso gli archivi del Grande Oriente d’Italia, ha ferocemente perseguitato i Fratelli”[15]. Lo storico Bino Bellomo, che diciamo subito apparire però dotato di particolari sentimenti anti-massonici, ricorda questi eventi con le seguenti parole: “Travolta dal Fascismo nel 1925, la Massoneria aveva accusato il colpo, era abilmente scomparsa, e contribuirà non poco, attraverso fili segreti ma potenti, agli eventi che condussero a loro volta all’annientamento del fascismo […] La Massoneria aveva consentito, anzi ordinato lo scioglimento della propria base. Non aveva però soppresso la propria organizzazione al vertice”[16]. In seguito: “La Massoneria fu attivissima, specie negli Stati Maggiori, sia italiano sia germanico (dove contava antichi adepti che da essa erano stati portati ai gradi più elevati), quando il mondo si incendiò e precipitò in una guerra senza tregua e dimentica di ogni pietà”, e racconta poi delle particolari attività in Italia in questa direzione di un americano oriundo calabrese, che operava sotto il nome in codice di “San Michele Arcangelo”.
C’è chi sostiene che dietro talune affermazioni si nasconda molto ‘millantato credito’, e che la Massoneria, alimentando determinate voci, cercherebbe quindi, a volte anche in ‘buona fede’, di attribuirsi ‘meriti’ superiori a quelli effettivamente posseduti[17]. É verosimile comunque che, dietro a certi noti e fatali eventi, ci dovessero essere dei ben precisi accordi segreti, e delle trattative preliminari, che seguivano una via ‘riservata’. Nella Nota Introduttiva a un opuscolo (decisamente schierato dal punto di vista ideologico) di Franco Morini[18], Claudio Veltri afferma per esempio che: “La parte fondamentale avuta dalla Massoneria nel colpo di Stato antifascista del 25 luglio non è un’invenzione demagogica dei fascisti della RSI[19]: si tratta di una realtà che è stata confermata, anche recentemente, da storici eminenti e insospettabili, come Renzo De Felice[20] e Lucio Villari. Il secondo, in particolare, rievocando il ‘ruolo che hanno avuto certe forze occulte nella caduta del fascismo’, ha ricordato quanto gli disse una volta il banchiere Raffaele Mattioli: ‘il colpo di stato del 25 luglio l’abbiamo gestito a Milano, alla Banca Commerciale’[21]. La fine del fascismo, dunque, fu decretata dalle medesime forze che lo avevano appoggiato nella presa del potere”[22].
Un argomento immenso, dunque, e piuttosto ‘scottante’, del quale la storiografia ufficiale non ha iniziato ancora a sondare neppure i primi strati (fatte salve le solite lodevoli eccezioni, alcune qui citate)[23]. Ma, per quanto ci concerne, ci sono degli indizi che possano agganciare la nostra particolare storia a questi più vasti intrecci ideologici, politici e militari, che hanno un carattere internazionale e supernazionale? Orbene, non è una sorpresa trovare che, in pubblicazioni che provengono dalla stessa Massoneria, si ricorda il ruolo eminente avuto in seno all’associazione e per il progresso della civiltà di persone non solo quali Albert Einstein[24], J. Robert Oppenheimer, etc., già in precedenza citate, ma anche di Enrico Fermi[25]. Questa circostanza può diventare particolarmente significativa per noi, poiché se Fermi fu un massone, anche al di là dei tempi della sua ‘prima giovinezza’, va di necessità immaginato al livello di quegli alti vertici citati da Bellomo (e in quelle ‘funzioni’), tenuto conto del fatto, già ricordato, che dal 1925 in poi la Massoneria in Italia non esisteva ufficialmente più. Sarebbe interessante sapere quanti altri personaggi della nostra storia, principali o secondari, siano stati anch’essi affiliati a qualche Loggia (pare certa, secondo voci provenienti dagli stessi ambienti, l’affiliazione del Corbino), sia pure, come si dice, in aurem magistri, vale a dire ‘membri coperti’, di cui non esistono tracce scritte, e la cui afferenza è nota soltanto al Maestro…
Per tornare al punto, dopo questa forse non inutile e probabilmente istruttiva digressione, diciamo che l’ipotesi del rapimento presenta, comunque, il difetto di rimandare il problema della scomparsa definitiva di Majorana a un altro momento: quando sarebbe allora morto effettivamente Majorana (certo, viste le date, potrebbe ancora essere un vegliardo, ma vivente)? Quale ne fu la sorte? Se sopravvisse al conflitto, perché non si sarebbe rifatto vivo con la famiglia ad acque tranquille, come diverse altre persone coinvolte in simili episodi, di cui si sono occupate le cronache di tutto il mondo? Per questi motivi, restano a nostro parere sulla scena con maggiore verosimiglianza soltanto le due grandi alternative, aventi in comune la morte di Majorana in quell’ormai lontano mese di marzo del 1938: il suicidio o l’omicidio. Due soluzioni che difficilmente potranno mai definitivamente trionfare l’una sull’altra, almeno per quanto riguarda il piano delle possibili pure speculazioni logiche come le presenti. Majorana fu in senso letterale una “vittima della scienza”, come sentiva istintivamente in cuor suo la madre, senza peraltro immaginare quanto fosse potuta andare vicino al vero con questa sua espressione[26]? La sua scomparsa può essere ascritta a quella categoria di eventi oscuri della storia che nel titolo abbiamo indicato come affari di stato? O il suo fu piuttosto un dramma personale, che si potrebbe ricondurre alle difficoltà del “mestiere di vivere” di un Cesare Pavese? Majorana amava sicuramente soffermarsi sull’idea del suicidio, e della morte, come è del resto naturale per ogni ‘spirito filosofico’[27], e in verità, come è stato già riconosciuto, nonostante tutte le ragioni che si possono addurre contro la plausibilità dell’ipotesi della soppressione volontaria, essa non potrà mai del tutto escludersi, almeno fino all’acquisizione di nuovi elementi.
