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Il caso Filippone

goyaIl termine ìncubo deriverebbe dal latino tardo incŭbus «essere che giace sul dormiente», e quindi da incubare «giacere sopra». L’incubo, per estensione, diventò un essere demoniaco, malefico, che opprimeva una persona nel sonno, meglio se donna e durante il tentativo di congiungersi carnalmente con lei. In date raffigurazioni pittoriche del passato, ma anche nel famoso acquaforte di Goya, li vediamo raffigurati come mostri malefici di varia natura e forma, però sempre volteggianti o seduti su un essere umano che di converso appare sconfitto, gravato nell’anima tarlata dalla loro sola presenza.

Quando ho sentito della tragedia occorsa in quel di Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, ho pensato proprio agli incubi. L’ho pensato perché Pasquale Filippone, l’uomo che avrebbe ucciso la moglie buttandola dalle scale e poi, prima di suicidarsi, avrebbe lanciato la figliola di 12 anni da un cavalcavia alto 50 metri, il dirigente d’azienda Filippone sarebbe stato un uomo senza problemi apparenti, almeno senza problemi economici o di salute. Gli unici elementi “stonati” rilevati fino a questo momento, sarebbero da un lato la morte della madre nelle scorse settimane e, dall’altro, uno strano foglietto che Pasquale stesso avrebbe buttato per aria prima di morire, o perso mentre si lasciava cadere nel vuoto, una paginetta dove sarebbero scritti dei nomi e dei cognomi.

Mi stupisce come questi fatti vengano presi sottogamba, non certo dagli inquirenti che sicuramente staranno scavando nel dettaglio, ma piuttosto dalla nostra Stampa sempre arruffona, anche quando si è in presenza di tragedie così gravi. Di fatto, entrambi questi due elementi a me paiono sufficienti per continuare a studiare convintamente nel background sociale e lavorativo entro cui si muoveva questa sfortunata famiglia. Nel leggere della recente morte della madre di Filippone, in virtù di alcuni studi che stavo portando avanti settimane fa, mi è venuto automatico fare un’associazione mentale con quanto accadde al giovane Hitler quando morì la di lui madre Klara Polz, da tempo malata di cancro al seno. Il momento fu descritto a posteriori, nel dettaglio, dal medico che si trovava nella stanza in quell’istante fatidico. Il dottore raccontò che mai in vita sua aveva assistito a una scena di dolore così forte e così sconvolgente. Come sappiamo quel dolore sarà uno dei fattori importanti che, insieme a molti altri, contribuiranno a trasformare quel giovane ragazzo austriaco in uno dei più nefasti criminali della nostra Storia.

Questo per dire che il dolore, e soprattutto il dolore che si prova nel lutto, non andrebbe mai sottovalutato, mai! A un tempo, chiunque abbia lavorato nel mondo aziendale sa bene che quello è un mondo difficile, un mondo in cui sovente domina la legge della giungla con tutte le conseguenze del caso, e che lo stesso è un mondo omertoso nella sua natura. In vent’anni in cui ho frequentato aziende di diversi Paesi europei, in lungo e in largo, posso dire di avere incontrato più shipwrecks esistenziali in quegli ambienti, di quanti ne abbia mai visto nei vari programmi trash della tv spazzatura italiana, nessun dubbio su questo!

Mi spingo quindi fino a dire che qualunque fosse la tipologia di “incubi” che tormentavano Pasquale Filippone, qualunque sia stata la loro natura, magari qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa e non l’ha fatta. Ne deriva che forse adesso quelle tre morti che questo disgraziato padre di famiglia ha cagionato, potrebbero essere diventate altri “incubi” sulla coscienza di qualcun altro. Ed è indubbio che, se così fosse, tali mostri malevoli sarebbero adesso finalmente tornati a casa, tornati verso l’antro più oscuro dell’anima che li ha prodotti in prima istanza, determinatissimi a non abbandonarla più.

Rina Brundu