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Omaggio a ROMA – Origine della città e del suo nome

colosseum-3012088_960_720uno studio di Massimo Pittau

È cosa abbastanza nota che dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani, molti autori greci, ormai soggiogati non soltanto sul piano militare e politico ma anche su quello psicologico dalla potenza dei dominatori, fecero a gara per dimostrare che in effetti Roma era una “fondazione greca” (κτίσις ἐλληνική). E ciò fecero anche fondandosi sulla paretimologia del nome di Roma, fatto derivare abusivamente dall’appellativo greco ῥώμη (rhōmē) «forza». Era questa indubbiamente una etimologia del tutto campata in aria, anche perché è illogico ritenere che all’inizio, quando Roma non era altro che un piccolissimo centro abitato, coloro che le diedero il nome potessero prevedere l’incredibile sviluppo futuro, militare politico e culturale, di Roma, che sarebbe finita con l’essere dichiarata e chiamata il caput mundi.

In uno dei più importanti scrittori greci che intrapresero a trattare la storia di Roma, Dionigi di Alicarnasso (circa 60 a. C.- 7 d. C) si trova una frase assai importante, che suona testualmente: τὴν τε Ρώμην αὐτὴν πολλόι τών συγγραφέων Τυρρηνίδα πόλιν εἴναι ὑπέλαβον «molti degli scrittori sostennero che la stessa Roma era un città Tirrena» (cioè Etrusca) (I, 29, 2).

A questa affermazione di Dionigi noi moderni dobbiamo attribuire la massima importanza, per la ragione che si presenta come uscita dalla sua bocca a “denti stetti”, dato che anche lui tendeva a dimostrare che Roma non era affatto una «fondazione etrusca», come molti scrittori avevano detto, bensì era una «fondazione greca».

Che cosa esattamente Dionigi avrà voluto indicare con la sua citata frase e precisamente “quanti” saranno stati gli scrittori da lui semplicemente accennati? A me sembra ovvio e anche prudente interpretare nel seguente modo: se egli avesse detto «alcuni (ἐνίοι) degli scrittori» noi avremmo adesso interpretato che questi fossero quattro o cinque; ma, dato che egli ha detto «molti (πολλόι) degli scrittori», noi adesso dobbiamo interpretare che fossero almeno una dozzina. Il quale pertanto è un bel numero di scrittori antichi che sostenevano appunto essere «Roma una città etrusca».

Oltre ed a prescindere da ciò, a mio giudizio esistono numerose e consistenti prove che dimostrano che effettivamente «Roma era una fondazione etrusca»; e queste sono prove di carattere storico, religioso, culturale e anche e soprattutto di carattere linguistico, come io mi accingo a dimostrare minutamente.

Le prove linguistiche. Sono di quasi certa origine etrusca il toponimo Roma ed altri che riguardano da vicino la città e i suoi stretti dintorni:

Il toponimo Roma molto probabilmente è da riportare all’appellativo, che Plutarco (Romolo 4.1) presenta come “antico latino”, ruma «mammella». Questo appellativo però trova riscontro in alcuni vocaboli etruschi documentati in un periodo precedente: l’etnico Rumate, Rumaθe e Rumaχ = «Romano»; Rumitrineθi = «nel(lo Stato) Romano»; gentilizio Rumilna, Rumlna = latini Romatius, Romilius e Romulius. L’appellativo ruma «mammella» molto probabilmente faceva riferimento a quella specie di prominenza o di promontorio a forma di “mammella” femminile appunto, che si è formata nella riva destra del Tevere (cioè in quella Veientana, ossia etrusca), di fronte all’isola Tiberina e all’odierno ponte Palatino.

Di questi appellativi etruschi è particolarmente interessante e significativo Rumitrineθi, come dimostra la seguente iscrizione in cui compare: Vel Laθites Arnθial ruva Larθialiśa clan Velusum / neftś marnux spurana eprθnec tenve meχlum rasneas / Clevsinsl zilaχnke pulum Rumitrineθi mlace clel lur[i]  «Vel Latidio fratello di Arrunte, di quello figlio di Lart e nipote di Vel, fu maronico civico e capo della Federazione Etrusca, fu pretore del(lo Stato) Chiusino e dopo nel(lo Stato) Romano; diede a questi lustro. Dato che Chiusi era sicuramente una città-stato etrusca, da questa iscrizione si deduce che pure Roma come città-stato era etrusca.