L’altra alternativa che abbiamo presentato si colloca su uno sfondo drammatico, quello dell’imminente guerra mondiale, e del futuro esodo delle migliori intelligenze scientifiche dall’Europa, e si regge su alcune labili, ma davvero curiose, coincidenze. Principale tra esse, la presenza a Palermo (almeno potenziale, ovvero dal punto di vista della residenza) di una persona che non poteva proprio dirsi ‘amica’ di Majorana, il capoluogo siciliano essendo con ogni probabilità l’ultimo dei luoghi di questa terra su cui gli occhi dello scienziato si posarono durante la sua breve vita. Questa teoria presenta indubitabilmente il vantaggio logico che molti piccoli particolari andrebbero a posto, e questo è uno dei segni che si è sulla pista giusta, anche se, naturalmente, non è certo sufficiente per eliminare dal piano delle possibilità altre ipotesi pure parimenti logiche – e, lo ripetiamo, in assenza di ulteriori informazioni. Alle valutazioni e agli ‘indizi’ prima riportati ne aggiungiamo adesso degli altri qui in sede di conclusione, questi ultimi appartenenti alla categoria delle sottili sfumature psicologiche, che ciascuno dei lettori potrà valutare con la propria sensibilità. Per esempio il tardo (e solo perché sollecitato) intervento di Fermi a favore dell’intensificazione delle ricerche[28], che confermerebbe l’impressione che nel gruppo dei fisici romani si fosse fatta strada la convinzione della morte di Majorana sin dai primi giorni dopo la sua scomparsa. Questa impressione risulta viepiù confermata dalle ultimissime parole dell’articolo di Segrè che abbiamo riportato nel precedente capitolo: “[Chi ne ha cara la di lui memoria] dovrebbe lasciarlo dormire in pace”, e prima ancora si era detto: “Se Ettore Majorana avesse vissuto più a lungo”. Parole forse rivelatrici, nelle quali potrebbe essere intravisto un significato profondo, tanto più che enunciate, come abbiamo già sottolineato, in un momento in cui Recami stava cercando di trovare supporto per la ‘pista argentina’, ed era comunemente diffusa, come ancora oggi peraltro, l’opinione di Sciascia, secondo la quale Majorana si era ritirato in un convento.
Alla stessa luce sottile potrebbero essere interpretate alcune valutazioni e comportamenti di Rasetti, che spinge il suo estraniamento dal gruppo dei fisici romani fino a rifiutare perfino un contatto epistolare con Amaldi, nonostante questi lo avesse più volte sollecitato. In tale occasione, Amaldi cercò di interpretare con Fermi il silenzio del loro comune ex collaboratore come “dovuto a un particolare processo di isolamento psichico del nostro amico”[29].
“Sono rimasto talmente disgustato delle ultime applicazioni della fisica (con cui se Dio vuole sono riuscito a non avere nulla a che fare) che penso seriamente di non occuparmi più che di geologia e biologia […] Pare quasi impossibile che persone che un tempo consideravo dotate di un senso della dignità umana si prestino a essere lo strumento di queste mostruose degenerazioni”, tali forti parole include del resto Rasetti – per la verità nel 1946, dopo le esplosioni nucleari in Giappone – in una lettera indirizzata a Enrico Persico, uno dei compagni di studi a Pisa di Enrico Fermi, e come lui vincitore del concorso di Fisica Teorica del 1926 (e pure come lui uno dei commissari del citato concorso del 1937; Persico fu il ‘caposcuola’ di quel gruppo di fisici fiorentini dal quale provenivano i già ricordati Bruno Rossi e Giulio Racah, oltre agli altri pure assai noti fisici Giuseppe Occhialini e Gilberto Bernardini). Questi gli rispose che: “É un vero peccato che la fisica si sia così contaminata con interessi politici e militari, ma credo che al punto in cui erano le cose ciò era praticamente inevitabile e non se ne possa far colpa a nessuno”[30].
Per contro, bisogna certo tenere presente (e abbiamo avuto modo di farcene un’idea alla fine del Capitolo IV) che la costruzione della bomba atomica ha effettivamente richiesto “quantità colossali di mezzi e di uomini”, come ricorda Emilio Segrè (nella Nota Biografica già più volte citata, p. xxxvii), e che nessuna nazione al di fuori degli Stati Uniti sarebbe stata verosimilmente capace di condurre a termine un’impresa tanto gigantesca. Ne consegue che, da un certo punto di vista, potrebbe apparire davvero sminuito il movente nucleare, quando si convenga inoltre (per esempio con Segrè) che nessuno scienziato all’epoca avesse ancora ben chiaro cosa sarebbe stato davvero possibile realizzare in futuro, e che certe applicazioni sono state consentite solo da ‘coincidenze’: sarebbe bastato in alcune circostanze incontrare qualche difficoltà in più, di natura teoretico-sperimentale (per esempio, alcuni parametri fisici diversi sia pur di poco da quelli reali), o tecnologico (la disponibilità di uranio sul mercato[31]), per non approdare infine a nulla. Di fronte a queste possibili obiezioni si può replicare con il dire che in effetti non bisogna tanto valutare quanto si è con il tempo venuti a comprendere sempre meglio sulla questione, bensì piuttosto stimare quali potessero essere le aspettative, le speranze, nel 1938, ancorché infondate. Ovvero, l’atteggiamento di alcuni scienziati in quel particolare periodo avrebbe potuto essere di sottovalutazione dei problemi che in futuro si sarebbero presentati, e anche se ogni persona, e tanto più dei fisici, sa bene che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, alcune innegabili constatazioni sperimentali avrebbero potuto viceversa costituire fonte di grande eccitazione, alla prospettiva della conquista di una ‘terra promessa’, il cui conseguimento si è rivelato poi più difficile di quanto non si fosse a tuttaprima immaginato.
