Giornalismo online: show me the money!
Sul finanziamento….
di Rina Brundu. Paradossalmente, sarebbe proprio con la scomparsa dei giornali cartacei che un dato tipo di giornalismo digitale, quello serio, troverebbe modo di autofinanziarsi facilmente. In un simile scenario, infatti, il fruitore della notizia si troverebbe costretto a pagare un abbonamento digitale, pena l’affidare il diritto ad essere informato agli umori di questo o quell’altro sito pseudo-giornalistico che a sua volta ha scopiazzato di qua e di là.
In un simile contesto, numerosi sarebbero i fattori che concorrerebbero alla nascita e all’affermarsi dei giornali del futuro: un editore capace, un dato traino televisivo (perché no? almeno all’inizio), lo scoop eccezionale che potrà mettere sotto la lente di ingrandimento questo o quel luogo virtuale (vedi il caso wikileaks con le fantarivelazioni di Assange) e via così lavorando. Tutti elementi questi che, se ben shakerati, potrebbero davvero contribuire a creare una piattaforma operativa credibile e capace di attirare in maniera continuativa (nonché in modalità multipla) la panacea di tutti i mali, ovvero la pubblicità. E dunque gli imprescindibili finanziamenti necessari al fare-notizia del domani.
Detto così sembrerebbe che il futuro del giornalismo sia tra le grinfie di ogni calderone informativo digitale meglio capace di rendersi visibile, o di fare la voce più suadente quando si tratterà di attirare l’attenzione degli investitori. La mia idea invece è che anche la firma, e dunque la capacità giornalistica del singolo professionista, continuerà ad avere un ruolo di primo piano e dunque una grande differenza potrà farla il calderone digitale che saprà assicurarsi i servigi dei migliori scrittori e giornalisti online. Per la precisione, di quelli che per un motivo o per un altro saranno riusciti a farsi un nome e che un numero sufficientemente grande di lettori giudicherà fonti affidabili di informazione rispetto a questo o a quell’altro argomentare.
Del resto, non stiamo dicendo niente di nuovo. Non è un mistero, per esempio, che io consideri l’Huffington Post l’unico vero caso di giornale digitale che sia stato capace di imporre il suo brand, la sua autorità giornalistica e dunque che sia stato e sia capace di autofinanziarsi con quella. In altre parole, che sia stato in grado di realizzare sul piano del reale le condizioni operative discusse nel precedente paragrafo. Basterebbe, infatti, anche una svogliata analisi del modus-informativo di quel sito, per dettagliare le ragioni del suo successo e per riconoscere tra quelle gli spunti-esecutivi di cui abbiamo detto. In simil guisa, anche una frettolosa analisi dello status-quo al di qua dell’Atlantico, sarebbe sufficiente per scoprire che quel modello-americano-et-vincente, lungi dall’essere studiato e copiato sulle nostre sponde, non è neppure preso sul serio. Da qui – è questa una mia opinione – la cronica incapacità del giornalismo online europeo di farsi sentire come voce autorevole, soprattutto tra gli sponsors che potrebbero avere ogni interesse a sostenerlo.
Di fatto, nella vecchia Europa continuano a dettar legge i siti dei vecchi quotidiani cartacei, che si muovono seguendo le usate dinamiche, che filtrano con il contagocce i servizi da offrire a-gratis online e che continuano a pompare le maggiori risorse sul giornale cartaceo di cui si occupano. Buon per loro! Del resto, sarebbe difficile immaginare che possano muoversi altrimenti. Eppure, anche dopo le tante lezioni impartite (inutile dettagliarle qui se l’occhio non le vede) dal caso wikileaks (parlo a proposito di giornalismo online e non di pseudo-bombe-diplomatiche-de-noiartri), stupisce il fatto che, in un qualsiasi Paese europeo (Italia compresa, meglio specificarlo), non sia stato ancora presentato un progetto editoriale digitale in grado di fare una differenza.
Ovvero, che non sia stato ancora presentato un progetto editoriale digitale seriamente mirante alla creazione di un primo autorevole istantaneo online (credo che il termine quotidiano sarebbe riduttivo delle capacità informative che occorrerebbe mettere in campo!) capace di auto-finanziarsi in virtù delle sue reali potenzialità et possibilità! Il mitico detto show me the money va benissimo, infatti, ma dato il contesto bisogna convenirne che uno show me what you can do sarebbe altrettanto legittimo, o no?