Filosofia dell’anima – Dell’ammirazione. Da Totò a Nick Vujicic
Ho già scritto in altra occasione di considerare l’ammirazione la disposizione d’animo più nobile che ogni individuo possa provare per un suo simile: way better della cosiddetta amicizia e delle questioni da romanticume stile casalinga di Voghera (o 27sima ora), dove nel migliore dei casi si è vittime dell’effetto dopamina e nel peggiore è tutta questione di un unico neurone collocato sulla punta del cazzo ma determinassimo a starsene colà appollaiato.
Non vi è, credo, nessun’altra disposizione dello spirito che come l’ammirazione connoti sempre e solo al positivo, che si proponga sempre onesta, malgrado tutto. L’ammirazione è un qualche cosa che “funziona” persino indipendentemente da noi stessi, dalla nostra volontà, dai paletti che ci impone la nostra educazione, dal nostro naturale sentire, dalle lezioni imparate per esperienza diretta. In realtà, noi arriviamo finanche ad ammirare le gesta scaltre di un pericoloso bandito ben sapendo che le stesse hanno procurato solo dolore. Oppure ammiriamo una qualità estetica o artistica in un individuo che detestiamo, che non ci piace sotto altre prospettive; last but not least possiamo tranquillamente ammirare un pazzo per il suo coraggio.
Ma in genere, e qui mi ripeto, l’ammirazione connota sempre e solo al positivo. Ho spesso scritto, ed è ancora scritto nella mia pagina di questo sito, che ho sempre avuto un’ammirazione sconfinata per Totò. Dietro questa particolare “ammirazione” ci sono anche motivazioni-altre che risalgono a tanto tempo addietro, al tempo della mia infanzia, e sono prettamente private, ma c’é soprattutto una sintonia-dell’anima che è difficile spiegare completamente. L’arte di Totò mi ha sempre parlato, mentre tale “intesa” spirituale non è mai stata scalfitta né quando quest’artista ha recitato in film come “Che fine ha fatto Totò baby?” né quando si impuntava ad usare l’accento napoletano nobile, ovvero negli unici due momenti in cui ho sempre preferito cambiare canale anche quando in tv c’era Totò. Naturalmente, nel tempo si cambia, anche i gusti cinematografici si raffinano, ma è pur vero che un sentimento d’ammirazione non scompare mai completamente.
Sempre nella mia pagina di Rosebud è scritto che io ammiro un’altra persona: Nick Vujicic. Chi è Nick Vujicic? Nick è un ragazzo australiano affetto da una rara malattia genetica: la tetramelia. Detto in parole povere significa che è nato senza gambe e senza braccia. La sua malattia è stata un “duro” colpo per la famiglia e per lui stesso quando ha “realizzato” come sarebbe stata la sua vita. Davanti ad una simile situazione alcuni si suicidano, altri scappano, in molti si affidano alla religione, l’oppio più potente. I signori Vujicic hanno trovato rifugio tra le braccia aperte dei propugnatori di un altro di quei culti che nei Paesi anglossassoni nascono come funghi e il cui loro maggior risultato è sempre stato quello di produrre predicatori assolutamente capaci; capaci persino di venderti la tua stessa anima. Da noi li produce la politica e per lo più vendono pentole, ma gli australiani e gli americani sono decisamente di miglior qualità.
La maggior differenza è data inoltre dal tratto “inspirational”, motivazionale dei loro discorsi, laddove la predicazione diventa nei casi più encomiabili affermazione del discorso di buon senso, affermazione del discorso che dà comunque speranza. Non sono certamente questi personaggi, per quanto bravi, ad avere scoperto quella specie di effetto placebo che date manifestazioni dello spirito di alcuni producono nella psiche di altri, ma è vero che codesti predicatori in qualche caso sono riusciti a trasformare la capacità oratoria in una vera e propria arte. In un’arte che in alcuni casi salva la vita, proprio come è successo a Nick. Nel tempo lo stesso Nick è diventato un predicatore, ha visitato scuole, ha tirato fuori un coraggio da leone riuscendo finanche a ridere della sua malattia e del suo modo di affrontarla.
Ma, se debbo essere completamente onesta, non è per questo che io ammiro Nick Vujicic. In verità (e mi domando se questo lo sorprenderebbe), io l’ammiro per tutti gli altri suoi momenti, per quelli in cui il “peso” della sua esistenza lo vince e vorrebbe, come ha già tentato spesso di fare, farla finita. Personalmente spero che un giorno possa riuscirsi e concedersi la pace dell’anima che si merita, ma vero è che se lui non fosse vissuto io non l’avrei ammirato e dunque non avrei imparato le grandi e importanti lezioni che la sua vita insegna. Nella vita di Nick Vujicic c’é l’alfa e l’omega, c’é il tutto e c’é il niente. La sua stessa esistenza sublima ogni sentimento, lo rende inutile, nonché rende inutile ogni nostro pensiero buono o cattivo, stupido o brillante. Davanti alla banalità del suo quotidiano impallidiscono anche i pensieri dell’uomo elefante, al secolo Joseph Merrick (1862 – 1890), il quale sognava una sposa cieca in modo che non potesse vedere il suo sembiante… diverso.