In conclusione, ripetiamo ancora una volta che si è trattato qui non tanto di offrire una soluzione più convincente di altre del caso Majorana, ma soltanto di stabilire, con una ragionevole onestà, il seguente ‘teorema’: che non potevano escludersi logicamente a priori, e non possono essere esclusi ancora oggi, dei moventi e degli interventi di livello più ‘elevato’ nella vicenda della scomparsa del giovane scienziato siciliano, e che non dovrebbe bastare per escluderli, a studi storici seri e indipendenti, l’autorevole statura morale e scientifica delle persone che avrebbero potuto essere coinvolte in quei lontani oscuri avvenimenti, anche se entrate trionfalmente con la storia nella categoria dei vincitori. Neanche, si è voluto qui gettare ‘sospetti’ alla cieca, senza cura, o soprattutto emettere “giudizi di valore”. Altra cosa sono più o meno evidenti ‘simpatie’, che il presente autore non tiene peraltro a dissimulare con quella ben poco umana cautela che è d’uso comune in lavori ‘accademici’ – e, del resto, si tratta soltanto di una generica e universale compassione per i VINTI, accompagnata da un tentativo di comprensione delle loro ‘ragioni’. Si è cercato soltanto di sollevare degli interrogativi, tentando di valutarne il grado di legittimità, senza ignorare che i gravi momenti in cui si svolsero i fatti narrati implicano comunque le più ampie attenuanti, e giustificazioni, sotto l’aspetto umano (per entrambe le parti contendenti). Meglio che certi dubbi, peraltro assai naturali, e segretamente condivisi da molti, divengano espliciti, e non restino sotterranei, a inquinare con la loro presenza la dignità di ogni libero tentativo di ricostruzione storica. Sarà così fattibile, per chi possa esserne ancora in grado, di minimizzarli, o addirittura dissolverli, per esempio approfondendo nel modo opportuno i particolari organizzativi di quella diaspora scientifica che è stata al centro degli avvenimenti esaminati; se essa fu veramente la spontanea risultante di tante diverse decisioni e intese private, o se non fu piuttosto (almeno in parte) predisposta e favorita da parte di ben precise ‘organizzazioni’, più o meno ‘ufficiali’.
Nel caso specifico dell’episodio della scomparsa di Majorana, ci sarebbero volute delle indagini migliori, degli interrogatori più serrati, intelligenti ed efficaci, per poter escludere certe ipotesi a posteriori, non potendo ovviamente essere sufficienti in tal senso le sole dichiarazioni degli interessati. Se questi possono avere spinto infatti la naturale tendenza all”abbellimento’ della realtà fino al punto della mistificazione (per citare il termine usato da un commentatore come Sciascia, sicuramente insospettabile di certe ‘antipatie’ preconcette) anche in un episodio innocente come quello del concorso del 1937, potrebbero a maggior ragione essere considerati, ripetiamo ancora una volta, almeno a priori, non del tutto credibili, in un contesto di quello molto più grave, e delicato.
Non essendo state al tempo tali indagini eseguite con i doverosi scrupolo e zelo, “senza guardare in faccia a nessuno”, saremo forse costretti a rimanere per sempre nel dubbio, e certi interrogativi, che accompagneranno costantemente l’evocazione del nome di Majorana, saranno destinati a rimanere irrisolti. Tutto questo, purtroppo, all’interno di uno dei capitoli più importanti, e complessi, della storia della fisica di questo secolo, che deve essere considerato anche, a pieno diritto, per le capacità di dominio e di intervento sulla natura che sono state conseguenza degli eventi ricordati, un momento rilevante della storia universale della specie umana su questo pianeta.
POSTFAZIONE
C’è chi lavora per cercare la verità e chi lavora per acquistare potere e fama. Purtroppo sembra che gli uomini che seguono la prima via debbano necessariamente soccombere.
(VT, p. 17)
Ci sono opere alla realizzazione delle quali si è sospinti da una sorta di irresistibile fatalità, che si manifesta sotto forma di incontri, segni, coincidenze, che non si possono alla lunga ignorare. Questa, che il lettore ha presentemente tra le mani, è una di quelle, nelle vesti di un altro libro che mai avrei immaginato sarebbe stato compreso tra quelli da me scritti, ma che di fatto ho dovuto invece scrivere, in obbedienza alle a volte appena decifrabili intimazioni di un inesorabile destino. La questione della scomparsa di Majorana non mi aveva mai interessato particolarmente, e ne sapevo più o meno quanto la maggioranza delle persone a me vicine, quasi esclusivamente grazie alla visione di sceneggiati televisivi dedicati alla storia dei famosi “ragazzi di via Panisperna”. Nel mio caso personale potrei aggiungere una lettura alquanto superficiale dell’opera di Leonardo Sciascia più volte precedentemente citata, ma nel complesso di tale vicenda conoscevo ben poco, né mi era mai parsa un argomento a cui bisognasse dedicare qualche particolare attenzione. Una questione ‘privata’, o poco altro, che pur riguardando uno degli esponenti di rilievo della storia della fisica italiana di questo secolo, veniva messa in secondo piano da tante altre ‘storie’ più importanti. Poi, mi sono venuto a trovare man mano in possesso di una serie di informazioni, all’inizio neppure ricercate volontariamente, che poco alla volta, e in modo naturale, sono andate a comporre un quadro piuttosto coerente, che si inseriva perfettamente del resto in quello più generale che ero venuto costruendo nel corso di miei decennali studi sulla storia della scienza moderna (e al quale ho alluso nella mia recente ricerca su un possibile ruolo delle “società segrete” nelle sue ‘origini’).
