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CONSIDERAZIONI SUL “LESSICO ETIMOLOGICO ITALIANO”

La recente scomparsa del linguista svizzero Max Pfister, promotore dell’imponente «Lessico Etimologico Italiano» (sigla LEI), ha rinnovato in me un forte rammarico, quello che avevo provato alla prima comparsa dell’opera: nonostante le apparenze il LEI è un’opera gravemente “monca”, posso dire almeno “dimidiata” o “dimezzata”. Nelle apparenze sembra che il LEI contenga tutto lo scibile relativo alla lingua italiana e ai suoi dialetti ed invece, a mio giudizio, esso è privo di almeno la metà del materiale lessicale e linguistico che avrebbe dovuto contenere.

Ecco in sintesi l’elenco delle numerose lacune che si trovano nel LEI:

1°) Manca un intero millennio di storia politica, culturale e linguistica della Nazione italiana, quella concretizzata con la storia politica, culturale e linguistica degli Etruschi, di un popolo cioè che stava agli stessi livelli del popolo greco e di quello romano. Anzi gli Etruschi hanno tenuto a battesimo i Romani, insegnando ad essi a scrivere e addirittura fondando Roma e dandole un nome etrusco (si veda il mio studio “Roma fondata dagli Etruschi”).

2°) Nel noto commentatore di Virgilio, il grammatico Servio (ad Aen., XI 567), troviamo citata una frase di Catone: «L’Italia era stata quasi tutta sotto il dominio degli Etruschi» (In Tuscorum iure paene omnis Italia fuerat). Inoltre Tito Livio (I 2; V 33) parla della potenza, della ricchezza e della fama degli Etruschi, in terra e in mare, dalle Alpi allo stretto di Messina.

In linea di fatto, al di fuori del territorio della originaria Etruria, che si estendeva dalla costa del Mar Tirreno settentrionale ai confini dei due fiumi Arno e Tevere, numerosi dati documentari, archeologici, epigrafici e storici assicurano l’espansione del loro dominio a sud fino al Latium vetus (Roma, Terracina) e alla Campania (Capua), a nord fino all’Emilia (Felsina/Bologna, Modena), al Veneto (Adria, Spina), fino a Mantova e all’Alto Adige (Laives, Varna, Velturno, Vipiteno). Quei dati inoltre dimostrano la penetrazione che gli Etruschi fecero anche al di là del fiume Po, fin nel cuore delle Alpi, di certo alla ricerca di giacimenti di minerali, soprattutto del ferro.

3°) La documentazione epigrafica poi va molto al di là di questi già vasti confini di espansione politica, dato che iscrizioni etrusche sono state rinvenute nel sud anche a Pontecagnano al confine estremo della Campania e nel nord a Piacenza e in Liguria. E poi ulteriormente fuori dell’Italia, a Marsiglia e in Corsica.

4°) A proposito delle iscrizioni etrusche, va ricordato e tenuto ben presente il fatto che sono stati gli Etruschi a introdurre la scrittura in Italia (con eccezione della Magna Grecia e della Sicilia), insegnandola ai Romani, agli Umbri, ai Veneti, ai Camuni e ai Reti.

Si deve tenere ben presente che degli Etruschi ci sono state conservate circa 12 mila iscrizioni, che non si può negare che sia una somma quasi stupefacente di vocaboli, di gran lunga superiore a quella di tutte le altre lingue frammentarie antiche, che sono assai lungi dal presentare una documentazione così ampia e anche così varia.

5°) Nel suo LEI il Pfister ha ignorato del tutto le tre opere di Silvio Pieri, portento di accuratezza di documentazione e di prudente analisi linguistica, che sono: TVSL Pieri S., Toponomastica delle Valli del Serchio e della Lima, “Accademia Lucchese di Scienze Lettere e Arti” (nuova edizione Lucca 2008); TVA Pieri S., Toponomastica della valle dell’Arno (in Atti della «R. Accademia dei Lincei», appendice al vol. XXVII, 1918, Roma (1919); TTM Pieri S., Toponomastica della Toscana meridionale (valli della Fiora, dell’Ombrone, della Cècina e fiumi minori) e dell’Arcipelago toscano, Siena 1969 (edizione postuma «Accademia Senese degli Intronati»).

Ebbene il Pieri fa esplicito riferimento a toponimi toscani che sono di probabile origine etrusca e che spesso corrispondono ad altrettanti appellativi dialettali toscani, ma il Pfister ha survolato su tutto ciò.