Tiberis, Thybris, Thebris «Tevere». C’è innanzi tutto da precisare che in origine il Tevere non scorreva al centro del Lazio, bensì segnava il confine del Latium vetus a meridione e dell’Etruria a settentrione e inoltre giocava un ruolo molto importante nella vita dei Romani e degli Etruschi, sia per l’abbeveraggio degli uomini e delle loro bestie, sia per l’innaffiamento degli orti, sia infine come via di trasporto per gli uomini, le bestie e le merci, in primo luogo il sale. E per queste importanti ragioni il fiume era stato anche divinizzato col nome di Tiberinus (Ennio, Ann. 54 V; Virgilio, Geor. 4.369, Aen. VIII 72; Livio, 2.10.11). Tanto è vero che il collegio dei Pontifices, oltre che avere la cura tecnica del ponte Sublicio, effettuava funzioni sacre nelle sue due testate (Varrone, Lat. 5.83). Per effetto di questa divinizzazione si comprende il fatto che ne fossero derivati alcuni antroponimi, latini ed etruschi, aventi un valore teoforico o sacrale: lat. Tiberinius, Tiberinus da confrontare con quelli etr. Θeprina, [Θ]eprinie, Θefrina; lat. Tiberius da confrontare con quelli etr. Θepri, Θeprie, Θefri, Θefries, Θefarie, Teperi; lat. Tiberio,-onis da confrontare con quello etr. Θepriu. Ciò detto, c’è da dare una risposta alla questione di fondo: questo antico nome del fiume era latino oppure era etrusco? Sull’argomento in primo luogo a me sembra che si debba dare credito a un poeta latino, il quale era di origine etrusca e quasi certamente parlava o almeno comprendeva l’etrusco, Virgilio. Ebbene Virgilio nell’Eneide (VII 242; VIII 473; X 199; XI 316) definisce il Tevere Tyrrhenus Thybris e per ben 3 volte Tuscus amnis «fiume Etrusco». Espressione nella quale è notevole pure il fatto che molto probabilmente l’appellativo lat. amnis (di etimo incerto) è quasi certamente di origine etrusca, dato che corrisponde esattamente al gentilizio etr. Amni. Oltre a ciò, l’altro poeta latino Orazio chiama il fiume Tuscus amnis e Tuscus alveus e rivolgendosi all’amico G. C. Mecenate, noto personaggio appartenente a una potente famiglia etrusca, gli parla delle rive del fiume dei suoi padri: paterni fluminis ripae (Serm. II 2, 33; Carm. I 20, 5; III 7, 28). In terzo luogo è da precisare che nelle citate corrispondenze antroponimiche etrusco-latine, quasi tutte le forme etrusche sono piuttosto recenti, ma alcune sono precedenti anche di alcuni secoli a quelle latine: [Θ]eprinie (sec. VI a. C.), Θefarie (inizio sec. V), Θefrisa (sec. II:3), Θefrina (sec. IV:3). Infine una conferma della matrice etrusca dell’idronimo sta nel fatto che il lat. Tiberis ha l’accusativo –im e l’ablativo –i, esattamente come altri vocaboli latini derivati dall’etrusco: amnis, amussis, axis, cratis, curis, glanis, rumis, turris, tussis, ecc.

Altri nomi del fiume: Rumon sembra l’accrescitivo di ruma, col significato di «mammellone» o “grande ansa”, probabilmente quella antistante al Campo Marzio.

Volturnus molto probabilmente significava «(fiume) tortuoso» (come è effettivamente nella zona), da connettere col lat. vol(u)tus «volto, voltato, girato»; è da confrontare col gentilizio etr. Velθurna che a sua volta probabilmente significava «(individuo) tortuoso».

Albula probabilmente = «acqua biancastra»; secondo Varrone (Lat. 5.30) e Virgilio (Aen. VIII 332) sarebbe stato l’originario nome latino del fiume, prima che mutasse in Tiberis. Però è un fatto che Livio (I.3.8), riporti quest’idronimo al tempo dei re di Alba Longa e quindi a un periodo precedente alla fondazione di Roma.

Pons Sublicius; pons, pontis «ponte, passerella», diminutivo ponticulus; antroponimi lat. Pontius, Ponten(n)ius, Pontin(n)ius, Pontulenus da confrontare con quelli etr. Pontia (in alfabeto lat.; ThLE 386), Puntna, Puntlnai.

Ratumen(n)a porta è da connettere con gli antroponimi etr. Raθumsna, Ratumsna, Ritumena.

Caelius, Celius mons «colle Celio» (Varrone, Lat. 5.46), è da connettere col lat. caelum, coelum, celum «cielo» (di origine ignota), probabilmente col significato di «colle dedicato al dio Cielo od Urano» e da confrontare con l’etr. Celi (Liber linteus IV 14, 21; V 10, 16, 17; IX 18; XI 2, 3) «al cielo». Anche etr. Celi² (Liber VIII 9) «a settembre», mese dedicato al Cielo o Urano, da confrontare con la glossa latino-etrusca Celius, Caelius «settembre».