Almeno una delle persone che hanno avuto un ruolo decisivo in questa progressiva maturazione debbo qui esplicitamente citarla: si tratta del compianto Prof. Valerio Tonini, di cui ho lungamente parlato, che incontrai per la prima volta nell’ormai lontano 1988, durante un Convegno a Bari dedicato a “La questione del realismo”. Allora avevo già fondato la mia persuasione dell’esistenza di un filo diretto tra l’affermazione della teoria della relatività in fisica e dell’impostazione formalista in matematica, il tutto sotto l’ombra e la regia degli ‘uomini di Göttingen’[32], e mi interessava ogni notizia che poteva contribuire ad arricchire l’immagine che mi ero fatta di quelle persone, e di quei tempi. Lo zio di Ettore Majorana, Quirino, era uno dei personaggi, ancorché ‘minori’, di questa particolare vicenda, le cui connotazioni, di natura anche ideologica e politica, stavo finendo proprio allora di precisare, e quindi…
Eppure, ho esitato tanto prima di dare alle stampe questo libro, perché l’argomento scabroso, facile a fraintendimenti, e una naturale tendenza al quieto vivere, mi avevano sempre portato a posporre l’impresa. Sarebbe difficile dire cosa mi abbia improvvisamente tolto dall’indecisione: forse, l’incontro con un caro amico di lunga data, il quale, al termine di una mia breve esposizione del contenuto potenziale del libro, ha confessato che lavori come questo gli davano il voltastomaco[33]; o con quell’altro, che mi ha detto che ordine e logica non esistono nella realtà, ed è quindi impresa del tutto inutile tentare di inserirli nella storia[34]; forse, la continua dimestichezza con quel pensiero di Ezra Pound che ho appeso, per vincere l’accennata istintiva vigliaccheria, nello studio che utilizzo nella mia qualità di docente di Geometria presso l’Università di Perugia: “Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente, o non vale niente lui”; forse, la lettura della riflessione di Friedrich Dürrenmatt apposta in epigrafe all’ultimo capitolo di questo lavoro, che contrasta così profondamente, nel suo scetticismo universale, con il mio amore, pur esso istintivo, per la ‘verità’ – o, se si preferisce, per la ricerca di essa – nella convinzione che il celebre detto del Cristo “conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Giovanni, 8:32) possa avere anche più modesto riferimento a ogni tipo di verità; forse, infine, l’incontro con un angelo, o un demone, chissà…
Dicendo queste parole, sono naturalmente ben consapevole che ci si trova qui di fronte a una di quelle che potrebbero definirsi antinomie della ragione pratica, e che il cedimento a un amore istintivo per la verità potrebbe essere considerato molto più un difetto che una virtù. Il problema è infatti, per tutti coloro che hanno nel cuore il motto ORDO AB CHAO, se tale impresa sia possibile restando sempre comunque nell’alveo della verità, o se dalla pratica di essa costringa dolorosamente a distaccarci la constatazione che, nell’attuale umana contingenza, il “popolo” non è ancora maturo per non essere ingannato[35], e l’auspicabile pacifica coesistenza tra verità e ordine, o tra verità e carità[36], sia ancora purtroppo irrealizzabile.
Fatto sta che questo libro – il cui ‘grosso’ è stato scritto, dopo una meditazione di quasi 10 anni, nell’arco di tre sole settimane, a cavallo di un torrido Ferragosto, mentre godevo a Terni della cortese ospitalità della famiglia Salvati, e servizi di informazione degni di un paese ‘occupato’ e in disfacimento morale[37] centravano tutta la loro ipocrita attenzione sulle prodezze amatorie di un presidente degli Stati Uniti – adesso è qui, davanti ai miei occhi, e a quelli dei lettori. Mi scuso con coloro di questi che avranno potuto trovare le precedenti considerazioni ridicole e/o offensive, nella speranza almeno che a persone tanto superiori dal punto di vista filosofico, scientifico, morale e politico non sarà difficile trovare nei confronti dello scrivente espressioni più di commiserazione che di condanna[38].
Al lettore non prevenuto torno comunque a ripetere quanto ebbi già a dire in America: una rotta templare: ho cercato di fornirti tutte le informazioni che presumevo rilevanti in mio possesso, adesso giudica sinceramente con la tua testa..
CRONOLOGIA ESSENZIALE
Quella che segue è una sintetica cronologia dei principali eventi ricordati in questo libro, pensata per comodità del lettore. Poiché qualcosa di simile, sostanzialmente dal 1939 in poi, è già contenuta nell’Appendice al Capitolo IV, ci si limiterà qui ad arrivare fino all’anno 1938.
