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Solange: echi shakespeariani

di Rina Brundu.

Alcuni giorni fa è morto un artista che si chiamava Solange. Penso che, tra le altre cose, si occupasse di avanspettacolo televisivo. Non so con precisione quale fosse il suo talento, ma ne ho visto una foto sui giornali e in qualche modo quello sguardo profondo mi ha colpito. Mi ha colpito anche il fatto che sarebbe morto da solo in circostanze non completamente chiarite.

Durante l’età elisabettiana (XVI-XVII secolo), i “commedianti” ebbero un ruolo molto importante nel successivo sviluppo dell’arte teatrale, finanche di quella immensa come l’arte shakespeariana. Non avevano vita facile però, non a caso compaiono spesso nei plays del bardo di Stratford Upon Avon nelle vesti di “fools”. In altre composizioni epocali come il King Lear, Shakespeare regala loro un ruolo più importante, un ruolo retorico che li trasformò in strumenti per misurare la saggezza dell’universo: in un mondo capovolto il “fool” può diventare re e visto come vanno le cose nel quotidiano, viste le sue infinite brutture, non è detto che questa non sia la miglior soluzione.

La verità recita tuttavia che il ruolo dei “commedianti” non è mai cambiato, neppure nell’età digitale. Men che meno è cambiata la loro vita che, malgrado le luci della ribalta e le paillettes, è generalmente molto difficile. Forse è persino peggiorata con la dimensione social che produce stilettate a milioni, ogni secondo che passa, e più sei noto più copioso è il sale che cade sulle ferite. Specialmente quelle dell’anima.

Lo sguardo triste di Solange mi ha riportato alla mente i tanti suoi colleghi che, come richiede la loro arte, in questa età pandemica non possono incontrare il pubblico, dunque non possono lavorare. Sono tanti, credo. Tra essi saranno in tanti anche coloro che quando questo terribile periodo sarà finito, si scopriranno troppo vecchi, magari malati, peggio ancora superati o dimenticati in un mondo che correrà ancora più veloce di quanto non abbia fatto fino a questo momento.

Tanti altri moriranno in solitudine. O di solitudine. Proprio come Solange.

Dato che in questo periodo mi sto occupando di uno studio che riguarda queste tematiche, ovvero il senso dell’esistenza incarnata visto da una prospettiva… diversa, qualora qualcuno di questi artisti passasse di qui vorrei dirgli/dirle di non preoccuparsi troppo. Il valore di una vita per ovvie ragioni non può essere misurato mentre tale esistenza incarnata si estrinseca… sarebbe come chiedere a un pesce rosso di spiegare i disegni del Creatore. Il valore di una vita si può comprendere solo quando quella è finita.

Ci sono spiriti che arrivano in questo mondo con il solo scopo di intrattenerci, di rendere lo scorrere dei nostri giorni meno tedioso. Non è un compito facile, soprattutto in epoche utilitaristiche e di transizione come questa. In epoche in cui il gusto estetico cambia velocemente e ciò che era “arte” ieri diventa scarpone di seconda scelta oggi.

Resta il fatto che a queste “energie” occorre comunque rendere grazie; siamo infatti in presenza di piccoli giganti sulle cui spalle si appoggiano in tanti, ci appoggiamo tutti: l’unica conditio imprescindibile per vedere più lontano.

Anche per questo, buon viaggio Solange!

PS: E visto che ci siamo con Solange ricordiamo anche questo fotografo della cui morte il Corriere dà notizia proprio oggi…. Vi è ogni ragione di credere che costoro siano solo la punta dell’iceberg di un problema molto più grande, di una tragedia sotterranea che vive di solitudine, certo, ma il più delle volte anche di disperazione dell’anima procurata dall’indifferenza. Di tutti. Di tutti noi!