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L’ombra di Hong Kong su nuove manifestazioni in Cina

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di Michele Marsonet.

La città di Wenlou, situata nella Cina meridionale (provincia del Guangdong), è stata nei giorni scorsi teatro di violente manifestazioni che la polizia ha fronteggiato facendo ricorso alla forza. Pur in presenza della censura governativa che impedisce un flusso continuo di notizie, si è appreso che il motivo della protesta è stata la costruzione di un inceneritore in un’area che era destinata a diventare un parco ecologico.

I dimostranti sono riusciti a pubblicare dei post su Weibo, la piattaforma che ospita i social network cinesi, ma le autorità li hanno subito rimossi. Tuttavia le notizie sono comunque filtrate grazie al “South China Morning Post”, quotidiano in lingua inglese di Hong Kong che ha conservato un certo grado d’indipendenza.

Si apprende dunque che manifestanti e forze dell’ordine hanno dato vita a violenti scontri, con auto della polizia rovesciate e date alle fiamme, dimostranti e poliziotti malmenati e feriti. A dispetto delle intimazioni delle autorità, le manifestazioni sono proseguite inducendo il governo locale a sospendere la costruzione dell’inceneritore. Tuttavia la sospensione non è stata considerata sufficiente poiché i cittadini scesi in strada pretendono invece l’annullamento.

Wenlou dista solo 100 km da Hong Kong, e non è certo un caso che nel corso delle dimostrazioni siano echeggiati slogan identici a quelli che si sentono nella ex colonia britannica. Si pretende, in sostanza, che il governo ascolti le istanze e la volontà della cittadinanza senza assumere – come sempre accade nella Repubblica Popolare – decisioni unilaterali e non rispettose dell’opinione pubblica.

Ovviamente in un regime monopartitico come quello cinese si tratta di obiettivi difficili da realizzare. Il Partito Comunista non ha – almeno sul piano ufficiale – oppositori. Non esistono altre formazioni politiche che fungano da contrappeso e che i cittadini possano votare se non concordano con le decisioni governative. Inoltre in Cina Stato e Partito in pratica coincidono, senza che il primo possa in qualche modo differenziarsi dal secondo.

I fatti di Wenlou rappresentano senza dubbio un campanello d’allarme per Xi Jinping e il suo gruppo dirigente. Nonostante la censura stretta che frena tutti i mass media, essi dimostrano che anche sul suolo cinese la vicenda di Hong Kong è ben conosciuta, e che almeno parte della popolazione condivide i motivi che hanno scatenato la protesta nella città-isola.

Risultano quindi giustificate le preoccupazioni di Pechino circa il possibile “contagio”, con il virus della protesta democratica che potrebbe propagarsi all’intero Paese. Non siamo di fronte, in questo caso, a tendenze autonomiste o addirittura separatiste come quelle che caratterizzano il Tibet e il Xinjiang degli uiguri. Il Guandong, infatti, fa da sempre parte della Cina.

Si sta tuttavia rafforzando la tendenza a chiedere che vengano rispettati i principi dello stato di diritto presente in Occidente. Si noti inoltre che anche in ambito cinese avanzano le istanze ecologiste dopo decenni in cui esse sono state trascurate per favorire lo sviluppo industriale e tecnologico. Il che significa che la Repubblica Popolare sta diventando un Paese più simile ai nostri.