1896 A.H. Becquerel scopre, per ‘caso’, la radioattività naturale
1897 Il fisico inglese Joseph John Thomson scopre l’elettrone
Il chimico francese Pierre Curie, assieme alla moglie Marie
Sklodowska, inizia gli studi sulla radioattività
E. Rutherford scopre la radiazione alfa e la radiazione beta
1898 I coniugi Curie scoprono il polonio e il radio
Il fisico tedesco Friedrich Ernst Dorn scopre il radon
1900 Il fisico francese Paul Ulrich Villard scopre i raggi gamma
1901 Nascono, a distanza di poco più di un mese, Franco Rasetti, in provincia di Perugia; Enrico Fermi, a Roma
1905 Einstein pubblica la prima memoria sulla teoria della relatività
Nasce, a Tivoli, presso Roma, Emilio Segrè
1906 Nasce, a Catania, Ettore Majorana
1908 Nasce, a Carpaneto Piacentino, Edoardo Amaldi
1911 E. Rutherford scopre la struttura nucleare dell’atomo
Il fisico americano Robert Andrews Millikan misura la carica
dell’elettrone
1913 Il chimico inglese Frederick Soddy scopre l’esistenza di isotopi
Niels Bohr formula la teoria dell’atomo planetario quantizzato
E. Rutherford scopre i protoni
1916 Einstein pubblica la prima memoria sulla relatività generale
1918 O.M. Corbino diventa direttore dell’Istituto di Fisica di Roma
1922 Mussolini viene nominato capo del governo dopo la “marcia su
Roma”
Fermi stringe amicizia con Corbino
1923 Majorana consegue la maturità classica
1926 Fermi diventa professore a Roma, ed è raggiunto da Rasetti
1927 Segrè fa la conoscenza di Fermi, tramite Rasetti e G. Enriques
Segrè passa da Ingegneria a Fisica
Amaldi passa da Ingegneria a Fisica
1928 Majorana passa da Ingegneria a Fisica
1929 Majorana e Amaldi si laureano nello stesso giorno
Fermi viene nominato membro dell’Accademia d’Italia
1932 J. Chadwick scopre il neutrone
W. Heisenberg teorizza il nucleo a protoni e neutroni
C.D. Anderson scopre il positrone
Majorana consegue la “libera docenza”
1933 Adolf Hitler viene nominato Cancelliere del Reich
Einstein emigra definitivamente negli Stati Uniti
von Neumann affianca Einstein a Princeton
Majorana parte per il suo viaggio in Germania e Danimarca
I coniugi Joliot-Curie producono radioattività artificiale
1934 Fermi inizia gli esperimenti con bombardamenti di neutroni
Viene annunciata la scoperta dei nuovi elementi 93 e 94
Pontecorvo si associa al gruppo di via Panisperna
1935 Fermi e collaboratori brevettano le loro scoperte
(15.9) Entrano in vigore in Germania le cosiddette “Leggi di
Norimberga”, “in difesa del sangue tedesco e del matrimonio
tedesco”
Segrè diventa professore a Palermo
Il fisico americano Jeffrey Dempster scopre l’uranio 235
1936 E.P. Wigner introduce il concetto di “sezione d’urto”
1937 Muore Corbino
Oppenheimer teorizza il bombardamento con deutoni
Segrè ottiene il tecnezio bombardando molibdeno con deutoni
Majorana diventa professore a Napoli
1938 (13.1) Majorana inizia le lezioni a Napoli
(12.3) Hitler annette l’Austria, e fa il suo ingresso trionfale
a Vienna (14.3)
(25.3) Majorana si imbarca per Palermo
(30.3) Carrelli denuncia la scomparsa di Majorana
(31.3) Iniziano le ricerche di Majorana
(30.5) Hitler, in un discorso all’esercito, manifesta il proposito
di invadere la Cecoslovacchia
(27.7) La madre di Majorana si rivolge a Mussolini
(luglio) Segrè emigra negli Stati Uniti
(29.9) Iniziano i lavori della Conferenza di Monaco
(17.11) Emanazione in Italia dei “Provvedimenti per la difesa
della razza italiana”
O. Hahn e F. Strassman confermano la fissione dell’uranio 235
(5.12) Majorana è dichiarato “dimissionario dall’impiego”
(dicembre) Fermi emigra negli Stati Uniti dopo il conferimento
del premio Nobel
[1] Ovviamente, questa stessa cornice potrebbe essere adattata, almeno dal punto di vista logico, a illustrare altre eventuali ragioni per una fuga volontaria, oltre a quelle che abbiamo dianzi esaminato, che comprendevano finora soltanto il ritiro in un convento o la fuga in un paese straniero, dove rifarsi una vita.
[2] Per esempio, sul reale ‘senso storico’ da dover attribuire a una dicotomia Destra/Sinistra, che fu (e viene ancora) proposta e favorita, in luogo della ‘concorrente’ Sopra/Sotto, nell’ambito delle più elevate indovinabili “strategie” di cui alla Nota N. 136. Fantastoria?! Al lettore che possa avere l’impressione che questo presente sia un libro di “storia impossibile” particolarmente eccentrico (se non addirittura ‘delirante’!), si consiglia di procurasi una copia di quello di Alfonso Bonacina, Minimo Magisterio – La verità e il passato (Inediti, N. 44, Ed. Andromeda, Bologna, 1991), e di leggerne in particolare la sezione intitolata “La falsa rivoluzione”. I reali rapporti tra i governi delle due superpotenze, protagoniste della “guerra fredda”, o almeno tra parti di essi, potrebbero essere l’oggetto di un intero libro a sé. Chi è interessato a questo genere di speculazioni può cercare di consultare l’opera complessiva, e semi-clandestina, di Antony C. Sutton (già professore di economia presso l’Università di Stato della California, e research Fellow presso la Hoover Institution dell’Università di Stanford), in particolare i suoi tre volumi Western Technology and Soviet Economic Development (1917-1930, 1930-1945, 1945-1965); ma non meno interessanti sono anche: Wall Street and the Bolshevik Revolution, Wall Street and the Rise of Hitler, Wall Street and Franklin D. Roosevelt, How ‘The Order’ Controls Education, How ‘The Order’ Creates War and Revolution, etc.. Una conferma di alcune di queste ipotesi proviene anche dai Diari del Maggiore Jordan, pubblicati per la prima volta nel 1952 (Harcourt & Brace C., New York), alcuni estratti dei quali sono apparsi in Nexus, NN. 10 e 11, 1997.
