Un pezzo discutibile de “Il Fatto Quotidiano”. E sul perché la generazione di Montanelli era più adatta a fare giornalismo libero.
Si racconta che un giorno Indro Montanelli sarebbe stato approcciato da un importante editore (che non credo sia quello a cui pensiamo tutti), il quale cominciò a offrirgli tutta una serie di “benefits” pur di fargli intraprendere una qualche iniziativa editoriale che gli premeva. Si racconta inoltre che Montanelli, non appena quello cominciò a parlare così, gli intimò di fermarsi e di andarsene, ma non perché quello stesse dicendo nulla di male, quanto piuttosto perché lui, Montanelli, era sul punto di cedere, detto altrimenti era sul punto di essere comprato.
Un tempo questa storiella sarebbe risultata epica, ma tanta acqua è passata da quando coltivavamo un’idea di giornalismo italiano valido, e dell’esistenza di un qualche “mito” tra le sue fila. Non scrivo questo perché negli anni abbiamo saputo delle vergin gentil donzelle con cui amava sollazzarsi Montanelli in quel d’Africa (era la “cultura” del tempo, si dice, e bisogna fare buon viso a cattivo gioco), ma semplicemente perché sappiamo che Montanelli era in fondo uno come un altro, bravo certo, ma vero è che tutte le prese di posizione sono opinabili, tutto dipende dalla prospettiva di visione.
Certo è che nella scenetta di cui all’incipit Montanelli dimostra la sua grande conoscenza dell’animo umano, delle sue debolezze; delle debolezze dell’animo umano in generale e di quelle sue personali, non a caso ha subito mandato via il suo “benefattore”. Si tratta insomma di un comportamento che sarebbe difficile, credo, replicare oggidì. Tra tutti i “comportamenti” intellettualmente miserabili, di servaggio al potentato di turno, che dobbiamo registrare in questo periodo, c’è proprio quello del giornale che durante il renzismo ci sembrò più assennato. Parlo dunque di quel “Fatto Quotidiano”, diretto da Peter Gomez nella versione online e da Travaglio nella versione cartacea, che qui su Rosebud ormai chiamiamo il Di Maio Times.
Rosebud ha sostenuto Di Maio e i pentastellati durante la campagna elettorale molto di più di quanto abbia fatto quel giornale, anche senza i tanti dubbi sulla capacità di leadership di Di Maio che palesavano Travaglio e i suoi colleghi, ma, avendo i coglioni, mi farei castrare prima di ridurre questo blog ad altoparlante di un ministro della Repubblica: perché questa semplice lezione di etica e di deontologia giornalistica che si comprende su un bloghetto di periferia, anche se oltre confine, non la può comprendere un giornale a tiratura nazionale?
In realtà ho capito finalmente che era tutta questione di “prezzo” anche per Il Fatto Quotidiano. Cioè non di “prezzo” inteso come valore monetario, tipo quello che portò gli azionisti RCS a cambiare il direttore del Corriere antirenzista onde avere tale velina giornalistica più rispondente alle “esigenze” governative, ma un prezzo di tipo ideologico. Il Fatto Quotidiano si è prostrato al governo quando al governo è subentrata una forza in linea con la sua ideologia, di fatto trasformando Travaglio in un altro Scalfari qualunque. Che questa linea sia la vera linea del giornale, lo si comprende non tanto dai moltissimi poster e posterini incensanti Di Maio, che ogni giorno, assurdamente e ridicolissimamente, il Fatto pubblica (e che noi riprendiamo goliardicamente per colorare le pagine del Di-Maio Times), ma dalla intensa e scaltra campagna condotta contro Salvini (peraltro assolutamente immeritata a mio avviso), e soprattutto dal pedissequo ignorare le attività del “vero” Premier che a quanto mi risulta è Giuseppe Conte. Un giornale serio invece di fare politica si sarebbe occupato di dare conto agli italiani delle attività dell’Esecutivo e di criticarle se necessario, non certo di fare politichetta da oratorio d’antan in stile don Camillo e Peppone!
Il problema? Sempre quello! Una mancanza culturale sostanziale alla base che non permette il cambiamento, neppure quando in presenza di pedine capaci come Travaglio. Travaglio di fatto manca plasticamente (almeno questa è l’impressione che ne traiamo alla prova dei fatti) della conoscenza dell’animo umano, del suo stesso animo, mostrata da Montanelli… e questo, anche se spiace dirlo, è un gap sostanziale: nella vita così come nel giornalismo!
Rina Brundu