La vita di Nick Vujicic è la voce dell’universo che ti parla, che fuori dai denti ti dice che vivere è rischiare, che vivere è morire in ogni momento, che nascere è semplicemente una corsa a morire, poi se c’é altro… qualcosa di nascosto nel background… qualcosa di eterico… qualcosa di metafisico… be’ quelli per il momento non sono cazzi tuoi, zitto e respira! La vita di Nick Vujicic è una sfida fondamentalmene stupida che nella sua stupidità comanda rispetto e ammirazione a chiunque sappia fermarsi a pensare. La vita di Nick Vujicic è occasione buona per tirare fuori il Diogene in noi, oppure per piangerci addosso quando comprendiamo che siamo lontani da cotanta saggezza anni luce e che ad avvicinarci ad una simile stella non serviranno né diplomi né lauree né onoreficenze né claims-to-glory discutibili. La vita di Nick Vujicic è spia di un’altra dimensione che esiste, deve esistere, e in qualche modo ci guarda. La vita di Nick Vujicic è la sua ma anche la nostra. È fondamentalmente un dono che in fondo racconta pure me che mi sono voluta fermare qui a considerarla. Per questi e altri motivi io ammiro Nick Vujicic e mi paiono tutti più che sufficienti.
Mi è inoltre già capitato di scrivere che tra tutte le persone che io ho incontrato virtualmente o di persona, la mia ammirazione incondizionata va al prof Roberto Renzetti e al prof Massimo Pittau. Li ammiro per motivi diversi, fermo restando che a loro modo entrambi mi insegnano, mi hanno sempre insegnato. Di Roberto Renzetti, che non ho mai incontrato personalmente, ma che ho conosciuto tramite i suoi scritti, il suo sito, qualche raro scambio via email, mi ha sempre colpito il know-how ma soprattutto la forza, il coraggio nell’esprimere e nel far conoscere il suo pensiero. L’esempio che ha dato durante l’immonda campagna renzista per lo stupro della nostra Costituzione è un esempio mirabile. Un esempio degno del miglior Diogene che forse avrebbe osato anche qualcosina in più ma lui aveva il vantaggio di non avere tra i maroni la Boldrini che invoca la censura dell’web: altri tempi!
Roberto Renzetti è in fondo lo spirito che vorrei essere quando avrò qualche anno in più, se mai l’avrò, ed è sicuramente un qualcuno il cui coraggio vorrei fare mio, così come vorrei fare mio il suo know-how. La stessa cosa vale per Massimo Pittau che lo scorso 6 febbraio ha compiuto 96 anni, ma che ancora mostra tutta la prontezza del giovanotto, tutto lo spirito battagliero di sempre unito alla cordialità che pertiene solo agli spiriti più capaci.
Infine, debbo fare una imbarazzante confessione. Una confessione che mi porterà altre accuse di arroganza e di essere refrattaria al dettame cattolico dell’umiltà a tutti i costi, ma chi se ne frega! Se Diogene arrivava a masturbarsi in pubblico, io posso sbattermene dei dogmi moralistici del cattolicesimo più falso e ipocrita (per la masturbazione pubblica vediamo poi). Di fatto già da qualche mese ho scoperto che c’é un’altra persona che io ammiro più di quanto avessi mai pensato: sono io. La scoperta è stata una delle più sconvolgenti della mia vita. Dalla stessa non mi sono ancora ripresa, ed è un poco come dire che sono ormai sulla strada dell’irrecuperabilità al politically-correct, anche etico, richiesto dai tempi boldriniani che viviamo. Ma naturalmente vi prego di non dare questa imbarazzante (?) notizia né a Romeo (quello della Raggi), che poi mi potrebbe intestare una polizza, né ai gaglioffi renzisti che troverebbero finalmente nuovo motivo per considerare le pagine di questo sito… carta straccia virtuale con cui non ti puliresti neanche il culo! Una roba altrettanto spigolosa dei tablet di Travaglio, insomma, ed è tutto dire dopo che colui ha sbattuto in prima il fuori-onda accusatorio del fido Del Rio e i nuovi pasticci poco nobili del papà del ducino! Ci sono cascata un’altra volta: dai predicatori inspirational ai venditori di pentole… irrecuperabile, appunto!
Rina Brundu
Carissima Rina,grazie innanzitutto per il tuo gradevole e completo blog che spazia dalla misera anima politica nostrana ai piu’ nobili sentimenti dell’animo.Personalmente di fronte a questa voglia di vivere mi sento io l’handicappato.Ai soliti benpensanti che pensano di essere fortunati rispetto a una grande intelligenza come quella di Nick Vujicic vada il mio quotidiano vaffa… a te buona domenica e come al solito buon lavoro :-)))