Ianiculum «Gianicolo», colle della riva destra del Tevere, è da riportare al lat. Ianus, etr. Iane «Giano» (dio della porta e dell’entrata).

Palatium, Mons Palatinus «colle Palatino», è da riportare al lat. palatum «palato», palatum caeli «volta celeste»; Ovidio (Met. 1.176): hic locus est quem haud timeam magni dixisse palatia caeli «qui c’è un luogo che non temerei di chiamare volte del grande cielo»; è da confrontare con la glossa latino-etrusca faladum «cielo».

Quirinalis, colle sul quale sorgeva un tempio dedicato al dio Quirino (Varrone, Lat. 5.51; Cicerone, Rep 2.1l) deriva dal lat. quiris, curis «asta, lancia», Iuno Quiritis vel Curitis = «Giunone Astata», cioè “armata di lancia”, da cui Quirites «armati di asta», cittadini cioè che si presentavano all’assemblea muniti di asta come segno del loro essere liberi e in possesso di tutti i diritti (cfr. Tacito, Germ., 11)], che è da confrontare con l’etr. Kuritiana (sec. VII), probabilmente nome teoforico in onore della dea etrusca. La probabile derivazione del lat. quiris, curis da un appellativo etrusco viene confermata dai suoi irregolari accusativo curim e ablativo curi e dall’accusativo Iunonem Curitim.

Suburra, Subura, malfamato quartiere etrusco di Roma (Varrone, Lat. 5.48) (già prospettato come di origine etrusca). Si veda l’ital. zavorra che deriva dal lat. saburra «zavorra» (costituita di sabbia e lastre di pietra messe nella stiva della nave) (già prospettato come di origine etrusca che è da connettere col lat. sabulum/sabula «sabbia».

Vaticanus, uno dei sette colli e suo dio (Gellio 16.17.1) (nel quale probabilmente si “vaticinava” osservando il volo degli uccelli) è da riportare ai lat. vates, vatis «indovino, profeta», vaticinari «vaticinare, profetizzare» (già prospettati come di origine etrusca) e da confrontare col gentilizio etr. Vati.

Velabrum, quartiere di Roma, = appellativo lat. velabrum «sito ventilato, aia» (Paolo-Festo 68, 3). Nei tempi antichi le aie erano situate in siti elevati e ventilati e risultavano fisse.

Velia altura che collegava il Palatino al colle Oppio (Cicerone, Rep. 2.53; Livio, 2.7.6) è da confrontare col prenome femm. etr. Velia, Uelia.

Antroponimi. Trovano riscontro con altrettanti vocaboli della lingua etrusca i seguenti antroponimi che sono relativi all’origine leggendaria di Roma:

Latinus, mitico re del Lazio (Virgilio, Aen. 7.45; Livio, 1.1.5; Ovidio, Fast. 4.43) da confrontare con l’antroponimo etr. Latine.

Proca(s), re di Alba Longa, padre di Numitore e Amulio (Virgilio, Aen. 6.767; Livio, 1.3.9), è da confrontare con gli antroponimi etr. Pruciu, Prucua.

Numitor,-oris, re di Alba Longa, nonno di Romolo e Remo (Virgilio, Aen. 6.768; Livio, 1.3.10) è da confrontare con l’antroponimo etr. Numθr(-al).

Amulius, re di Alba Longa, che spodestò Numitore (Nevio, Poet. 25.2; Livio, 1.3.10; Ovidio, Met. 14.772), probabilmente è da connettere col lat. aemulus «emulo, contendente, rivale» e da confrontare col gentilizio femm. lat. Aemilia ed etr. Eimlnei.

Mars, Martis «Marte», dio padre di Romolo e Remo (Ennio, Ann. 62; Virgilio, Ecl. 10.41), Martius (mese di marzo» è da confrontare con l’etr. Marti(-θ) probabilmente «in marzo» oppure «nella festività di Marte».

Faustulus, pastore che allevò Romolo e Remo (Varrone, Rust. 2.1.9; Livio, 1.4.6) è da riportare al lat. faustus «fausto, favorevole, propizio, di buon augurio» e probabilmente da confrontare con l’aggett. etr. hausti «fausto, favorevole, propizio» (Liber linteus X 23, f4).

