La concezione ermeneutica della Storia

di Michele Marsonet.
Gli empiristi logici sottolineano il ruolo delle generalizzazioni per spiegare i fenomeni che costituiscono l’oggetto di studio della Storia e delle scienze sociali in genere. Vi è tuttavia un altro approccio, oggi diffuso, che attribuisce invece importanza primaria agli aspetti specifici e particolari delle varie culture, sostenendo che il vero compito dell’indagine storica e sociale è la “interpretazione” delle pratiche sociali dotate di significato. Si manifesta allora un’antitesi radicale tra “spiegazione” da un lato e “comprensione” dall’altro. La spiegazione si basa sulla capacità di identificare le “cause” generali di un evento, mentre comprendere significa scoprire il “significato” di un evento (o di una pratica) all’interno di un particolare contesto sociale. Il compito delle scienze storico-sociali diventa pertanto quello di ricostruire il significato delle pratiche sociali.
L’approccio di cui stiamo parlando si chiama ermeneutico: esso tratta i fenomeni sociali come “testi” (si pensi per esempio a un testo letterario) che devono essere decodificati mediante la ricostruzione (basata sulla nostra immaginazione) della significanza dei vari elementi che fanno parte di un’azione o evento sociali. Non è difficile allora capire che per i sostenitori dell’approccio ermeneutico le scienze sociali e quelle naturali sono radicalmente diverse, giacché le prime dipendono inevitabilmente dal processo interpretativo – tipicamente umano – del comportamento significante e delle pratiche sociali che su tale comportamento sono fondate. In altri termini, la scienza naturale si occuperebbe di processi causali oggettivi, mentre quella storico-sociale riguarderebbe azioni e pratiche significanti.
Soltanto i processi causali possono essere spiegati e descritti oggettivamente; azioni e pratiche richiedono invece interpretazione e comprensione. Per riassumere: la spiegazione è l’obiettivo delle scienze naturali, e la comprensione è lo scopo di quelle sociali. Ne consegue, tra l’altro, l’impossibilità di applicare il modello nomologico-deduttivo (o “modello Popper-Hempel”) della spiegazione a storiografia, sociologia, scienza politica, antropologia, etc.
Un resoconto adeguato dell’azione umana dovrebbe pertanto rendere comprensibile ciò che gli individui-agenti fanno. Da un simile punto di vista, lo scopo delle scienze sociali non può ridursi alla predizione di eventi, siano essi considerati isolatamente o in quanto inclusi in modelli: una spiegazione soddisfacente deve dare un senso alle azioni degli individui. Questi sono i punti principali – tra loro correlati – comuni ad ogni programma di tipo ermeneutico:
1) Le azioni e le credenze individuali possono essere comprese soltanto mediante una procedura interpretativa, grazie alla quale lo scienziato sociale punta a scoprire il loro significato per l’agente (colui che compie l’azione o intrattiene la credenza).
2) Tra le varie culture si manifesta una radicale diversità circa il modo in cui la vita sociale viene concettualizzata, e tali differenze generano mondi sociali diversi.
3) Le pratiche sociali (promesse, regole lavorative, legami di parentela, etc.) sono costituite dai significati che i partecipanti attribuiscono ad esse.
4) Non esistono “fatti bruti” nella vita sociale, cioè fatti che non rimandino a specifici significati culturali.
Le conseguenze sono piuttosto chiare. Per ottenere un’analisi soddisfacente di un certo fenomeno sociale, risulta necessario interpretare i significati che gli individui di un gruppo attribuiscono alle loro azioni e relazioni. La Storia e le scienze sociali, pertanto, non possono evitare di essere ermeneutiche, e gli approcci che non adottano questo metodo, come quelli empiristici, sono semplicemente fuorvianti.
Si noti che, seguendo questa strada, uno storico o uno scienziato sociale (per esempio un antropologo) che si trovi ad analizzare una pratica di un certo gruppo non si chiede quali siano i processi che l’hanno generata, poiché il modello che egli ha in mente non prevede spiegazioni causali. Il modello non fornisce alcuna spiegazione della pratica stessa, ma una sua lettura “contestuale”, intesa a chiarirne il significato per i membri del gruppo sotto indagine. Dovrebbe a questo punto essere evidente che gli empiristi giudicano l’approccio ermeneutico del tutto inadeguato.
