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Spengler e il ruolo del destino nella Storia

di Michele Marsonet.

L’intento dimostrativo di Spengler è rivolto in una duplice direzione: da una parte a individuare lo sviluppo tipico di ogni civiltà nella sua parabola prima ascendente e poi discendente, fino all’esaurirsi del proprio complesso di possibilità, e cioè fino alla morte. Dall’altra a porre in luce la fisionomia peculiare di simbolismo e di linguaggio che si manifesta in ogni aspetto della sua esistenza. Spengler cerca così di seguire il sorgere della civiltà dallo stato di pre-civiltà propria della vita contadina, legata indissolubilmente alla razza e al sangue, attraverso la fondazione di città e l’accentramento nelle città stesse di tutte le manifestazioni culturali, politiche ed economiche più importanti, attraverso la costituzione dei popoli in nazioni dotate di un proprio ambito geografico e di una coscienza comune. E poi attraverso l’organizzazione statale che viene ad assumere un posto preminente e centrale.
In seguito, dall’esame dell’ordinato succedersi delle vicende politiche ed economiche, pone in luce il suo trasformarsi in una “civiltà-in-declino” – da cui inizia il ritorno entro l’ambito puramente biologico e zoologico dell’umanità primitiva. E nello stesso tempo cerca di porre in rilievo il carattere peculiare delle manifestazioni di una stessa civiltà – dalla concezione della vita, del mondo, dell’anima, alla scienza naturale, alla matematica, alla psicologia, dall’arte alla letteratura, dalla religione alla morale, dalla politica all’economia.
A base di queste due direzioni di analisi, tra loro complementari, sta il presupposto di una “logica organica” che regge la vita della civiltà.
La logica della natura, in quanto logica meccanica, ha il suo principio nella legalità “causale”: ma questa logica non vale per il mondo della storia, che è il mondo del tempo e non dello spazio, della direzione e non dell’estensione. La logica della storia, in quanto logica organica, ha invece il suo principio nella necessità del “destino”, che la vita avverte mediante l’immediata coscienza della propria irreversibilità: “l’idea del destino richiede un’esperienza della vita, non l’esperienza scientifica, la forza dell’intuire e non il calcolo, la profondità e non lo spirito”. Il destino rappresenta l’antitesi della causalità, in quanto indica la “necessità” della storia. Esso presiede al divenire dei fenomeni nella loro singolarità irripetibile, come la causalità governa invece la connessione dei fenomeni ripetibili nell’ambito spaziale, e li connette tra di loro in uno sviluppo temporale.
La necessità organica si rivela pertanto sottoposta al destino ed anzi sostanzialmente identica con esso, in quanto il divenire biologico in ogni suo aspetto e in ogni suo momento è quale il destino lo fa essere, e non altrimenti. La stessa appartenenza a un tipo, con i caratteri che questo comporta e la durata di vita che possiede, risulta sottoposta alla necessità del destino, il quale fissa il complesso di possibilità che l’organismo ha di fronte, e pertanto anche il termine della sua esistenza. Così avviene in particolare per la vita delle civiltà, che costituiscono appunto un tipo di organismo.
La storia universale cade quindi sotto il dominio del destino. La necessità organica che è alla base dello sviluppo di ogni civiltà, e che si fa valere attraverso una serie di fasi sempre corrispondenti tra loro, con le quali la civiltà prima sorge e cresce dando vita al proprio simbolismo e poi si avvia verso la decadenza e la morte, è la necessità del destino. Alla radice del relativismo storicistico di Spengler si ritrova pertanto un determinismo biologico-fatalistico. Biologico dal momento che la civiltà è un organismo che ha fin dall’inizio segnato il proprio cammino, fatalistico poiché tale cammino è espressione del destino che governa la realtà intera.