Acca Larentia, moglie di Faustolo, nutrice di Romolo e Remo e divinità (Cicerone, ad Brut. 1.15.8; Livio, 1.4.7; Varrone, Lat. 6.23; Ovidio, Fast. 3.55, 4.854) (già prospettato come di origine etrusca) è da confrontare con l’etr. Acala «giugno» (Liber linteus XI 1), da confrontare con la glossa latino/etrusca Aclus «giugno», forse = “mese consacrato ad Acca Larentia”; Acale «in giugno» (Liber linteus VI 17); Acalia = lat. Accalia (o Larentalia) «feste in onore di Acca Larentia»; Acalve «relativo a giugno oppure ad Acca Larentia».

Tradizionali sette re di Roma, con la loro tradizionale cronologia:

Romulus (753-716 a.C.) è da connettere coi gentilizi lat. Romilius, Romulius e da confrontare con quello etr. Rumelna, Rumilna, Rumlna, etr. Rumate con quello lat. Romatius, tutti certamente derivati da Roma/ruma (e non il contrario!).

Numa Pompilius (715-673), il primo nome è da confrontare con quello etr. Numa, il secondo Pompilius, Pomplius è da confrontare con quello etr. Pumpli(al-x).

Tullus Hostilius (673-641) il primo nome è da riportare all’appelativo lat. tullius «getto, zampillo, cascatella» (già prospettato come di origine etrusca) e da confrontare col gentilizio etr. Tule; il secondo Hostilius è da riportare all’aggett. lat. hostilis-e «ostile» e da confrontare col gentilizio etr. Hustle.

Ancus Martius (640-616) (Ennio, Ann. 149; Lucrezio, 3.1025: Orazio, Carm. 4.7.15), il primo nome è da riportare all’aggett. lat. ancus «dal braccio rattrappito, monco» (già indiziato come di origine etrusca) e da confrontare col nome etr. Anχe «Anco».

Tarquinius Priscus (616-579) (di etnia etrusca) è da confrontare con quello etr. Tarχni(-ei), Tarχunie; Tarquinii,-orum «Tarquinia» (città etrusca) da riportare all’etr. Tarχna(-lθ), Tarχna(-lθi) «(in) Tarquinia» (locativo).

Servius Tullius (578-535) (di etnia etrusca). Servius gentilizio da riportare all’appellativo lat. servus «servo, schiavo» (già prospettato come di origine etrusca) e da confrontare col gentilizio etr. Serv(e), Servi. In etrusco Servio Tullio è conosciuto anche come Mastarna (Macstrna).

Tarquinius Superbus (535-509) (di etnia etrusca) vedi Tarquinius Priscus.

Personaggi mitologici che entrano nelle origini leggendarie di Roma:

Remus «Remo», gemello di Romolo (Ennio, Ann. 79; Cicerone, Rep. 2.4) probablmente da connettere con l’appellativo lat. remus «remo» (da *resmos, cfr. triresmon, septeresmon della Colonna Rostrale) (in una barca i remi sono due, come i gemelli) e da confrontare con i gentilizi etr. Remni, Remsna, Remzna.

Italus «Italo», re leggendario eponimo dell’Italia (Virgilio, Aen. 7.178; Hyginius Fab. 127.3), lat. italus «vitello» (Varrone, Rust. 2.5.3; Columella, 6 pr.7); Italia, Itali, tutti da confrontare con la glossa greco-etrusca ἰταλός (italós) «toro» e inoltre col lat. vitulus, vitellus «vitello», col significato originario di «popolo che ha il toro o il vitello come animale totemico» e di «terra abitata da questo popolo».

Aenea(s) «Enea», eroe troiano, figlio di Venere e di Anchise (Cicerone, Div. 1.43; Virgilio, Aen. 1.220), dal greco Αἰνείας (Aineías) è da confrontare con l’etr. Eina.

Anchises, Anchisa, padre di Enea (Ennio, Ann. 18; Virgilio, Aen. 1.617), dal greco Αγχίσης (Anchíses) è da confrontare con l’etr. Anχis «Anchise». Anχisn(-ei) «*Anchisinia», gentilizio femm.

Aemilia, figlia di Enea, madre di Romolo e Remo col dio Marte padre, deriva dal lat. aemulus «emulo, contendente, rivale» (di origine ignota) è da confrontare col gentilizio femm. etr. Eimlnei. Vedi Amulius.

Hercules «Ercole», dal greco Ἣρακλης (Herhakles) è da confrontare con gli etr. Hercale, Heracle, Hercle.

Cacus, predone ucciso da Ercole (Virgilio, Aen. 8.194; Livio, 1.7.5), è da confrontare col nome etr. Cacu, Qaχu.

Evander, Evandrus «Evandro», re arcade trasferitosi nel Lazio, sul Palatino (Virgilio, Aen. 8,52; Livio, 1.5.2; Ovidio, Fast. 1.471) dal greco Εὐάνδρα (Euándra) è da confrontare con l’etr. Evantra.