[3] DM, p. 94.
[4] Vedi a questo proposito anche la precedente Nota N. 117. L’originale di D’Agostino reca “mittente” in luogo di “destinatario”, ma si direbbe trattarsi di un evidente lapsus.
[5] DM, p. 111.
[6] Il ricatto della croce, Biblioteca del Vascello, Roma, 1995.
[7] Anche se molto più probabilmente alla radice di tale indubitabile manifesta ostinazione si celarono piuttosto delle ragioni politiche (la convinzione di una imminente crisi nei rapporti tra le potenze alleate occidentali e l’URSS), e caratteriali (l’incapacità psicologica della considerazione di una resa).
[8] LS, p. 40. Vedi pure la precedente Nota N. 65.
[9] Vedi anche Storia Illustrata, N. 139, giugno 1969, che presenta un numero speciale dedicato a “La storia della bomba atomica”.
[10] Questa considerazione riecheggia diverse altre che si sono qua e là già in precedenza incontrate, e, se fosse vera, starebbe allora a dimostrare che tanto Mussolini quanto Hitler non avevano ben compreso, o non condividevano, il senso della riflessione di Francesco Bacone citata nella Nota N. 79.
[11] Che è stata oggetto di un film di Anthony Mann, con Kirk Douglas, Richard Harris e Michael Redgrave, che ha avuto una notevole diffusione: Gli Eroi di Telemark, Inghilterra, 1965.
[12] Anche secondo il parere dello storico inglese Thomas Powers (La storia segreta dell’atomica tedesca, Ed. Mondadori, Milano, 1994) “la ricerca nazista sul nucleare fu ostacolata proprio dal più illustre scienziato tedesco, Werner Heisenberg” (citazione dal numero di Storia Illustrata di cui alla prossima Nota – il corsivo è del presente autore).
[13] Sul quotidiano francese Paris-presse l’intransigeant, il 19.11.55, e su Storia Illustrata, N. 7, luglio 1996, pp. 35-39. Per queste informazioni l’autore ringrazia il fisico romano Carlo Bresciani, della cui particolare ricostruzione di alcuni fatti di questa storia ci occuperemo tra breve.
[14] La “Roma”, comandata dall’ammiraglio Bergamini, stava facendo rotta verso la Sardegna, quando fu affondata dall’aeronautica tedesca, che voleva impedirne l’eventuale consegna alle forze anglo-americane dopo i fatti dell’8 settembre (anche se il comandante Bergamini non sembra avesse nessuna intenzione di questo genere, anzi, aveva già evidentemente rifiutato l’ordine di recarsi a Malta per consegnare la nave – forse, stava cercando di trovare asilo in un porto neutrale, in Spagna). Il noto politologo Giorgio Galli, durante una conversazione con il presente autore a proposito dell’ipotesi di Bresciani, ha osservato che avrebbe forse dovuto ancora riscontrarsi un tasso anomalo di radioattività intorno al posto dove fu affondata la nave italiana (presso le coste della Sardegna, alle bocche di Bonifacio). É curioso allora osservare come una tale anomala radioattività esista davvero nei detti luoghi, ma è oggi imputata alla presenza di una base di sottomarini atomici americani (che si trova presso l’isola de La Maddalena)!
[15] Da una pubblicazione massonica (Ed. Parva Favilla, Roma, 1971) che raccoglie il testo di una conferenza tenuta da Francesco Fausto Nitti in seduta a Logge riunite presso il Collegio Circoscrizionale del Lazio-Abruzzi e Molise sul tema “La Massoneria spagnola nella guerra civile e dopo”.
[16] La Massoneria universale – Dalle origini ai nostri giorni, Ed. Forni, Bologna, 1969, pp. 266 e 256.
[17] Aldo A. Mola, nella sua ponderosa Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni (Ed. Bompiani, Milano, 1992), ritiene ad esempio che “la Massoneria visse sempre molto al di sopra della sua vera forza: sia nell’opinione che essa (cioè i Fratelli) aveva di se medesima, quanto nell’intervento nelle cose di questo mondo; e sia nel giudizio che se ne fecero i contemporanei, favorevoli o avversi o semplicemente interessati alla ricostruzione della storia” (p. 1009 – corsivo nel testo). Ed ecco che comunque l’ultima tricotomia appare quanto mai opportuna, per coloro abituati viceversa a ragionare per dicotomie!
[18] Squadrismo tra squadra e compasso – Dalle barricate di Parma alla marcia su Roma, Ed. La Sfinge, Parma, 1991. A proposito della collocazione ideologica di certi autori e di certe opere, è abbastanza ovvio che studi di questo genere siano coltivati di preferenza da parte di coloro che hanno ideali avversi a quelli affermatisi in tutto il mondo occidentale dalla fine della guerra, ma ciò che dovrebbe contare per uno storico, o per chiunque interessato alla comprensione della verità, non è tanto stabilire la provenienza di certe informazioni, quanto piuttosto di verificarne il grado di fondatezza.
[19] Repubblica Sociale Italiana.
