Non si ferma la rivolta in Thailandia

di Michele Marsonet.
Dopo settimane continue di manifestazioni popolari, che hanno visto protagonisti in primo luogo gli studenti, il governo thailandese ha infine revocato lo stato di emergenza “forte” che vietava gli assembramenti di natura politica con la partecipazione di più di quattro persone.
Infatti, nonostante le cariche ripetute della polizia e la discesa in campo di numerosi sostenitori della monarchia, le dimostrazioni sono proseguite senza sosta, causando un blocco quasi totale delle attività a Bangkok e nelle altre principali città della nazione.
Moti di questo tipo sono piuttosto frequenti nel cosiddetto “Paese dei sorrisi”, causando sempre vittime e devastazioni in un luogo che, all’estero, è conosciuto soprattutto per le sue bellezze naturali e architettoniche. Non a caso, la Thailandia attrae ogni anno milioni di turisti stranieri (con gli italiani ai primi posti).
La novità della rivolta di quest’anno è costituita dalla sua netta impronta anti-monarchica. Per comprenderne il motivo occorre rammentare che, nel 2016, è salito al trono il 68enne Maha Vajiralongkorn con il nome di Rama X. Il padre, Bhumibol Adulyadej, si è spento 90enne dopo un periodo di regno durato ben 70 anni.
Il problema è che il precedente sovrano era una figura molto rispettata e quasi ieratica. Il figlio, invece, è un impenitente playboy con un numero imprecisato di mogli e concubine. Vive per lo più in Europa e ha inoltre la tendenza a sperperare il denaro pubblico, possedendo una flotta personale di aerei e auto di lusso.
Ha quindi cominciato a scricchiolare l’alleanza tradizionale tra monarchia, esercito e clero buddhista che da sempre mantiene il potere nel Paese. Mentre le precedenti proteste di piazza non avevano toccato l’istituzione monarchica, contestando piuttosto la diffusa corruzione e la scarsa democrazia, questa volta nel mirino è finito il nuovo re, che preferisce frequentare il “jet set” internazionale e poco si cura di dialogare con il popolo.
Non ha per esempio mantenuto la promessa, formulata al suo insediamento, di promuovere riforme strutturali e di combattere la corruzione, continuando invece la vita da playboy che ha sempre condotto sin dalla gioventù. Questo atteggiamento ha diminuito il prestigio della monarchia non solo tra i giovani, ma anche in settori della popolazione tradizionalmente monarchici.
Le università sono quindi in rivolta e gli studenti chiedono un cambiamento radicale. Nessuno, finora, ha chiesto l’abolizione della monarchia e il passaggio a un ordinamento repubblicano ma, se la situazione non migliora, non è escluso che tale richiesta venga avanzata.
Ciò potrebbe anche condurre alla guerra civile. Una parte consistente della popolazione vede infatti nella monarchia un’istituzione divina, supportata in questo dai maggiorenti del clero buddhista. Fondamentale diventa a questo punto il ruolo delle forze armate, la cui fedeltà alla monarchia è sempre stata garantita.
Potrebbe però verificarsi, analogamente a quanto è avvenuto in altri Paesi asiatici, una spaccatura tra gli ufficiali di grado più elevato e la truppa, ovviamente più sensibile alle richieste popolari.
Il fatto che il primo ministro, il generale Prayut Chan-ocha – tra l’altro promotore dell’ultimo golpe militare del 2014 – abbia decretato in modo così repentino la fine dello stato di emergenza, indica che la situazione dell’ordine pubblico è piuttosto compromessa. I manifestanti pro-democrazia potrebbero pertanto ottenere concessioni maggiori del previsto.
Il fatto è che il “Paese dei sorrisi” non si riduce a bellezza e turismo. Occupa una posizione strategica nell’area del Sud-Est asiatico e, pur avendo forti vincoli di alleanza con gli Stati Uniti, le sue sorti interessano potenti vicini quali la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Indiana. Senza scordare che anche in Thailandia la pandemia dovuta al coronavirus ha causato problemi economici e sociali enormi.