Per gli studiosi di credo ermeneutico gli esseri umani sono individui che attribuiscono alla dimensione simbolica della vita un ruolo essenziale, e agiscono in base alla loro capacità di interpretare la realtà circostante. La comprensione è a sua volta fondata su fattori quali: (a) una rappresentazione del mondo (sia naturale che sociale) nel quale si trovano a vivere; (b) un insieme di valori e di scopi che caratterizzano i loro bisogni; (c) un complesso di norme che fissano i limiti oltre i quali un’azione diventa trasgressiva; (d) una concezione dei loro poteri e delle loro capacità.
Diventa quindi necessario descrivere i valori, le visioni del mondo e le assunzioni di fondo riferendosi sempre, tuttavia, ad una particolare cultura o a un certo gruppo sociale. Fornire l’interpretazione di un’azione significa descrivere un contesto culturale e lo stato d’animo dell’agente (o degli agenti) in modo tale da rendere intelligibile a noi le sue (o le loro) azioni. Interpretare significa discernere il significato di una pratica sociale entro un sistema di simboli e rappresentazioni culturali.
Supponiamo ad esempio di vedere un uomo che cammina per strada. Ad un certo punto egli passa sotto una scala, alza lo sguardo rendendosi conto di ciò che ha fatto, e quindi tocca il primo oggetto metallico che gli capita sottomano. Un osservatore esterno potrebbe considerare inesplicabile un simile comportamento; si tratta chiaramente di una reazione ad elementi presenti nell’ambiente, ma le azioni dell’uomo appaiono a prima vista immotivate. Ecco allora che occorre trovarne il “significato”.
Lo scienziato sociale lavorerà in base ad alcune ipotesi interpretative: può trattarsi di un individuo poco istruito, il quale crede che certi eventi – passare sotto una scala, vedere un gatto nero, rompere uno specchio, etc. – portino sfortuna. Naturalmente l’esempio ci sembra banale perché l’uomo appartiene al nostro stesso gruppo e tutti sappiamo che molte persone sono superstiziose (non abbiamo bisogno in questo caso degli scienziati sociali). Si immagini tuttavia un antropologo che deve interpretare il comportamento dei membri di una tribù sconosciuta e la banalità scompare.
Nell’esempio abbiamo interpretato il comportamento dell’uomo; abbiamo cioè collegato le sue (presunte) credenze e la sua (presunta) comprensione di un evento in modo da rendere significanti le sue azioni successive. Esso esprime un’interpretazione a due livelli: in primo luogo l’interpretazione di significati sociali comuni nella cultura cui l’uomo appartiene (il significato del passare sotto una scala), e in secondo luogo l’interpretazione di una particolare azione da lui compiuta (afferrare un oggetto metallico).
Come prima si accennava, secondo gli ermeneuti esiste una forte somiglianza tra l’interpretazione di un’azione umana e quella di un testo letterario. In entrambi i casi colui che interpreta ha a che fare con un insieme di elementi significanti, e cerca di scoprire le connessioni di significato che sussistono tra essi (è proprio questo fatto a rendere l’interpretazione un processo ermeneutico anche a livello sociale). Quando la descrizione viene fornita, colui che interpreta dimostra che il comportamento dell’agente, malgrado l’apparenza contraria, non è “irrazionale”; piuttosto esso concorda con un sistema culturale e normativo più vasto, e da questo fatto si può comprendere che il sistema stesso è coerente. L’azione non va quindi identificata con il risultato che consegue: essa ha una connotazione intrinsecamente “simbolica”.
Come può lo scienziato sociale esaminare l’azione significante? O, per dirla in modo diverso, esiste un “metodo ermeneutico” che possa guidarlo nel processo interpretativo? Una formulazione molto importante dell’idea di “metodo per le scienze sociali” si trova in molti scritti di Max Weber, e in particolare nella sua nozione di “verstehen” (comprensione). E’ netta, in Weber, la distinzione tra scienze sociali e scienze naturali.
A suo avviso le discipline storico-sociali si occupano di fenomeni psicologici e mentali, la cui comprensione costituisce un problema specifico e assai diverso da quella delle questioni che sorgono nelle scienze della natura. Le scienze della cultura – egli scrive – sono le discipline che analizzano i fenomeni della vita in base al loro significato culturale. La significanza di una configurazione di fenomeni culturali non può essere derivata e resa intelligibile da un sistema di leggi analitiche, in quanto lo stesso concetto di “cultura” è inestricabilmente legato ai valori.