[20] Autore di diversi studi sul periodo del fascismo, è soprattutto noto per la sua monumentale biografia di Benito Mussolini, in quattro volumi suddivisi in sette grossi tomi, apparsi nell’arco di quasi venti anni per i tipi dell’Editore Einaudi. La testimonianza che ne riporta Veltri è la seguente: “Nel colpo di Stato sono entrate forze alle quali non ho potuto fare dei riferimenti perché mi manca la documentazione. Certo, io penso che ci sia da tener presente l’intervento della massoneria” (dal Corriere della Sera, 27.11.90, p.5). Veltri aggiunge una citazione secondo la quale: “Dei diciannove membri del Gran Consiglio, che votarono l’ordine del giorno suicida, ben tredici erano massoni” (Italicus, Il tradimento di Badoglio, Ed. Mondadori, Milano, 1944).
[21] Dallo stesso numero del Corriere della Sera indicato nella Nota precedente. Il nome del ‘banchiere’ Mattioli stabilisce un’inattesa connessione con la prima delle opere di Maurizio Blondet citata nella Nota N. 148 (alla quale ci siamo qualche volta richiamati), che a Mattioli, e al suo entourage, dedica molta attenzione.
[22] Il già citato Bellomo, parlando della lotta di Mussolini contro la Massoneria, afferma come questi avesse dimenticato che “il suo movimento […] aveva ricevuto da questa aiuti cospicui e concorso di uomini attivi e intelligenti nonché di mezzi finanziari” (p. 255), ma a questo proposito vedi soprattutto il notevole studio di Gianni Vannoni: Massoneria Fascismo e Chiesa Cattolica, Ed. Laterza, Bari, 1980.
[23] Secondo A.A. Mola, loc. cit. nella precedente Nota N. 294, pp. 1008-1009: “Il silenzio della storiografia contemporanea è tanto più innaturale perché lascia scoperta una tessera niente affatto secondaria della società italiana a un alto livello di contenuti, e soprattutto perché segue a un periodo, non remotissimo, durante il quale studi su cose massoniche purtuttavia fiorirono”. Remore ad affrontare questi studi, troppo spesso o apertamente “apologetici o vuotamente denigratori”, provengono dall’essere ingiustamente considerato l’argomento “esotico, meglio che esoterico, quasi una ‘stranezza’, una ‘mania’ […] argomento, insomma, da letteratura o da dilettanti d’erudizione quando non di commistione con irrazionalismo e, peggio, con elusive e morbide mode correnti, tra fumosi sofismi e rozzezza reazionaria”.
[24] Di questa attribuzione è però lecito dubitare, e l’autore deve ammettere che, per quante ricerche egli abbia condotto sull’argomento, non ha finora trovato sufficienti riscontri. É vero ad esempio che nella presentazione di un testo che proviene da ambienti decisamente ostili alla ‘modernità’ (Emmanuel Ratier, Misteri e Segreti del B’naï B’rith, Centro Librario Sodalitium, Verruà Savoia, 1995), si parla di un’affiliazione di Einstein a una società para-massonica, la “più antica, più diffusa e senza dubbio la più influente organizzazione ebraica internazionale”, fondata negli Stati Uniti nel 1843, della quale “L’élite internazionale delle varie comunità giudaiche, da Sigmund Freud ad Albert Einstein” sarebbe stata o è membro, ma anche in questo caso si tratta di un’affermazione che non appare supportata da ulteriori elementi di fatto (il che non è il caso invece per il fondatore della psicanalisi). La questione resta comunque aperta, e importante, nel quadro delle informazioni biografiche su colui che è da alcuni considerato, come abbiamo già avuto modo di notare, il maggior fisico di questo secolo, e forse di tutta la storia (di certo il più conosciuto a livello di immaginario collettivo popolare).
[25] Armando Corona (ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia), Parliamo di Massoneria, Ed. Bastogi, Foggia, 1993, p. 99. La notizia è confermata dalla rivista della Massoneria Hiram, Supplemento al N. 1 del febbraio 1981, p. XXVIII, nella quale si annota anche che Fermi fu “iniziato” nella “Loggia Lemmi” di Roma, nel 1923.
[26] Contenuta nella lettera a Mussolini citata nel Capitolo I.
[27] Parafrasando Cicerone, Michel de Montaigne riconosce che “tutta la saggezza, tutti i discorsi del mondo, si riconducono in definitiva a quest’unico punto, di insegnarci a non temere affatto la morte” (Essais, Livre Premier, Chapitre XX). Sul tema specifico del suicidio, e dell’attrattiva particolare che esso esercita su certe persone dotate di sensibilità artistica, vedi per esempio: A. Alvarez, Il Dio Selvaggio (Il suicidio come arte – Perché gli artisti, da Petronio a Pavese, sono attratti dalla morte al punto di preferirla alla vita?), Ed. Rizzoli, Milano, 1975.
[28] O anche la circostanza, comune del resto anche a Segrè, a quel che ci risulta, che non volle più fare ritorno in Italia, salvo in sporadiche occasioni ispirate da motivazioni di natura scientifica. Naturalmente, i gradi di consapevolezza e di coinvolgimento nelle vicende di quei lontani giorni possono essere molto ben differenziati, per tanti dei protagonisti della nostra storia, e lasciamo al lettore di valutare quali possano essere i più probabili…
[29] EA, p. 45. Amaldi si era rivolto a Fermi sollecitando l’intervento del suo ‘vecchio’ professore presso Rasetti affinché questi desse le “dimissioni dalla cattedra di Spettroscopia, che teneva ancora occupata a Roma”: “Non mi sembra giusto che lui seguiti a tenere occupato un posto di cui lui evidentemente ha un notevole disprezzo (sia pure giustificato) […]” (loc. cit.). Nello stesso luogo, poco dopo, si dice che notizie di Rasetti filtravano unicamente “via Segrè, Fermi, Gina Castelnuovo, ecc.”. Il nome dei Castelnuovo è un altro di quelli illustri in campo scientifico romano, coinvolto nelle persecuzioni razziali di cui abbiamo parlato. Al già nominato matematico Guido Castelnuovo (Venezia 1865, Roma 1952), professore di Geometria Analitica e Proiettiva a Roma, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei dal 1945 fino all’anno della morte, autore di uno dei primi trattati divulgativi sulla teoria della relatività in Italia (Spazio e tempo secondo le vedute di Einstein, 1922), è dedicato l’Istituto di Matematica (oggi ‘inglesizzato’ in Dipartimento di Matematica), dell’Università di Roma.
