Il nuovo Papa tra rinnovamento e tradizione

di Michele Marsonet.
In pratica nessuno si aspettava che il cardinale Robert Francis Prevost, originario di Chicago, diventasse il primo pontefice statunitense della Chiesa cattolica. Sicuramente non era indicato tra i papabili né pare che lui stesso si attendesse l’investitura.
Il suo pontificato promette di essere interessante per molti motivi. Innanzitutto ha sempre avuto un occhio di riguardo per il Sud del mondo. Ha trascorso in Perù gran parte della sua vita, sino ad essere incardinato nella sede peruviana di Chiclayo. Ciò significa che conosce profondamente l’America Latina, fatto non comune per un prelato nato e cresciuto negli Usa. Oltre a questo appartiene all’Ordine di Sant’Agostino, di cui è stato per molti anni Priore generale.
Sin dal suo primo discorso ha tenuto a ribadire che la sua spiritualità è prettamente agostiniana, e non è fatto di poco conto. Si tratta infatti di un tipo di spiritualità che si basa su un forte senso di interiorità: la ricerca di Dio si compie attraverso la preghiera e l’amore, ponendosi sempre al servizio degli altri, e in particolare dei più svantaggiati.
A tali principi il nuovo pontefice si è ispirato nel corso della sua vita, senza tuttavia assumere pose eclatanti che lo ponessero in particolare luce. In questo senso è vicino per molti aspetti a Papa Bergoglio, ma se ne differenzia per una maggiore sobrietà negli atteggiamenti esteriori.

Come sempre accade quando viene eletto un nuovo pontefice, tutti cercano di capire a quale schieramento egli appartenga. Obiettivo non facile da raggiungere. Prevost è infatti progressista per quanto riguarda le tematiche sociali. Il fatto che abbia assunto il nome di Leone XIV indica, come egli stesso ha rulevato, una continuità con Leone XIII, il Papa autore della celebre enciclica “Rerum Novarum”, destinata a fissare le basi della “Dottrina sociale della Chiesa” e considerata valida ancor oggi.
Su altri temi, invece, il nuovo pontefice è conservatore. Basti citare le sue posizioni sulle teorie wokiste del “gender”, sul sacerdozio femminile e sull’omosessualità. Un Papa, insomma, difficilmente inquadrabile nelle categorie classiche.
Una cosa sembra certa. Leone XIV è nettamente contrario alla desacralizzazione di Gesù Cristo, da molti oggi considerato soltanto una sorta di “guru”. Insiste invece sul carattere divino della sua figura, notando che, in assenza di tale riconoscimento, lo stesso cristianesimo non avrebbe più senso. Sempre in stile agostiniano, adotta inoltre una visione lineare – e non ciclica – della storia, destinata ad andare nella direzione di un sempre maggiore avvicinamento a Cristo.
Ma c’è un altro elemento destinato a pesare sul suo futuro magistero. Papa Prevost non concorda con le politiche sull’immigrazione dell’amministrazione Trump e, a tale proposito, si è già scontrato con il vicepresidente Usa J.D. Vance, che si è convertito al cattolicesimo in tempi abbastanza recenti. Non farà quindi sconti a Donald Trump e al suo gruppo dirigente su molte tematiche importanti.
La profonda spiritualità agostiniana prima citata lo aiuterà molto a creare ponti e a porre gli ultimi al centro dell’attenzione, in ciò favorito anche dalla crescita della comunità cattolica Usa negli ultimi decenni. Tutti hanno già capito, però, che Leone XIV non sarà un clone di Papa Francesco.

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