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IL LIBER RITUALIS DELLA MUMMIA DI ZAGABRIA: Tradotto e commentato (STUDI ETRUSCHI Vol.10)

IIIª edizione riveduta e migliorata

Il cosiddetto Liber della Mummia di Zagabria è il testo più lungo che possediamo della lingua etrusca. Esso è chiamato in questo modo perché risulta custodito nel «Museo Archeologico» di Zagabria. È detto Liber linteus «libro di lino» perché è costituito da una fascia di lino lunga circa 13 metri e larga circa 40 centimetri.

Fino al presente non si conosceva per nulla il modo e il motivo per i quali questa fascia fosse finita in Egitto; si era parlato in termini molto generici di un probabile “piccolo stanziamento” di individui di nazionalità etrusca nell’Egitto dei Tolomei, ma in realtà non si era fornita alcuna prova di ciò. A giudizio dello scrivente esiste con grande probabilità una ragione precisa della presenza del Liber in Egitto. Si deve premettere che gli aruspici etruschi godevano di larga fama a Roma, fino ad un’epoca molto avanzata. Si tramanda che ancora nel 408 d. C., durante l’assedio di Roma, aruspici pronunciarono maledizioni in lingua etrusca per lanciare fulmini sui Visigoti di Alarico. Essi erano consultati anche dai comandanti degli eserciti romani prima di prendere le loro decisioni importanti. Ebbene, a giudizio dello scrivente il Liber molto probabilmente arrivò in Egitto con qualche aruspice che seguiva un esercito romano, ad iniziare da quando si insediò in Egitto Marco Antonio nell’anno 52 a. C.

Deceduto l’aruspice e finita dunque la sua attività di divinazione, la fascia di lino non fu più compresa nella sua natura e destinazione, per cui fu tagliata a strisce e adoperata, in maniera impropria, per fasciare una mummia.

Col passare dei secoli la mummia fu acquistata in Egitto nel 1848 da un collezionista croato e in seguito, nel 1867, fu acquisita dal Museo di Zagabria. Qui a un certo punto fu deciso di svolgere le bende della mummia e si constatò che esse contenevano un lungo testo, scritto in inchiostro nero su 12 colonne di circa 35 righe, con una impaginatura di linee in inchiostro rosso. Nel 1892 l’egittologo Jakob Krall, con una sua accurata pubblicazione, dichiarò e dimostrò che il testo era scritto in alfabeto e lingua etruschi, col normale andamento sinistrorso.

Nelle circa 200 righe conservate del Liber risultano scritti quasi 1.200 vocaboli, i quali però, tolte le numerose ripetizioni, si riducono a essere poco più di 500. Probabilmente il Liber costituisce la trascrizione, effettuata nel I secolo a. C., di un testo originario del V secolo, di area etrusca centro-settentrionale.

Com’era ovvio, il Liber attirò subito l’attenzione di tutti i linguisti che avevano interesse per la lingua etrusca e da allora esso è diventato il testo classico di questa lingua, del quale si sono interessati tutti i linguisti successivi. La bibliografia relativa a questo testo è immensa e praticamente si identifica quasi del tutto con quella relativa alla lingua etrusca in generale.

I risultati finora acquisiti dagli etruscologi intorno a questo importantissimo documento sono in primo luogo di carattere generale e in secondo luogo di carattere molto particolare.

Si è compreso abbastanza presto e abbastanza facilmente che il Liber è un «calendario liturgico», il quale registra le cerimonie o i riti dell’intero anno liturgico, con l’indicazione del mese e talvolta anche del giorno. Esso infatti è composto di 12 “colonne”, tante quanti sono i mesi, dei quali noi conosciamo, sia dal Liber stesso sia da glosse latine o greche, il nome, escluso quello di febbraio: ANIAX «gennaio», MARTI o Velcitanus «marzo», APIRE o Cabreas «aprile», AMPILES «maggio», ACALE/Aclus «giugno», Traneus «Luglio», Ermius «agosto»; Caelius, Celius «settembre», Xosfer «ottobre», PACUSNAŚIE «novembre», MASN «dicembre».

Le cerimonie o i riti risultano effettuati in onore di quasi tutte le divinità etrusche, maggiori e minori, cioè Tin(i)a, Giunone, Apollo, Nettuno, Saturno, Cerere, Lucifera, Lusa, Lustra, Maris, Tarconte, Tecum (= Genio Protettore), Terra, Tuchulcha, Veiove, Volta. E risultano pure indicate varie preghiere, le offerte, le vittime dei sacrifici, assieme con arredi dei vari riti e con gli atti rituali. Tutto ciò è relativo a sacrifici che un sacerdote, assieme coi suoi assistenti, effettua a favore di una o più città, delle loro popolazioni, cittadine e contadine, e delle loro leghe o federazioni.

I risultati di carattere particolare acquisiti dai linguisti fino al presente consistevano nella traduzione di poche e brevi frasi. Lo scarso numero e la brevità di queste frasi effettivamente tradotte induceva ovviamente ad affermare che rispetto alla questione della “traduzione” era ancora tutta in alto mare e che quanto un etruscologo poteva in effetti affermare era semplicemente una “interpretazione generale” del documento. Era questo infatti l’esatto titolo di uno dei più impegnati tentativi effettuato da uno dei più autorevoli etruscologi: Karl Olzscha, Interpretation der Agramer Mumienbinde (Leipzig 1939; ristampa 1979).

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Massimo Pittau (Nuoro, 6 febbraio 1921) è un linguista e glottologo italiano, studioso della lingua etrusca, della lingua sarda e protosarda. Ha pubblicato numerosi studi sulla civiltà nuragica e sulla Sardegna storica. Le sue posizioni riguardo al dialetto nuorese (massima conservatività nell’ambito romanzo) sono vicine a quelle del linguista Max Leopold Wagner con cui è stato in rapporto epistolare. Nel 1971 è entrato a far parte della Società Italiana di Glottologia e circa 10 anni dopo nel Sodalizio Glottologico Milanese. Per le sue opere ha ottenuto numerosi premi.

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