[30] EA, p. 46.
[31] Una quantità notevole (oltre 1000 tonnellate di minerale d’uranio!) fu fornita dal Presidente dell’Unione Mineraria dell’Alto Katanga, nel Congo Belga (R. Conversano e N. Pacilio, loc. cit. nella Nota N. 80, p. 50).
[32] Göttingen è la città tedesca che dà il nome alla famosa università, centro di una delle rivoluzioni più importanti di tutta la storia della scienza. Là furono elaborati i nuovi fondamenti della matematica, la formalizzazione della teoria della relatività, i principi e i metodi della nuova meccanica quantistica, etc.. Per qualche notizia in più, vedi: David Rowe, “Jewish Mathematics at Göttingen in the Era of Felix Klein”, Isis, 77, 1986, pp. 422-449; “Klein, Hilbert and the Göttingen Mathematical Tradition”, Osiris, 5, 1989, pp. 186-213 (cfr. anche la precedente Nota N. 251).
[33] Si tratta peraltro di persona strettamente legata a quel ‘gruppo romano’ di cui abbiamo fornito in precedenza qualche notizia. Del resto, anche il presente autore è stato in qualche senso ad esso abbastanza ‘contiguo’, come si è potuto forse notare da alcuni dei cenni biografici qua e là riportati.
[34] Samuel Eliot Morison, in The Oxford History of the American People, sostiene che “La storia è così, in molta parte un gioco del caso”. Ma, appunto, senza trascurare il ruolo del caso nelle umane vicende, compito dello storico dovrebbe essere proprio quello di accertare quanta parte di queste non sia viceversa frutto del caso, ma di intervento deliberato e programmato da parte dell’uomo. La precedente considerazione è inserita all’interno di una riflessione sulla scoperta dell’America, che qui di seguito riportiamo, proprio per farne vedere lo stridente contrasto con l’interpretazione alternativa dell’evento che segna l’inizio dell’Era Moderna, quale illustrata in America: una rotta templare (e proporre quindi l’ipotesi che sia proprio il ‘pregiudizio’ dianzi citato la ragione della ‘cecità’ di certi storici): “L’America fu scoperta per caso da un grande navigatore che cercava qualcos’altro; quando fu scoperta, nessuno seppe che farsene, e per i successivi cinquant’anni venne esplorata soprattutto nella speranza di trovare un modo di traversarla o aggirarla. Infine, ebbe nome da un uomo che non scoprì nessuna parte del Nuovo Mondo”.
[35] La questione è naturalmente una di quelle che hanno accompagnato il dibattito sui rapporti tra politica e morale (all’interno delle riflessioni metafisiche sull’uomo) sin dall’inizio dei tempi, a partire dalle considerazioni di Platone nel Libro III de La Repubblica (III, [b]): “se il falso è invece utile agli uomini come può esserlo un farmaco, è chiaro che l’uso di questo farmaco è riservato ai medici […] se c’è qualcuno che ha diritto di dire il falso, questi sono i governanti”, per finire a Machiavelli, e oltre. Potrà interessare il lettore sapere che, sotto il titolo Bisogna ingannare il popolo?, l’editore De Donato (Bari, 1968) ha pubblicato le due dissertazioni su questo argomento premiate dalla Reale Accademia Prussiana di Scienze e Lettere nel 1780, la quale aveva bandito un apposito ‘concorso’ sul tema (per coincidenza, i vincitori, che sostennero punti di vista opposti, erano due matematici, Frédéric de Castillon e Marie-Jean-Antoine N.C. de Condorcet).
[36] Bisogna considerare eticamente fondato il monito rivolto dal cardinale domenicano de Lai al grande storico tedesco Ludwig Pastor, quando a questi fu affidato l’incarico di comporre la sua monumentale Storia dei Papi: “Prima la carità e poi la verità, anche nella storia”? (dall’epigrafe al testo di Peter De Rosa, Vicars of Christ, Corgi Books, Londra, 1992).
[37] Una civiltà può definirsi in disfacimento morale quando le qualità di una persona sono valutate in funzione della quantità di denaro (o di potere) che riesce a controllare, indipendentemente dai modi, e dalle ragioni, con cui questa ‘capacità di controllo’ è stata acquisita.
[38] Per avere espresso con sincerità le proprie opinioni? Per avere offeso, con le sue congetture e ‘analisi logiche’ alla portata di qualsiasi intelletto, l’onorabilità e la reputazione di un’intera corporazione accademica, che si riconosce nell’autorevolezza di certi ‘capi spirituali’, di cui non gradisce vedere lesa l’immagine neanche a livello di semplici speculazioni logiche, prive di ogni concreta conseguenza? Nel dialogo di Platone ricordato nella precedente Nota N. 312, si afferma purtroppo non solo che il mentire è lecito esclusivamente ai governanti, ma anche che dire la verità non è in generale troppo ‘consigliabile’ “a privati qualunque”: “tra persone intelligenti e amiche è sicuro e senza pericolo parlare” (Libro V, II, [d]; i corsivi sono aggiunti dal presente autore.