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Cosa diventerà l’America “politically correct”?

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di Michele Marsonet.

Mentre l’ondata di vandalismi contro statue e monumenti negli Stati Uniti non accenna a placarsi e, anzi, diventa sempre più violenta e pervasiva, è lecito chiedersi cosa diventerà l’America dopo questo lungo momento di follia. L’unico che reagisce con veemenza è Donald Trump, che minaccia sanzioni severe e detenzione, seguito da pochi parlamentari repubblicani.
I democratici, e soprattutto il loro debole candidato presidenziale Joe Biden, abbozzano e vi sono segnali che vogliano cavalcare la tigre a fini elettorali. Con quali risultati ancora non si sa, anche se è noto che il presidente sembra perdere punti nei sondaggi proprio a favore di Biden.
Una cosa è comunque certa: l’America sta cambiando pelle sotto i nostri occhi. Dopo decenni in cui il “soft power” Usa ha dominato il mondo grazie a cinema, tv e social network di vario tipo, ora una parte piuttosto consistente della popolazione è impegnata in un rifiuto pressoché totale della propria storia. Lo schiavismo del passato e un razzismo ancora diffuso, per quanto in misura minore di quanto si creda, ha condotto la maggioranza della comunità afroamericana su posizioni estreme, ben rappresentata dalla distruzione – peraltro non sempre riuscita – delle statue.
A farne le spese è stato in primo luogo Cristoforo Colombo. Prima non si distruggevano i monumenti a lui dedicati ma, com’è noto, già da tempo il “Columbus Day” è oggetto di pesanti contestazioni ed è diventato una ricorrenza festeggiata quasi soltanto dagli italo-americani. E a niente è valso che Trump lo abbia difeso, giacché le sue statue continuano ad essere abbattute, decapitate e imbrattate.
Poi è toccato ad alcune figure chiave della storia Usa. Lo stesso George Washington, il padre della patria, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e – incredibilmente – Abraham Lincoln, colui che scatenò la Guerra di Secessione contro il Sud per porre termine alla schiavitù dei neri. Tutti razzisti, secondo i nuovi talebani Usa, e tutti meritevoli di scomparire. Si noti che, a dar retta ai suddetti talebani, dovrebbe scomparire pure il Monte Rushmore nel South Dakota, dove per l’appunto sono scolpiti i volti di Washington, Jefferson, Lincoln e T. Roosevelt.
Non potevano ovviamente mancare i vandalismi contro le statue dei generali della Confederazione sudista. Ma il campo dove l’impressione è maggiore è quello cinematografico. Una lunga serie di film considerati sino a poco tempo fa dei capolavori sono stati banditi, oppure dotati di “avvertimenti” che indicano per quali motivi non è consigliabile vederli. E qui gli esempi si sprecano. Si va dal classicissimo “Via col vento” al più recente “Forrest Gump”. Da “Colazione da Tiffany” (sic) a “C’era una volta Hollywood”. Dai film di Indiana Jones ad alcuni capolavori della Disney.
Inutile dire che pure tanti classici del genere western sono finiti sotto la mannaia dei nuovi censori, incluse molte celebri pellicole di John Ford. Né si salvano – è ovvio – i film di Clint Eastwood. Stessa sorte tocca a “West Side Story” perché metterebbe in cattiva luce i portoricani, e “Holiday Inn” (1942) per il fatto che Bing Crosby vi canta con il viso dipinto di nero. Si attende con ansia di conoscere la sorte di “Mary Poppins” poiché anche lì deve pur esserci qualcosa che non va.
Contrariamente alle sue tradizioni l’America sta dunque diventando una nazione in cui vige una sorta di “pensiero unico” imposto dai cultori del “politically correct”, un Paese nel quale sembrano avverarsi alcune profezie di George Orwell. Bene ha dunque fatto Corrado Augias a citare Friedrich Nietzsche su “Repubblica”, quando scrisse: “Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è la stessa cosa: chi la pensa diversamente ripara volontario al manicomio”.