Brevi riflessioni sulla tragedia Germanwings
Sui maggiori organi d’informazione e, soprattutto, nei social network, si è scatenato un vero pandemonio. Tralascio gli epiteti rifilati a Sallusti, del resto immaginabili. Mette invece conto rilevare che, nella stragrande maggioranza dei casi, i commentatori hanno ripetuto la frase “mi vergogno di essere italiano”.
Lungi da me l’intenzione di negare che vi fossero dei motivi per fare affermazioni di questo tipo, anche perché i titoli sotto accusa erano davvero dei pugni nello stomaco. Tuttavia la vicenda merita a mio avviso una breve riflessione e qualche commento.
Innanzitutto Lufthansa ha subito ammesso la propria colpevolezza (o quanto meno incuria). Tutti – incluso il sottoscritto – erano convinti che fosse la migliore compagnia aerea del mondo, quella più sicura e meglio gestita, secondo i tipici canoni del rigore teutonico. Ora abbiamo capito che non è così, e l’hanno compreso pure i tedeschi. Non solo. Gli stessi tedeschi, da quanto si legge in articoli pubblicati dai quotidiani locali, ammettono di non essere “perfetti”. Nessuno ne dubitava, ma una simile ammissione significa che, in fondo, almeno alcuni di loro erano convinti di esserlo.
Mi pongo allora un quesito semplice semplice. Cosa sarebbe accaduto, in circostanze analoghe, se fosse precipitato un aereo Alitalia, con un nostro connazionale nella cabina di pilotaggio? Temo che saremmo stati sommersi dalla solita ondata d’indignazione internazionale, con epicentro proprio i Paesi dell’Europa del Nord, Germania in testa. Ci avrebbero accusato di essere i soliti pasticcioni (o peggio), incuranti della sicurezza dei passeggeri, e pressappochisti.
Mi si potrebbe rispondere che gli atti di follia non sono prevedibili. Tuttavia dall’inchiesta sta emergendo un quadro inquietante, con Lufthansa che appare una compagnia più italiana (o greca, o spagnola) che tedesca seguendo i metri di giudizio diffusi nel grande pubblico.
Non voglio certo insistere troppo nell’accostamento tra un immane disastro aereo e le polemiche, tutto sommato trascurabili, poi divampate sulla stampa italiana. Tuttavia è un dato di fatto che l’Europa – o, meglio, l’Unione Europea – si sia fatta per molto tempo irretire dal mito di una presunta perfezione germanica, con Berlino ad autoproporsi quale esempio da imitare ad ogni costo, “no matter what”. E forse anche i titolacci sparati da Sallusti e altri a qualcosa sono serviti.
Se non altro a rammentare che le nazioni prive di difetti non esistono, e che talora superbia e protervia non pagano, soprattutto quando l’intento finale dovrebbe essere quello di costruire un edificio comune. Dalla storia i tedeschi hanno ricevuto molte lezioni. Sarebbe forse ora che si mettessero a studiarle con serietà, invece di invitare sempre gli altri a svolgere i compiti a casa.
Grazie e cari saluti anche a lei
Nessuno è perfetto e la perfezione non esiste. PUNTO
Il post mi pare equilibrato e pieno di buon senso. A volte si creano dei miti autorefernziali che si sostengono con l’auto-incensamento di se stessi.
Certo dalla Germania si possono trarre spunti interessanti ma da copiare tout court senza nessuna analisi mi pare insensato.