Tra i due termini vi è una stretta connessione, poiché il divenire biologico è governato dal destino, e il potere del destino si manifesta soltanto attraverso l’opera creativa del divenire biologico. La categoria di “necessità” domina da un capo all’altro il pensiero spengleriano; ed è proprio una necessità intesa in senso biologico-fatalistico, poiché è la necessità di uno sviluppo organico governato dal destino. Dal dominio di questa categoria, e dalla forma di determinismo a cui essa dà origine, deriva l’affermazione dell’assoluta autonomia di ogni civiltà, che porta Spengler a negare la possibilità di un’autentica relazione e comunicazione tra individui di civiltà differenti.
Da esso deriva pure la risposta che Spengler offre al problema della crisi della civiltà occidentale e del suo avvenire, da cui il suo pensiero è partito, risposta che poggia sulla possibilità di una pre-determinazione della storia in base allo sviluppo che ogni civiltà non può non percorrere per i caratteri essenziali del tipo di cui fa parte. Il futuro dell’occidente può venir previsto in maniera esatta proprio perché la civiltà occidentale seguirà un cammino conforme a quello di tutte le altre e imposto dalla necessità organica del destino.
“Il tramonto dell’occidente, così considerato, designa nientemeno che il problema della ‘civiltà-in-declino’. Si pone qui una delle questioni fondamentali di ogni storia superiore. Che cosa è la ‘civiltà-in-declino’, intesa come conseguenza logico-organica, come compimento e conclusione di una civiltà?”. Perciò, quando si è stabilito che inevitabilmente ogni civiltà termina in una “civiltà in declino” (zivilisation), e che questa significa l’esaurirsi del suo complesso di possibilità, succedendo alla fase creativa come il divenuto segue al divenire, e la morte alla vita, il destino dell’occidente è con ciò stesso determinato in maniera precisa, esauriente, definitiva. L’occidente è ormai entrato nella fase della “civiltà-in-declino”, e pertanto è prossimo al suo tramonto: esso sta per terminare la sua vita e per ritornare nell’ambito dell’umanità primitiva, sotto il potere della razza e del sangue.
La lunga analisi che Spengler conduce dell’odierna crisi della civiltà occidentale, cercando di mostrare come le sue manifestazioni siano in ogni campo quelle proprie di una “civiltà-in-declino”, si ispira appunto al presupposto del determinismo biologico-fatalistico. In ogni campo della vita culturale e della vita politico-economica egli vede il presagio della prossima caduta e della morte imminente: la morale e la scienza, l’organizzazione statale e i rapporti tra le classi, ogni cosa reca il segno della “civiltà-in-declino”. L’attuale prevalere dell’economia sulla politica deve lasciare il posto a una riscossa della politica, mentre l’odierno regime democratico deve venir sostituito dal cesarismo, cioè da un regime che, nonostante l’esteriore formulazione giuridica, è però privo di autentica forma e segna il ritorno allo stato primitivo dell’umanità.
A questa sorte la civiltà occidentale non può “in alcun modo” sfuggire, perché è segnata dalla stessa necessità biologica del tipo di organismo cui essa appartiene: nessun sforzo può impedirla, perché nessuno sforzo umano può andare contro il potere del destino che si esprime nella struttura biologica della realtà. “Nessuna civiltà è libera di scegliere la vita e la posizione del suo pensiero; qui, però, per la prima volta una civiltà può prevedere quale via il destino ha scelto per essa”. Su questa inevitabilità del destino, che costituisce forse il tema prediletto di tutta la sua opera, Spengler ha insistito in una serie di pagine di grande efficacia letteraria e di grande suggestione oratoria. L’affermazione del destino è andata incontro a una profonda esigenza spirituale di un popolo sconfitto (quello tedesco) e anelante alla riscossa contro la democrazia latina e anglosassone, e ha agito come un “mito” di grande potere attrattivo. Questo successo di Spengler non deve però impedire una valutazione critica del suo pensiero, volta a porre in luce il posto preminente che ancora vi occupa la mentalità romantica, pur nell’incontro con la problematica storicistica.
In base al presupposto del determinismo biologico-fatalistico, Spengler può affermare – riprendendo una celebre formulazione di Hegel – che “la storia universale è il tribunale del mondo”. Tutto ciò che avviene nella storia è governato dalla rigorosa necessità del destino, e trova in tal modo la sua piena, totale e immediata giustificazione.

