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Pragmatismo cinese e debolezza americana

di Michele Marsonet.

Il recente vertice virtuale tra Joe Biden e Xi Jinping, pur non producendo risultati eclatanti, ha tuttavia mostrato – una volta di più – quali sono le differenze tra un sistema politico chiuso e uno aperto. Intendo dire che sulla situazione politica Usa possediamo un sacco di informazioni (a volte sin troppe), il che ci consente di formulare giudizi basati su dati di fatto. Anche se a partire dagli stessi dati spesso si giunge a interpretazioni divergenti.
Nulla di simile nella Repubblica Popolare. Il Plenum del Partito comunista cinese si è chiuso con la prevista incoronazione di Xi Jinping come presidente a vita, e con la sua ascesa nell’Olimpo dei padri della patria senza che ci sia concesso sapere se, sotto l’unanimismo di facciata, si celano dissensi circa la linea del gruppo dirigente.
In realtà, pare che dal plenum sia emerso un chiaro invito a non esacerbare troppo la tensione con gli Stati Uniti. Questo spiegherebbe l’atteggiamento assai pragmatico adottato da Xi nell’incontro virtuale con il suo omologo (nonché vecchia conoscenza) americano. Si tratta però di congetture, giacché può darsi che sia stato lo stesso leader cinese a scegliere una simile strategia senza tenere conto degli input provenienti dal plenum.
Qual è il problema? Ovviamente il fatto che, nel caso cinese, dobbiamo affidarci a congetture e segnali vari. Non esistendo nel Paese del Dragone mass media e stampa autonomi dal Partito, e quindi indipendenti, nulla sappiamo di quello che è realmente accaduto nel Plenum, tranne il poco che il Partito lascia trapelare.
Non che quel poco sia da sottovalutare, tutt’altro. Sappiamo per esempio che Xi, nel corso dei lavori, ha sottolineato i “gravi errori” di Mao Zedong per quanto riguarda il “Grande balzo in avanti” e la “Rivoluzione culturale”, aggiungendo che tali errori causarono disastri tali da mettere in pericolo la stabilità del Partito stesso e dell’intera nazione. Critiche pesanti, quindi, le quali fanno capire è errato attribuire all’attuale presidente la volontà di ritornare al maoismo.
Importante anche rilevare che invece, per Deng Xiaoping, Xi ha avuto solo parole di elogio, e ciò fa capire che si considera erede del pragmatico Deng più che del rivoluzionario Mao. 

L’elogio si estende anche al massacro di piazza Tienanmen con il quale, a suo avviso, “Deng prese una chiara posizione, difendendo il potere e salvaguardando gli interessi del popolo”. Pare di capire, quindi, che l’attuale leader condivida in peno la svolta economica di Deng Xiaoping, che rifiutò sempre di abbinare riforme politiche a quelle economiche.
In sostanza Xi ha sempre in mente l’idea di un Partito comunista “eterno”, destinato a governare il Paese per sempre, nonché unico garante dell’unità e della stabilità nazionali. A lui, come ai precedenti leader, non importa che tale ruolo venga sancito dal voto popolare. Esso è il feticcio delle democrazie borghesi e liberali, mentre in Cina si sta realizzando il progetto di uno Stato socialista e prospero dal punto di vista economico. Ecco perché le richieste democratiche di Hong Kong sono state stroncate prima che la “voglia elettorale” si estendesse al resto del Paese.
Da notare che nel corso del colloquio virtuale Xi ha respinto al mittente tutte le richieste di Biden relative al rispetto dei diritti umani in Tibet, Xinjiang e nella stessa Hong Kong. Sostenendo – come sempre – che si tratta di affari interni della Cina nei quali gli stranieri non si devono intromettere. Il presidente americano ha poi fatto trapelare che gli Stati Uniti potrebbero boicottare i giochi olimpici che si terranno a Pechino nel 2022, ma questa non sembra una mossa destinata a impressionare i cinesi più di tanto.
Anche sulla questione più importante – quella di Taiwan – si è registrata una posizione di stallo. Biden ha ribadito la volontà Usa di difendere tutti gli alleati da aggressioni esterne ma, al contempo, ha confermato che gli Stati Uniti intendono attenersi alla politica incarnata dallo slogan “una sola Cina”. Nessuna speranza, per Taiwan, di ristabilire rapporti diplomatici formali con Washington, ma resta comunque la volontà di difendere l’isola anche con le armi, se necessario.
Come si diceva all’inizio, l’incontro virtuale ha sottolineato che i Paesi che adottano il modello della società aperta sono in difficoltà quando si trovano in una situazione di contrapposizione con nazioni rette da regimi autoritari. Questi ultimi non hanno bisogno di elezioni libere né le cercano, e questo fatto li rende più stabili rispetto ai loro avversari. E la carenza di mass media indipendenti consente loro di proiettare all’esterno un’immagine di forza forse maggiore di quella reale.