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Gianni Vattimo tra filosofia e teologia

credente

Screenshot da dagospia.com

In un articolo a firma Paolo Conti per il “Corriere della Sera”, e ripreso da Dagospia (mi va bene confessare di leggere D’Agostino, ma Fontana proprio no!), si legge che il “filosofo” del “pensiero debole” Gianni Vattimo avrebbe ricevuto una telefonata del Papa in seguito alla ricezione da parte del Pontefice dell’ultimo tomo vattimiano dedicato ad Heidegger. Nell’articolo si leggono anche le seguenti dichiarazioni che avrebbe reso Vattimo: «Leggo anche di una mia conversione dopo la telefonata con il Papa... Ma non mi sono convertito ora! Io mi dichiaro credente da tempo… Resto ciò che sono stato, ovvero un cattocomunista. Quello è il mio punto di riferimento, anche se i contesti sono cambiati». Dopo di che scrive Conti: “Vattimo non si fa pregare per chiarire, dal suo punto di vista, la questione che nei giorni scorsi è apparsa più spinosa: la sua definizione di papa Francesco come possibile leader rivoluzionario”.

Naturalmente, sulla definizione di “rivoluzionario” di questo straordinario Pontefice della Chiesa, non si ha nulla da obiettare, anche perché la questione più che “spinosa” è datata, mentre Vattimo e Conti appaiono in questo articolo alla stregua degli ultimi abitanti del globo terracqueo ad essersene accorti. Sul fatto che Francesco sia l’asset più importante e più capace mai sedutosi sul Soglio di Pietro non si discute, e bene ha fatto Vattimo a mandargli il libro, da un uomo in gamba come Francesco non si dovrà aspettare che una lettura attenta, impegnata e magari un feedback valido.

Ma queste sono inezie, bazzecole, direbbe l’immenso. In realtà il vero lato “juicy” nel discorso un po’ epidermico di Conti è la dichiarazione del “filosofo” (dato il punto che sto facendo preferisco inserire il termine tra virgolette), il quale si vorrebbe “credente”, meglio ancora “cattocomunista”, anche se il primo termine è a mio giudizio molto più grave. È molto più grave perché nella mia visione delle cose uno o è “credente” o è “filosofo” non ci sono vie di mezzo. Certo si può essere “teologi”, e anche quella è una possibilità, ma vero è che se Vattimo fosse conosciuto come il “teologo del pensiero debole” io non mi sarei mai presa la briga né di leggere il pezzo di Conti né di buttare giù questi pensieri in croce: al mondo esistono tante aberrazioni, anche di pensiero, e ognuno è libero di fare o pensare ciò che crede.

Vattimo però è conosciuto come “filosofo”, ma su un ossimorico “filosofo credente” è lecito farsi una domanda: non è che il suo pensiero “debole” fosse in realtà “debolissimo”? Non avrei neppure alcuna difficoltà se Vattimo definisse il suo essere “credente” come un credere nella possibilità metafisica di esistenza dell’Essere, ovvero in tutto ciò che è precluso ai sensi, io stessa ho quel tipo di “credo” come ho sempre scritto, ma quando uno si definisce “credente” dopo avere inviato un tomo al Papa, dopo essersi intrattenuto fieramente in conversazioni con lui, e avere aggiunto di essere orgogliosamente “cattocomunista” (sic, cattocomunista? Ma quanti anni ha Vattimo? 900 come un patriarca biblico?), il lettore può essere perdonato se capisce che il filosofo del “pensiero debole” Gianni Vattimo, potrebbe essere un adepto di racconti superstiziosi che fa passare come buoni magari pure ai suoi studenti.

Questo è il punto “spinoso” che avrebbe dovuto trattare il riverente notista fontaniano, anche se sappiamo bene che colà ci potrebbe essere un problema alla fonte e sarebbe più facile estrarre succo d’arancia da un masso di calcare che avere un giornalista italiano in grado di creare imbarazzo in un “nome noto”. Non conosco abbastanza la filosofia di Gianni Vattimo per essere certa che si tratti o non si tratti di un grosso “misunderstanding”, ma nel dubbio Heidegger, che pure sto studiando, preferisco “studiarlo” direttamente dai suoi scritti o da qualche altro esegeta meno incline a seguir superstizione e a restare con i piedi saldamente ancorati per terra, soprattutto nel caso in cui abbia la bella idea di definirsi “filosofo”.

Che poi tutto si può trovare in Italia: mari splendidi, cieli stellati, tramonti dorati, cibo divino, arte magnifica… ma trovare un filosofo che valga quel nome non mi risulta che sia mai accaduto da Machiavelli in poi…. Then again, tutto può essere, magari anche che i massi di calcare producano succo d’arancia, mentre i roveti biblici cantano a squarciagola, i giornalisti del Corriere non ci fanno vergognare intellettualmente, e schiere di angeli e di arcangeli si ingegnano in cielo: sic!

Rina Brundu