6°) Il Pfister ha survolato sul notissimo studio di Ernout A., Les éléments étrusques du vocabulaire latin (in «Bull. de la Soc. de Ling.», XXX, 1930, pg. 82 sgg., poi nel vol. Philologica, I, Paris 1946, pgg. 21-51 (EPhIL).

7°) Il Pfister ha survolato su quel gioiello di dizionario etimologico che è il DELL di Ernout A. – Meillet A., Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine (IV édit., IV tirage, Paris 1985), nel quale i due illustri autori hanno dato ampio spazio ai vocaboli di origine sicuramente oppure probabilmente etrusca.

8°) Ha ignorato lo studio di Giuliano Bonfante, Etruscan Words in Latin (in «WORD», 36, 3, 1985, pgg. 203-210).

9°) Ha ignorato l’ampio capitolo che Giambattista Pellegrini ha dedicato ai relitti della lingua etrusca nella sua ampia e importante opera “Toponomastica Italiana” (Milano 1990, Hoepli).

10°) Ha ignorato del tutto gli studi del sottoscritto, consistenti in ben 18 libri relativi alla lingua etrusca e in un centinaio di studi.

11°)Ecco dunque spiegate le ragioni del mio giudizio negativo dell’opera di Max Pfister. Sicuramente a lui è successo di aver pagato un pesante tributo alle ridicole affermazioni, correnti a livello popolare e anche più su, secondo cui “La lingua etrusca è tutta un mistero”, “La Lingua etrusca non è comparabile con nessun’altra”!

Ho scorso le prime pagine del I volume del LEI fino all’inizio della lettera C, per sapere se e in quale misura il Pfister abbia tenuto conto della lingua etrusca. Ebbene, con mia grande sorpresa ho costatato che l’aggettivo “etrusco” vi compare in 792 pagine solamente quattro volte ….

Insomma, il «Lessico Etimologico Italiano» costituisce un vero disastro editoriale: dieci secoli di storia politica, culturale e linguistica dell’Italia solamente “accennati”…!

 

Appendice: lettere all’autore

Gentile prof. Pittau, non so se abbia idea di che cosa sia e di come funzioni il LEI, ma noi consideriamo SOLO ed ESCLUSIVAMENTE il concetto di etimo prossimo, il che significa che gli etimi remoti nel LEI non sono considerati, se non come elemento accessorio. Si tratta del sistema utilizzato da un secolo nei vocabolari etimologici della nostra scuola, quella svizzero-tedesca che parte con Wartburg e prosegue con Baldinger, Pfister, e poi Schweickard, Glessgen, ecc., per fare solo qualche nome.
Per uscire dalla teoria: se una parola greca entra in latino, e da lì in italiano, per noi è latina perché consideriamo solo L’ULTIMA lingua fornitrice, non quelle precedenti. Gli elementi etruschi, per entrare nel LEI; devono essere transitati in latino, perché converrà con me che l’etrusco non può aver fornito ETIMI DIRETTI all’italiano: le due lingue si tolgono come minimo un migliaio di anni.
Abbiamo, mi creda, la massima considerazione di tutte le lingue della penisola nell’antichità, e così pure di quelle che hanno accompagnato il latino durante la sua ascesa e che poi ne sono state sommerse; ma non è quello lo scopo del LEI, né di nessun altro vocabolario etimologico italiano: parlo anche per il DEI, per il DELI e per il Nocentini. Già così abbiamo lavoro per decenni: se dovessimo fare anche il vocabolario etimologico dell’etrusco ne avremmo per un altro secolo. Quello lo faranno gli etruscologi.
Quanto ai ridicoli pregiudizi sull’etrusco, sono/siamo completamente d’accordo con lei: sono ridicoli. E noi, le assicuro, non ne siamo minimamente toccati. Mi permetta di ricordare che noi abbiamo in bibliografia tre delle sue pubblicazioni (per una lingua che non ha a che vedere direttamente con l’italiano sono tantissime), compreso il Lessico etrusco-latino comparato col nuragico (1984): io, che sono un italianista, la conosco proprio perché il suo Lessico me l’ha prestato Pfister (pensi un po’). Utilizziamo anche il suo lavoro sul sostrato tirrenico nel latino e nel sardo che compare negli scritti per il compianto prof. Pellegrini. Spero che essere ripetutamente citato in un’opera che ha ricevuto, attraverso il suo autore, cinque lauree honoris causa e un premio speciale della Presidenza della Repubblica sia per lei un motivo di legittima soddisfazione.

