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Sui mutamenti della politica a livello globale

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di Michele Marsonet.

Seguendo i tanti dibattiti sulla situazione politica italiana sia nella stampa che in tv si ha l’impressione che il nostro Paese sia un caso del tutto speciale, che non trova riscontro in altri contesti. Del resto la visione di Giuseppe Conte al G7 – premier dimissionario che parla non si sa bene a nome di chi – tra governanti che sono invece nel pieno esercizio dei loro poteri, induce a credere che i pessimisti nostrani abbiano ragione.
Eppure, a ben guardare, le cose non stanno affatto così. Nell’intero Occidente è in atto una crisi trasversale della politica e della rappresentanza ad essa collegata. I partiti storici sono tutti in affanno, quando non addirittura prossimi alla soglia della sparizione, mentre lo stesso concetto di “leadership” ha subito trasformazioni prima impensabili.
Prendiamo per esempio gli Stati Uniti, nazione guida dell’Occidente liberal-democratico. Donald Trump è da tutti (o quasi) giudicato un presidente anomalo, che poco o nulla a che fare con le correnti tradizionali del pensiero politico americano. Eppure è riuscito a costruirsi uno spazio notevole nonostante l’ostilità dell’apparato repubblicano e dei suoi principali esponenti, al punto che sinora, all’interno del suo partito, non sembra avere competitors seri in vista delle prossime elezioni.
Il fatto è che neppure i democratici se la passano troppo bene. Con l’unica eccezione dell’ormai anziano Joe Biden, gli altri candidati sono impegnati in una sorta di “corsa a sinistra” che, in passato, ne avrebbe seriamente compromesso le possibilità di vittoria. Oggi invece sembra che le posizioni estreme paghino e non è raro sentir parlare di socialismo, termine il cui uso negli Stati Uniti di un tempo era sinonimo di sconfitta pressoché certa.
Sta quindi scomparendo il centro, vale a dire lo spazio che tutti prima cercavano di occupare per accedere alla Casa Bianca. Trump, insomma, ha solo anticipato i tempi, inducendo anche i candidati democratici a collocarsi sui lati estremi dello spettro politico.
Il quadro in Europa, tuttavia, non è molto diverso. In Germania, Francia e Spagna i vecchi partiti socialisti e cristiano-democratici sembrano ormai alla frutta, e lo stesso si può dire della tradizionale diarchia laburisti/conservatori nel Regno Unito. Nelle nazioni più piccole troviamo spesso i cosiddetti populisti (dei quali nessuno è ancora riuscito a fornire una definizione precisa) insediati stabilmente al potere e in predicato di restarvi per parecchio tempo in assenza di alternative che risultino convincenti ai loro elettorati.
Come accennavo all’inizio, la situazione nel nostro Paese non si discosta più di tanto da quella delle altre nazioni occidentali, ed è quindi fuorviante insistere troppo su una pretesa “anomalia italiana”, come ho sentito fare da alcuni relatori in un recente evento pubblico cui ho partecipato. Si rischia in questo caso di ricadere nella solita litania per cui noi saremmo il classico brutto anatroccolo capitato per caso in un maestoso corteo di cigni.
Il fatto è che il mondo occidentale è davvero cambiato negli ultimi decenni, grazie all’influenza dei social network (e non solo). Affermazione di per sé piuttosto banale, eppure gravida di conseguenze. Mancano strumenti d’analisi adatti a questo mondo cambiato, e mancano pure menti flessibili in grado di guardare avanti e non indietro. Riproporre la serietà e la competenza dei grandi padri della Repubblica che, come Aldo Moro, andavano al mare con i figli in giacca e cravatta non serve, giacché ai nostri giorni la sensibilità della gente è totalmente mutata.