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La concezione ebraico-cristiana della storia

di Michele Marsonet.

 In confronto alla concezione cosmologica dei pagani, la Bibbia offre una visione accentuatamente “storica” del destino umano. Occorre ovviamente distinguere l’Antico Testamento dal Vangelo, ma già nei testi della Rivelazione ebraica si parla di esperienze storiche degli Israeliti. Si pensi al “credo storico” del pio Israelita, quale si esprimeva nel culto delle primizie: “Mio padre era un Arameo errante, discese in Egitto, vi abitò come forestiero con poca gente e vi divenne una nazione grande, forte e numerosa” (Dt, 26). E si potrebbero richiamare altri passi, come ad esempio “Deuteronomio” 4, 20 ss., con rinvio all’esperienza fondamentale dell’Esodo e dell’Alleanza del Sinai, ma altresì col ricordo di Giobbe, 12, 13-25, dove, rielaborando motivi dei salmi di lode, si parla di “Dio Signore della storia”.
Per essere più dettagliati, una prima interpretazione generale della storia del mondo fondata su relazioni etiche degli uomini rispetto a Dio, la si ha in Amos, verso il 760 a.C., dove si parla di prevaricazione dei progenitori e di scelta di un popolo da parte di Dio per realizzare la salvezza messianica. Gli altri profeti, Isaia, Osea, Gioele e Geremia accentuano la dimensione “escatologica” di tale salvezza. In genere lo schema storico offerto dai testi biblici e a cui si richiameranno i Padri della Chiesa resta sempre scandito da questi elementi basilari: creazione, peccato, redenzione, provvidenza divina.
Sono queste idee che offrono una prospettiva nuova rispetto alla ciclicità storica dei pagani. Il tempo diventa “lineare” e carico di responsabilità per l’uomo, attore della storia benché guidato dalla divinità. Il fulcro della causalità storica subisce uno spostamento radicale dalla natura a Dio. La dottrina platonica degli archetipi eterni cede il passo alla “creazione dal nulla”, l’uomo è chiamato a collaborare con Dio al suo destino di salvezza in Cristo. La storia si presenta come mistero di salvezza. Viverla religiosamente significa rispettare le iniziative trascendenti della grazia divina, e mettere doverosamente a frutto di bene personale e sociale le proprie capacità intellettive e operative.

Il tempo presente va vissuto come offerta di grazia e con senso di responsabilità in un intenso esercizio di amore verso il prossimo, nella consapevolezza che la storia è un processo lineare e progressivo dalla creazione al peccato di Adamo e all’incarnazione di Cristo: l’Antico Testamento prepara la venuta del Redentore. La pienezza del tempo (pleroma tou kronou) è costituita per San Paolo dall’incarnazione del Figlio di Dio. La Chiesa da lui fondata ne prosegue sacramentalmente l’opera redentrice nei “novissima tempora”, realizzando progressivamente il Regno di Dio in terra.
Sant’Agostino poteva affermare che col cristianesimo “sono rotti i cerchi” della fatalità. La visione del tempo, col cristianesimo, è pervasa di urgenza “missionaria” per l’uomo redento. Ilario, Tertulliano e Gregorio di Nissa asseriscono che bisogna avere della storia una “interior intelligentia”, dal momento che i fatti verificabili, slegati da un contesto di significanza per la vita di ciascun individuo, non dicono alcunché.
Nella luce del cristianesimo la storia si connota come “universale”, provvidenzialistica, apocalittica, periodizzata, nel senso che trascende le angustie etniche e nazionalistiche dei vari popoli, e addita l’origine comune del genere umano e dell’universo in Dio.
Ritiene preordinati dalla divina volontà gli eventi storici, nel misterioso rispetto della libertà umana, per cui la storia, nel suo complesso, resta un mistero imperscrutabile del Creatore, salvo leggere i segni dei tempi in maniera profetico-sacramentale e apocalittica secondo le indicazioni del Nuovo Testamento. Scandisce, infine, le epoche più significative della storia universale e della dialettica tra bene e male nella vicenda missionaria della Chiesa.