La necessità di Spengler non è però una necessità razionale come quella di Hegel, non è la necessità di uno spirito assoluto che si esplica in una serie di momenti dialetticamente concatenati e progressivamente disposti, ma è una necessità biologica e fatalistica, e come tale designa la necessità della vita nella sua primigenia potenza estranea alla luce della razionalità.
L’esito della sua dottrina è tuttavia, in fondo, il medesimo della teoria hegeliana della storia, in quanto conduce alla “giustificazione integrale” del divenire passato, presente e futuro. La nascita, lo sviluppo e la morte di ogni civiltà trovano parimenti la loro ragion d’essere nel determinismo biologico in cui si esplica il destino: all’uomo come individuo singolo non resta che accettare ciò che il destino esige, poiché ogni suo tentativo di opposizione è condannato fin dall’inizio al fallimento. “Noi non abbiamo la libertà di raggiungere questo o quello, ma la libertà di fare ciò che è necessario o nulla. E un compito che la necessità della storia ha posto, verrà assolto con il singolo o contro di lui”. L’unica libertà che l’uomo possiede non è una libertà di scelta tra possibilità differenti, ma soltanto la libertà di accettare il destino o di rifiutarlo vanamente in un tentativo di rivolta del tutto infecondo. Come il complesso di possibilità, che ogni civiltà possiede in proprio distinguendosi dalle altre, è ridotto alla necessità in quanto viene concepito come un complesso delimitato ineluttabilmente dal destino secondo la struttura biologica del tipo di organismo, così anche la libertà dell’uomo è interpretata alla luce della necessità. Essa diventa l’alternativa tra l’accettazione di ciò che è necessario e il suo vano rifiuto: l’operare umano non incide sullo sviluppo storico delle civiltà, in quanto questo sviluppo è appunto determinato biologicamente dal destino e si realizza secondo la sua logica organica, secondo la sua necessità.
Dal momento che la vita di un individuo, al di sopra del piano dell’umanità primitiva, si compie tutta entro l’ambito di una certa civiltà esaurendosi in essa, ed egli non ha altra esistenza e altra relazione se non in quanto membro di questo organismo biologico, l’operare umano risulta per Spengler subordinato allo sviluppo della civiltà nella successione ineluttabile di fasi che essa implica. La civiltà costituisce una totalità a sé stante mentre l’individuo è esclusivamente un suo elemento, che da essa deriva il suo posto e ha determinata la sua azione. Ma l’individuo possiede ancora la libertà di riconoscere il proprio destino oppure di resistere ad esso, per quanto vanamente: egli può porsi nella direzione del divenire storico, oppure rifiutarsi di accettarlo e condannare al fallimento la propria opera.
Questo riconoscimento di una dimensione di libertà dell’operare umano, per quanto sia chiusa sempre entro il quadro della necessità biologica dominata dal destino che rende feconda soltanto la prima possibilità dell’alternativa, non riesce tuttavia a conciliarsi con lo sforzo spengleriano di piena subordinazione dell’individuo alla civiltà come totalità che lo comprende, e che trascende il suo operare. Esso resta inserito entro l’ambito del determinismo biologico-fatalistico di Spengler, ma ne rompe la coerenza e vi introduce un elemento estraneo che invano egli cerca di celare o di ridurre al minimo.
L’uomo, per quanto faccia parte di una certa civiltà e abbia la propria situazione determinata in un certo momento del suo sviluppo, può tuttavia opporsi al destino e rifiutare così di riconoscere tale situazione, di modo che la necessità del divenire storico non lo assoggetta a sé fino al punto che egli non possa almeno tentare di opporsi ad essa. Il dovere dell’individuo è quindi di accettare il dominio del destino senza tentare una vana e, in quanto vana, colpevole, resistenza ad esso. In ogni civiltà, in ogni fase dello sviluppo di questa, prescindendo dalla peculiare forma di moralità che in essa vige, l’uomo deve porsi nella direttrice storica segnata dal destino.