Mezentius, re di Caere, nemico di Enea (Virgilio, Aen. 7.648; Livio, 1.2.4) è da confrontare col nome etr. Mezentie.

Silvius, figlio di Enea o di Ascanio (Virgilio, Aen. 7.673; Livio, 1.3.6); Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, da riportare al lat. silva «selva», di origine incerta, ma quasi certamente etrusca in virtù dell’uscita in –l/rva come belva, caterva, larva, malva, Menerva, vulva, acervus, ecc.; Silvanus «dio delle selve», da confrontare con l’etr. Selvans, Silvanz (alternanze e/i, e/a).

Tarquetius tirannico re di Alba Longa; gentilizio Tarquitius, sono da confrontare con quello etr. Tarχvetena.

Titus Tatius. Titus prenome masch. probabilmente da connettere col lat. titus «colombaccio, colombo selvatico» e da confrontare con quello etr. Tite. Vedi Titie(nse)s.

Turnus, re dei Rutuli sconfitto e ucciso da Enea (Virgilio, Aen. 7.56, 10.479; Livio, 1.2.1), è da confrontare col gentilizio etr. Turna.

Testimonianze e prove linguistico-religiose:

Iuno,-onis «Giunone», moglie e sorella di Iupiter, è da confrontare con l’etr. Uni. Iuno Lucina «Giunone del parto» è da confrontare con i gentilizi etr. Lucini, Lucni.

Minerva, Menerva «Minerva» (dea delle arti) è da confrontare con l’etr. Menerva, Meneruva, Menarva, Menrva (alternanze a/e, e/i). Per l’uscita in –l/rva cfr. belva, caterva, larva, malva, silva, vulva, acervus, ecc.. La triade capitolina Iupiter, Iuno, Minerva quasi certamente corrispondeva a quella etr. Tinia, Uni, Menerva.

Ianus «Giano», dio della porta e dell’entrata, è da connettere coi lat. ianua «porta, passaggio, ingresso», ianus «archivolto, passaggio coperto» (di origine incerta) e da confrontare con l’etr. Iane. Vedi Ianiculum.

Angerona, dea misteriosa (Varrone, Lat. 6.23), forse legata alla morte, già prospettata come di origine etrusca è da confrontare col gentilizio etr. Ancaru, Anχaru. Cfr. due toponimi tosc. Ancherona (S. Gimignano, Poppi).

Anna Perenna (o Peranna), antica dea del ritorno ciclico dell’anno (Varrone, Men. 506; Ovidio, Fast. 3.523) è da confrontare con gli antroponimi etr. Anne, Anni, Annie.

Burnus, dio delle porte (già prospettato come di origine etrusca), antroponimo Barneus da confrontare con quelli etr. Parna, Parnie.

Fatuus, dio oracolare identificato con Faunus (Varrone, Lat. 6.55) è da confrontare con l’etr. Fatuvs.

Feronia «dea delle acque e delle messi», gentilizio lat. Feronius sono da confrontare col gentilizio etr. Feru.

Iuturna «ninfa delle fonti» (di origine etrusca per il DELL) è da confrontare con l’etr. uθur probabilmente «acqua» e inoltre con l’umbro utur «acqua» (Tav. Eug. II 6, 15) e col greco ὓδωρ (hýdōr) «acqua».

Lua «Lua», moglie di Saturno, alla quale si consacravano le armi tolte al nemico bruciandole in espiazione del sangue versato (probabilmente di origine etrusca per il DELL) è da confrontare con l’etr. Lua.

Lubitina, Libitina, Lubentina, Libentina «dea della morte e dei morti» è da confrontare con gli etr. lupu «morto», lupuce «morì, è morto».

Lustra, divinità delle lustrazioni (di origine incerta) è da confrontare con l’etr. Lustra (Liber linteus VI 10) probabilmente = «lustrazione o purificazione». ++++

Manturna, dea del matrimonio, forse da riportare a mantus «manto, velo» (di origine incerta) perché nel rito i due sposi venivano messi sotto uno stesso manto o velo?) è da confrontare con gli etr. Mantrnsl, Munθurtnal.

Neptunus «Nettuno», dio delle acque, è da confrontare con l’etr. Neθuns, Neθunus «Nettuno», coi fitonimi lat. nepeta «nepitella» e neptunia «polio» col comune concetto di «umido, umidità».