Ultima precisazione: figuriamoci se ignoriamo l’Ernout-Meillet: ha ragione lei, è un capolavoro irraggiungibile. Ma anche in questo caso, l’oggetto del LEI non è la storia della parola IN latino, ma DOPO il latino: che sia etrusca o osco-umbra è ovviamente interessantissimo, ma non in relazione a quello che dobbiamo fare noi. E così pure, ci piacciono tanto i lavori di Silvio Pieri che ne utilizziamo 11, ben di più dei tre che lei giustamente ricorda: ma la toponomastica, ancora una volta, NON è oggetto di studio del LEI, che ne tratta solo in casi eccezionali e nelle note, e solo per giustificare alcune forme a testo.

Spero di averle fornito le prove che l’oggetto scientifico del LEI non riguarda in alcun modo la disciplina in cui lei è un maestro riconosciuto: ben vengano le critiche che mi consentono di precisare la natura e i limiti investigativi del LEI. Mi dispiace che non le abbia potuto rispondere il mio grandissimo Maestro e che si debba accontentare solo della mia risposta, ovviamente, ma sono a sua disposizione per qualunque dubbio.

Un saluto molto cordiale
Marcello Aprile
PhD dell’Università del Saarland
Professore ordinario di Linguistica italiana
Direttore della lettera D del LEI
Dipartimento di Studi Umanistici – Università del Salento

Risposta 

Egregio Collega, innanzi tutto la ringrazio vivamente per la cordialità che mi ha manifestato e che io ricambio molto volentieri. Ed ovviamente la ringrazio per la sua lettera, la quale è piena di numerose considerazioni del tutto esatte e che io condivido appieno. Però la sua lettera presenta anche due punti molto deboli. I°) Lei ha scritto: “perché converrà con me che l’etrusco non può aver fornito ETIMI DIRETTI all’italiano”. Io non ne convengo per nulla: Silvio Pieri ha fatto anche esplicito riferimento a lessemi od appellativi toscani e forse che questi non sono ETIMI DIRETTI, i quali hanno il diritto di essere considerati come appartenenti alla Lingua Italiana e Toscana?

Allargando il discorso, come fa lei ad affermare che anche nel resto dell’intera Nazione italiana, dove gli Etruschi sono arrivati e si sono imposti in termini politici, culturali e linguistici, che “l’etrusco non può aver fornito ETIMI DIRETTI all’italiano”. Prima di sostenere questa ipotesi tanto impegnativa si ha l’obbligo di fare una accurata ricerca anche nei dialetti di tutta Italia per appurare se siano rimasti oppure no ETIMI DIRETTI dell’etrusco. Ed invece il vostro LEI ha ignorato e trascurato questa importantissima questione.

II°) Facendo riferimento a Silvio Pieri lei ha sottolineato che in effetti egli si interessava di “toponomastica etrusca” e non di “lessico etrusco”. Questa considerazione va ovviamente riferita anche a me, che mi sono impegnato e mi sto impegnando parecchio di toponomastica toscana, ma anche di toponomastica della pianura padana e dell’arco alpino. Ma ha dimenticato un importante particolare: tutti i toponimi, in tutti i domini linguistici, prima di diventare toponimi erano altrettanti lessemi o appellativi. Pertanto, se io azzecco l’etimologia di un toponimo, automaticamente ritrovo il significato del lessema.

Le espongo tre soli esempi dei quali vado orgoglioso: 1°) Se io respingo la ipotesi sostenuta prima da Giacomo Devoto e dopo da Giulia Petracco Sicardi, secondo cui Genova deriverebbe dal lat. genua «ginocchia» (perché non avrebbe nessun senso il plurale!) ed affermo invece che Genova e Ginevra derivano dal lat. janua, *jenua «porta, ingresso, passaggio, porto», ecco che sono passato dalla toponomastica alla lessicologia. 2°) Se io dico che Trasimeno è un toponimo che deriva dall’etr. TARSMINAŚ e sostengo che esso è da connettere col lessema italiano transenna «grata, staccionata, steccato», dicendo che le transenne erano usate per fare le peschiere, ecco che sono passato dalla toponomastica alla lessicologia. 3°) Se io sostengo che il toponimo Verona deriva dall’etrusco VERUNIA ed inoltre sostengo che esso è connesso col lessema ital. verone «balcone, poggiolo», ecco che sono passato dalla toponomastica alla lessicologia.

Molte grazie per la sua attenzione. Abbia la cortesia di mandarmi il suo indirizzo e-mail, Massimo Pittau.