Se il riconoscimento di una dimensione di libertà introduce nel determinismo biologico-fatalistico di Spengler un’aporia, che egli non ha mai posto chiaramente in luce, tuttavia esso non basta a rompere l’ambito della mentalità romantica in cui il suo pensiero si muove. Ciò risulta evidente se si prende in esame il rapporto tra Dilthey e Spengler, ponendo in luce come la dottrina spengleriana costituisca lo sviluppo unilaterale di una delle due opposte tendenze che sono in conflitto entro la filosofia diltheyana. Da un lato la tendenza a interpretare l’uomo sul piano dell’immediatezza dell’esperienza vissuta e in base al rapporto necessario con la situazione storica in cui egli si trova. Dall’altro la tendenza ad affermare l’insufficienza dell’esperienza vissuta e a integrarla nel suo nesso con l’espressione e con l’intendere, garantendo alla vita umana la libertà di assumere un autonomo atteggiamento di fronte alla propria situazione.
La dottrina spengleriana si muove nella direzione opposta a quella presa dal pensiero di Dilthey nel suo sforzo di giungere a una comprensione dell’uomo e del mondo umano nell’orizzonte storico che gli è costitutivo. Affermando la trascendenza del divenire storico sull’operare umano, essa giunge proprio a quell’inclusione relativistica dell’uomo nella storia che Dilthey aveva cercato di lasciare da parte, e approda a un relativismo storicistico alla cui base è la categoria fondamentale del pensiero romantico – la categoria di “necessità” – anche se qui interpretata in senso biologico e fatalistico.
Non soltanto il complesso di possibilità, che ogni civiltà possiede al suo inizio e che deve realizzare nel suo sviluppo, è ridotto alla necessità biologica in quanto è da un lato determinato fin dall’inizio e dall’altro trova la sua attuazione già stabilita in una certa fase di tale sviluppo. Non soltanto la libertà che viene riconosciuta all’operare umano è ridotta entro il quadro della necessità dal momento che non può mutare il corso organico della storia a cui presiede il destino; ma anche il divenire è concepito come una realtà assoluta che dà origine all’intero svolgimento storico ponendo il suo stesso contrario, il divenuto, e creando le manifestazioni storiche di ogni civiltà. Alla base del relativismo storicistico di Spengler, che afferma l’autonomia piena e totale di ogni civiltà in quanto organismo a sé stante e nega la possibilità di un’autentica relazione e di effettiva comunicazione con altre civiltà, sta un presupposto di origine romantica.
La morfologia della storia universale, contenuta ne “Il tramonto dell’occidente”, si rivela pertanto una “filosofia della storia” a carattere metafisico, conforme alla mentalità romantica indicata chiaramente dal richiamo a Goethe e a Nietzsche, e della filosofia della storia mostra le linee essenziali. Essa si presenta infatti come un tentativo di interpretazione sistematica della storia universale, volto a illustrarne il significato indipendentemente dalla considerazione specifica dei vari avvenimenti e dei vari periodi che la costituiscono. E della filosofia della storia condivide la prospettiva “escatologica”, poiché il tramonto dell’occidente è atteso come l’unica e inevitabile conclusione della storia della civiltà occidentale, a cui il destino conduce mediante la necessità biologica del divenire.
La sola differenza che separa la morfologia della storia universale di Spengler dalla tradizionale filosofia della storia, pur entro l’identità di impostazione che si è vista, sta nella negazione del carattere unitario, continuo e progressivo della storia che essa deriva dalla dottrina dell’eterno ritorno di Nietzsche. La storia non costituisce più uno svolgimento unitario, continuo e progressivo, in cui l’umanità realizza un piano provvidenziale divino o in cui lo spirito assoluto si esplica razionalmente, ma si divide in una serie di organismi a sé stanti che si sviluppano secondo una comune successione di fasi, a cui presiede la necessità organica dominata dal destino.
La storia si configura così come un insieme di civiltà distinte e separate, ognuna delle quali presenta caratteri propri e singolari, seguendo un suo sviluppo autonomo. All’unità della storia, su cui poggiavano la visione teologica cristiana e la visione romantica, si sostituisce in Spengler la molteplicità delle civiltà e la loro assoluta indipendenza.