Picumnus e Pilumnus, dèi fratelli che proteggevano le puerpere e i neonati (Varrone, Gramm. 375; Servio, Aen. 9.4; 10.76; Plinio, Nat.Hist. 18.10) (già indiziati come di origine etrusca). Picumnus potrebbe essere derivato da picus «picchio», uccello profetico sacro ad Ares.

Saturnus «Saturno», dio e il più antico re del Latium, è da confrontare con l’etr. Satr(n)e (Fegato di Piacenza) . Vedi Lua.

Semo,-onis «Semone», dio delle sementi, è da confrontare con l’etr. Semu.

Silvanus, dio delle selve, è da confrontare con l’etr. Selvans, Silvanz. Vedi Silvius.

Talas(s)ius, Talas(s)io,-onis (Tha-), antico dio invocato nella cerimonia del matrimonio, secondo una leggenda, ripresa da Varrone e da Paolo-Festo (479.13) connesso col greco ταλασἰα (talasía) «lavorazione della lana», ma ritenuto di probabile origine etrusca.

Tutunus, Tutinus «Priapo», dio della fecondità (Agostino, Civ. 4.11; Arnobio, 4.7) (già prospettato come di origine etrusca) è da confrontare con l’etr. Tutuniś «a Priapo».

Veiovis, Vediovis, Vedius «Veiove», dio della vendetta, Giove infernale (Varrone, Lat. 5.74; Cicerone, Nat. 3.62; Ovidio, Fast 3.430; Marziano Capella, 2.166), è da confrontare con gli etr. Veive, Vetisl.

Vegoia, Begoe, ninfa della religione rivelata degli Etruschi, è da confrontare con gli etr. Vecuvia.

Venilia, dea o ninfa marina, madre di Turno (Virgilio, Aen. 10.76), moglie di Fauno o di Giano (Varrone, Lat. 5.72; Ovidio, Met. 14.334) (di origine ignota), è da confrontare con l’etr. Venilise probabilmente «(offerto) a Venilia» (su vaso).

Vertumnus, Vortumnus, dio dell’anno che gira o delle stagioni (Cicerone, Verr. 1.154; Orazio, Ep. 1.20, Sat. 2.7.14), è da connettere col lat. vertere, vortere «girare, volgere, voltare») (ritenuto di origine etrusca) .

Vesta, dea del focolare (Ennio, Ann. 62) (di origine incerta) è da confrontare con l’etr. Vesta.

Vitumnus, probabilmente «dio che dà la vita al neonato» (Varrone, Gramm. 152) (di probabile origine etrusca, ma deformato).

Voltumna divinità patrona della Federazione Etrusca (Livio, 4.23.5), presso il cui tempio, vicino ad Orvieto, si svolgevano le adunanze generali, probabilmente corrisponde all’etr. Veltune.

Volumna, dea protettrice dei neonati, Volumnus suo marito (Varrone, Gramm. 150; Agostino, Civ. 4.21) (ritenuto di origine etrusca) è da confrontare con i gentilizi etr. Velimna, Velimuna e inoltre coi lat. vellus, villus, vellimna «vello, pelo».

bacchanalia «baccanali», festa in onore di Bacco, che deriva dall’etr. Paχana «bacchico» (aggett.) e «baccanale» (sost.), a sua volta dall’etr. Paχie «Bacco». È appena il caso di ricordare che i baccanali passarono appunto dall’Etruria a Roma, dove però furono proibiti da un noto senatoconsulto del 186 a. C.

Taurii ludi, Taurilia, feste che si celebravano in onore degli dèi inferi (Varrone, Lat. 5.154; Livio, 39.22.1), è da connettere col lat. torus «letto funebre» e da confrontare con l’etr. θaura, θaure «giaciglio, letto funebre, sepolcro, tomba» e inoltre con l’etr. Tarils «della festa Taurilia».

A questi vanno aggiunti alcuni appellativi latini, di prevalente valenza religiosa, che quasi sicuramente sono di origine etrusca:

corona, chorona «cerchio, anello, corona» (adoperata nelle cerimonie religiose, nei trionfi, nelle premiazioni e pure nei banchetti) è da confrontare col greco κορὠνη (korhōnē) «oggetto ricurvo, anello, corona» [semplicemente omofono col greco κορὠνη «cornacchia»!], col gentilizio etr. Curuna, Xurunal (= lat. Corona, Coronius) e col toponimo tosc. Coronna (Casole d’Elsa).

fascis «fascio, mazzo», fascia «fascia, benda», fascina «fascina», fascĭnum «legame(nto) magico», che sono da confrontare con l’etr. fasci (è da ricordare che il “fascio littorio” era di origine etrusca). ++++

pileus, pilleus/m «pileo, berretto frigio», «copricapo rituale dei sacerdoti etruschi», di ovvia origine etrusca per motivi sacro-culturali e per l’uscita –eu come balteus, calceus, caseus, clipeus, culleus, cuneus, erneum, laqueus, puteus, runculeum, urceus.

