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Riflessioni sul destino dell’Essere

Da qualche tempo sono diventata presbite. No, non significa che sto seguendo qualche strano culto, ho solo bisogno degli occhiali per leggere da vicino. La faccenda, determinata dall’età che avanza, mi ha portato anche a riflettere su argomenti che in altri tempi non avrei esitato a definire “casalinghi”, destinati a spiriti poco acuti, come i temi dell’amore e dell’amicizia, e delle ridicole questioni attinenti.

Il fatto è che io ho un pessimo concetto di ciò che i comuni mortali considerano i sentimenti da preservare e coltivare: l’amicizia, l’amore. Li considero emblema di tutto il posticcio e di tutto l’artefatto che l’animo umano riesce a costruirsi intorno per giustificare le sua intrinseca mancanza di sostanza, la sua incapacità di imparare e di crescere virtuosamente (non in senso morale, ma in in senso filosofico-tecnico). La sua incapacità di migliorarsi.

Tra i due il più deleterio è senz’altro l’amicizia che non è propriamente un “sentimento”, quanto piuttosto uno “status-quo”, almeno idealmente. Praticamente è peggio, molto peggio. Non ho difficoltà a dire che io non ho amici, non ne ho mai avuti e non ne voglio. Al più ho delle conoscenze, e quando dico conoscenze le intendo sempre marcate in positivo, nel senso che si tratta di persone per cui ho il massimo rispetto: di tutte le altre infatti io non ho “coscienza” e come Pietro le rinnegherei non tre ma cento volte. Dato che non posso parlare per esperienza diretta, mi limito a listare qui di seguito i funesti effetti “dell’amicizia” che mi è accaduto di osservare: ho visto mariti e mogli preferire gli “amici” anziché preferirsi a vicenda, ho visto “amici” e “amiche” sparlare l’uno dell’altro/a come non farebbe il peggior nemico, ho visto “amici” tradirsi nel più vile dei modi. E qui non mi si venga a dire che la “vera amicizia è altra cosa”: abborro gli statements insulsi come questi! Non è vero, non è machiavellicamente vero: tutte le amicizie sono “interessate”, anche quando di questo non ce ne rendiamo conto. Per tagliare la testa al toro basti dire che lo stesso vincolo simbiotico che lega madre e figlio non è un vincolo dell’anima (può senz’altro esserlo in alcuni casi, ne parlerò poi), ma è un mero vincolo darwiniano, istintivo, che risponde solamente alle esigenze di sopravvivenza della specie. Per ovvie ragioni tutti gli altri “vincoli”, liaisons “fisiche” et-non tra esseri, vanno archiviate in sotto-categorie e non fanno testo.

Occhiali sul naso e guardando indietro alle cose della mia vita, sono anche felice di riportare di non avere mai avuto amori: ho avuto qualche “liking”, come tutti, ma MAI amori. Questo sentimento fortemente sopravvalutato è meno pernicioso (anche se nefasto lo è senz’altro, pensiamo per esempio a quante donne si sposano giovanissime rinunciando a vivere!), dell’amicizia ma senz’altro più egoistico. Di norma si ama per essere amati, dunque per cercare negli altri ciò che non siamo in grado di procurarci noi, per riempire un vuoto di qualsiasi tipo, anche solo per il gusto di dirci innamorati data la grande capacità della dopamina di farci sentire bene. L’innamoramento, infatti, non è altro che un modesto processo chimico con effetti deleteri anche peggiori di quelli che porta seco la mia presbiopia.

E qui non mi si dica che sto sbagliando, che la Storia, la grande Storia, quella con la S maiuscola, è piena di storie d’amore che hanno cambiato il mondo: cazzate! La Storia è anche piena di scoregge che hanno cambiato il mondo e soprattutto di ingiustizie, di atti ignobili, di tanto dolore!

Tutto qui, dunque? Relego le nostre interrelazioni a un patetico gioco per deficienti bisognosi di aiutarsi l’un l’altro? La tentazione di rispondere sì è forte, ma non sarebbe la risposta giusta. Di fatto, più che nell’amicizia e nell’amore io credo fortemente in quelle che, da Goethe in poi (non a caso, costui si considerava il “favorito dagli dei”), vengono chiamate le “affinità elettive” e soprattutto credo nel destino solitario dell’Essere. Detto altrimenti credo fermamente che ci siano Esseri-simili che durante i numerosi viaggi dell’anima tra le incarnate contrade di questa terra, si incontrano e si propongono di “costruire”, di “fare” qualcosa insieme. Quando vediamo due amici davvero tali, due innamorati davvero tali, una famiglia che si ama, due estranei che si apprezzano vediamo insomma gli effetti di un qualcosa che è gestito ad altro livello e di cui non ci è dato di sapere mentre viviamo. Ne deriva che tra gli esseri che sono nostri spiriti affini ci possono essere anche persone che epidermicamente riteniamo nostri nemici, esseri reietti e invisi: chissà, mi chiedo, se non siano proprio costoro, e proprio perché coscienti delle nostre vere esigenze, a fornirci i migliori insegnamenti per la nostra crescita personale e interiore? Non è un dubbio peregrino.

Ad un tempo io ho certezza che noi siamo soprattutto esseri “soli”, dal destino “solitario”: noi nasciamo soli, moriamo soli e da soli ci confrontiamo con ogni più vero momento della nostra esistenza. Personalmente non riesco a pensare ad un modus-di-esistere migliore, perché solo riuscendo ad aiutare noi stessi, a prenderci le nostre responsabilità sulle spalle, saremo  in grado di adoperarci per gli altri, per chiunque. Non si dovrebbe infatti usare la scusante dell’amiciza e/o dell’amore per mettere in primo piano le necessità di alcuni, ma si dovrebbe essere sempre disposti a fare del nostro meglio per tutti gli altri Esseri, belli o brutti che siano, ricchi o poveri, amati o profondamente odiati.

Rina Brundu