Straordinarie storie di vita: Dana Plato e Gary Coleman
Cioè, a volte noi tendiamo ad essere superficiali. Anche io che, adesso lo so, sarei capace di scrivere una intera enciclopedia di seghe mentali sulla posizione di una virgola e sulla sua stessa essenza. Poi, a volte, quando meno te lo aspetti senti qualcosa, una notizia, un gossip, una scoreggia che ti dà da pensare, e apre una finestra di ricordi. Infine, tra quei ricordi, quasi come stessi pescando dentro una cesta di preziosi, ti capita di catturare delle perle rare, di trattenerle almeno per un momento con te, in te. Perle che non avresti mai pensato fossero tali, che non avresti mai pensato importanti, a modo loro.
Una simile cosa mi è capitata ieri quando ho sentito che Dana Plato era morta. Dana Plato? Chi era costei? Il nome mi ricordava qualcosa, anche se io ho una memoria a due velocità. Ma per fortuna oggidì è facile scoprire chi era Dana Plato e una ricerca in Rete mi ha permesso di ricordare che Dana Plato era stata proprio la bella attrice che aveva fatto vivere il personaggio di Kimberly Drummond nella serie televisiva americana “Diff’rent Strokes” (1978-1986). Questa sit-com era nota in Italia con il titolo “Il mio amico Arnold”, in omaggio al personaggio principale Arnold Jackson, al secolo Gary Coleman.
Ma di Coleman ne parlo dopo. Ne parlo dopo perché scoprire che questa ragazza, che aveva interpretato un personaggio fictional amato al tempo della mia infanzia per la sua cortesia, gentilezza, bellezza, per quella sua semplicità d’animo aperto agli altri, era morta a soli 35 anni, ebbene sì, mi ha colpito. E mi ha colpito in maniera ancora più importante il venire a sapere della caduta verticale nella sua vita: in taverna si direbbe che è passata dalle stelle alle stalle. E le stalle comprendevano la droga, il lavoro precario, la morte del figlio, la depressione, l’impossibilità del ritorno. Ma perché mi importa così tanto di quest’altra vita dimenticata, mai sfiorata direttamente? Perché, lo comprendo solo adesso, a suo modo quella vita mi ha dato qualcosa. La sua arte mi ha dato qualcosa. Sogni di bambina, forse, però mi ha dato qualcosa.
Curioso! Noi non diamo mai troppo peso al valore del dono che sa di leggerezza. Pensiamo, quasi in automatico, che sia più importante conoscere a memoria tutta la cogitazione filosofica dei greci antichi, o le perle più sublimi di Nietzsche. Non è così! C’é una ricchezza, una grazia, e dunque, fondamentalmente, un insegnamento che possono consegnarci solo i momenti “leggeri” ma in qualche modo amati, perché poi, nel tempo, proprio quelli diventano ritaglio che racconta anche noi stessi, chi eravamo, come siamo stati, in ultima come siamo adesso, cosa siamo diventati.
Forse la notizia della morte di questa ragazza mi ha dunque “toccato” più del dovuto perché c’era un “grazie” che ancora non era stato detto e quindi voglio dirlo qui. Ma non solo a lei, anche allo stesso Gary Coleman che interpretava il mirabile Arnold Jackson, il ragazzino nero adottato da una famiglia bianca che viveva pure lui, con una “leggerezza” tutta speciale, le difficoltà di indossare un colore sbagliato della pelle in un’America ancora profondamente razzista come era quella degli anni 80. Fuori dallo schermo la vita di Coleman è stata finanche più martoriata di quella della Plato e anch’egli se n’é andato relativamente giovane, a soli 42 anni, nel 2010.
Le stelle davvero brillanti, gigantesche, bruciano velocemente il loro idrogeno e muoiono giovani creando supernove memorabili: mi chiedo se lo stesso principio di burn, burn, burn non si applichi anche alle nostre anime. Non per altro, ma perché, nel caso, c’é davvero da preoccuparsi: io sono ancora qui!
Rina Brundu