sulcus «solco», anche quello della “città quadrata”, tracciato da Romolo con l’aratro (la sua etimologia corrente lascia molto a desiderare), che è da confrontare con l’appellativo etr. plur. SULXVA probabilmente «solchi» (Liber linteus X 17).

triumphus, triumpus, triumfus «trionfo militare», deriva dal greco θρίαμβος (thríambos) «inno in onore di Dioniso o Bacco», ma attraverso l’etrusco. E pure il “saluto con la mano distesa in avanti” i Romani hanno preso dagli Etruschi, presso i quali in origine era un saluto religioso, un saluto che indicava e dichiarava “pace”.

vitulus, vitellus «vitello» è da connettere col lat. italus «vitello» (Varrone, Rust. 2.5.3; Columella, 6 pr.7) e da confrontare con la glossa greco/etr. ιταλός (italós) «toro». Vedi Italus.

voltur(us), vultur «avvoltoio», uccello profetico consultato da Romolo e Remo (già prospettato come di origine etrusca) probabilmente da connettere col lat. vol(u)tus «volto, voltato, girato» (col significato dunque di “rapace che gira attorno”), tutti da confrontare col prenome e col gentilizio etr. Velθur e con gli antroponimi Velθura, Velθuriu (= lat. Volturius, Voltorius, Vulturius.

In proposito è da ricordare che la mitica fondazione di Roma, con la preventiva consultazione degli avvoltoi (voltŭres) e col solco (sulcus) tracciato sul terreno da un giogo di buoi, con la mucca all’interno e col toro all’esterno (vitulus, italus), fu fatta da Romolo secondo l’uso etrusco (more etrusco). Ed a questa speciale usanza gli Etruschi saranno stati abituati e affezionati, dato che, arrivati dalla Lidia in Italia, secondo la testimonianza di Erodoto (I, 94) e di altri 30 autori greci e latini, fondarono numerose città: una di queste sarà stata per l’appunto Roma. La stessa data tradizionale della fondazione di Roma nel 753 a. C. è molto probabile che risulti confermata proprio dalla presenza degli Etruschi nel sito. È certo infatti che essi avevano già in uso un loro calendario ufficiale, quello che iniziava col loro arrivo dalla Lidia in Italia, probabilmente nel 949 a. C., e che conservavano e osservavano con l’affissione dei clavi aurati nel tempio della dea Northia, presso Orvieto. Inoltre tutto ciò è confermato – come vedremo più avanti – da iscrizioni etrusche ritrovate proprio a Roma, alcune delle quali risalgono per l’appunto al sec. VII a. C. Tutto questo non esclude affatto la presenza nella zona di nuclei di popolazione propriamente latina, in prevalenza sulle cime dei colli, come dimostra il ritrovamento di resti di antichissime capanne sul Palatino. D’altra parte è del tutto certo che la città di Roma ha finito col conoscere un fenomeno di sinecismo, con gruppi di Latini e di Sabini affiancati agli Etruschi, come fa intendere anche la tradizione delle tre tribù originarie di Roma:

Lucĕres, Lucereses «Lùceri» (Cicerone, Rep. 2.36; Livio, 1.13.8; Varrone, Lat. 5.55) da confrontare col nome masch. etr. Lucer.

Ramnes, Rhamnes, Ramnenses (Livio, 1.13.8, 10.6.7; Varrone,, Lat., 5.55 (DELL) da confrontare col gentilizio etr. Ramnuna.

Tities, Titienses (Livio, 10.6.7; Ovidio, Fast. 3.131) probabilmente da connettere col lat. titus «colombo selvatico», che, secondo Varrone (Lat. 5.85), era un uccello augurale e che sarà stato l’animale totemico dei Tities, e da confrontare col gentilizio etr. Titie.

Si intravede che l’episodio della cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma sia stato nella sostanza un fatto di rivolta dei dominati Latini e Sabini, contro i dominatori Etruschi, ormai diventati meno numerosi in città.

Traiamo le logiche conclusioni da questi numerosi confronti e connessioni tra vocaboli (appellativi, teonimi, antroponimi e toponimi) etruschi e vocaboli romano-latini:

  1. I) Tutti, sottolineiamo “tutti” i vocaboli romano-latini relativi alla origine, mitica o storica, di Roma trovano esatto riscontro in corrispondenti vocaboli etruschi. Questa importante circostanza linguistica dimostra che a Roma gli Etruschi ci sono stati da sempre, ab initio.
  2. II) Al contrario alcuni di questi vocaboli etruschi non trovano alcun riscontro in corrispondenti vocaboli romano-latini. Questa circostanza linguistica dimostra che a Roma i Romano-Latini non ci sono stati da sempre, ab initio.

III) Esiste una perfetta continuità linguistica etrusca nella storia dell’origine di Roma come città, continuità che non risulta mai fratturata e interrotta da una stratificazione esclusivamente romano-latina.

  1. IV) Tra gli originari Latini e Sabini il sistema di denominazione più antico era quello unimembre, cioè quello effettuato col solo nomen o “nome personale»: Romulus, Remus, Faustulus, Proca(s), Numitor,-oris, Amulius. Tale sistema unimembre era tipico della forma di stanziamento umano a vici «borghi», in ciascuno dei quali la denominazione di un individuo col suo solo nomen era sufficiente per individuarlo. Invece il sistema della denominazione bimembre, nomen + gentilicium, cioè “nome personale e nome di famiglia”, oppure nomen + cognomen, cioè “nome personale e soprannome” era ed è tipico dello stanziamento umano di tipo “urbano”, cioè faceva riferimento non più ad un vicus «borgo», bensì a una urbs «città». In una città infatti non è sufficiente la denominazione di un individuo col suo solo nomen per individuarlo, ma è necessario fare riferimento anche al gentilicium della sua famiglia oppure al suo soprannome (cognomen). Ebbene il sistema della denominazione bimembre risulta conosciuto e usato dagli Etruschi da quattro o tre secoli prima dei Romani-Latini, per cui appare evidente che il sistema bimembre è stato importato dagli Etruschi a Roma quando per l’appunto essi vi fondarono la città: Numa Pompilius, Tullus Hostilius, Ancus Martius, Tarquinius Priscus, Servius Tullius, Tarquinius Superbus.
  2. V) Tutto questo è confermato dalla importantissima circostanza che le più antiche iscrizioni trovate nel sito di Roma (a Sant’Omobono, Campidoglio, Palatino, Esquilino, Cloaca Maxima) sono in lingua etrusca e non in lingua romano-latina: ( VII:3; su vaso) Vetusia (lat. Vetossia); ( sec. VIIfVIi; su vaso) Uqnus (lat. Oconius, «(è) di Oconio»); (sec. VI; su tessera d’avorio); (sec. VI:s; su patera) Mi Araziia Laraniia («io (sono) Arruntia *Larania»); (arc., su vaso) mi Aniθ( «io (sono) di Anidio»; (sec. VIIsVIi; su patera: mi mu[lu Larisal]e Velχainasi «io donato da Laris Velcenna» oppure «io donato a Laris Velcenna»; (sec. VI:s; su vaso: Ana = lat. Anius. E dunque si tratta evidentemente di iscrizioni molto precedenti a quelle latine. Si sa infatti che la più antica iscrizione in lingua latina trovata a Roma è quella del Lapis niger, la quale risale appena alla metà del sec. VI ed inoltre risulta del tutto isolata. E c’è da aggiungere e sottolineare che le antichissime iscrizioni etrusche rinvenute a Roma dimostrano all’evidenza che il centro abitato era ormai una urbs – una città etrusca appunto – dato che l’esigenza di comunicazioni scritte è molto più frequente e pressante in una urbs che non in un vicus.
  3. VI) Sul piano della evidenza archeologica e linguistica, la documentazione dei su citati vocaboli etruschi non soltanto risulta essere prevalente, ma risulta anche essere precedente, anche di molto, alla documentazione dei corrispondenti vocaboli romano-latini. E questa prevalente ed anche precedente documentazione linguistica etrusca non può essere spiegata in altro modo: nel sito dove sorse Roma come città gli Etruschi c’erano stati prima e più numerosi e più forti dei Romano-Latini.

Sunto e conclusione ultima: a detta di Dionigi di Alicarnasso, una dozzina di scrittori antichi sostennero che Roma era un città etrusca; la quale notizia viene confermata dai numerosi e importanti dati linguistici su esposti e delucidati. A giudizio dello scrivente, la “prova regina” della sua tesi è quella storiografica, mentre quella linguistica è di supporto e di conferma.

Codicillo: a quale delle città etrusche è presumibilmente da attribuirsi la fondazione di Roma come “città”? Le città etrusche più vicine al sito erano Veio e Caere (Cerveteri); però l’accertata e sicura presenza nella Roma primitiva della dinastia dei Tarquini induce a privilegiare come fondatrice della città di Roma appunto la città etrusca di Tarquinia, che era poco più distante delle altre due dal sito prescelto.