Dalla Repubblica di Weimar al “caso” Vespa.

di Rina Brundu Eustace.
Molto spesso mi chiedo che cosa avrei potuto fare, quando ero giovinetta, quando ero una studentessa universitaria, per ovviare al brainwashing mediatico che specialmente in quei tempi analogici condizionava tutto il nostro esistere: il mondo che ci circondava era di fatto un costrutto mediatico ed ogni elemento che lo costituiva era a suo modo una parte di un “utilizzabile” di tipo heideggeriano che spingeva e giustificava il divenire delle nostre stesse esistenze. Mi rendo conto, adesso, che alla stregua di un pesce rosso condannato dentro i limiti della sua vaschetta, io potevo fare poco e nulla. Tutto ciò che potevo fare era sperimentare. Da una prospettiva filosofico-quantistica questo non è neppure un male perché la comprensione effettiva è consequentia rerum, più precisamente è conseguenza dell’esperienza fatta. In altre parole, solo dopo averla sperimentata io posso oggettivare quella tipologia di “brainwashing” e quindi farla oggetto di studio, oggetto d’analisi. Nel mio caso sono serviti quasi cinquant’anni per comprendere tutto questo, nonché una determinazione importante nel volere capire il mondo tridimensionale che mi circondava per come era e non per come veniva presentato. Il mio percorso non è stato neppure facile, ma oggi come oggi posso certamente affermare di essere pronta in qualsiasi momento al ritorno allo stato quantico portando con me una viva coscienza di ciò che sono stata, di ciò che siamo stati come generazione, e della natura illusoria della particolare coperta spazio-tempo che abbiamo intessuto. Raggiungere questa capacità di oggettivazione è un traguardo non da poco. Si tratta di un traguardo che rafforza anche la nostra capacità di studio e di analisi, la nostra capacità critica a tutto tondo, la quale può risultare utile anche quando ci si ferma a riflettere su tutto ciò che accade attorno a noi.
Ieri, per esempio, non ho potuto fare a meno di paragonare l’Italia mediatica dei tempi agli anni della Repubblica di Weimar, ovvero a quel periodo tra il 1919 e il 1933 che precedette il tempo del Terzo Reich in Germania. Causa la speculazione politica sul fascismo e sul nazismo portata avanti soprattutto a sinistra dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono pochi coloro che ricordano il clima di grande violenza che caratterizzò quei fatidici 14 anni. Di fatto, si trattò di un’età in cui ogni atto aggressivo e prepotente, a destra come a sinistra, si autolegittimava, era funzionale al mondo ricreato.
Ed ogni scusa era buona per giustificare ogni assassinio, ogni gesto vile, ogni esecuzione perpetrata senza soluzione di continuità ad ogni ora del giorno e della notte. Non sarebbe esagerato affermare che durante la Repubblica di Weimar la violenza è diventata un’arte sofisticata che più tardi avrebbe raggiunto momenti mediatici sublimi grazie agli exploit del criminale nazista Joseph Goebbels.
Sì, il criminale nazista Goebbels mi è tornato alla mente ieri mentre leggevo alcuni titoli su svariati giornaloni e giornaletti italiani all’indirizzo del giornalista Bruno Vespa. Faccio due premesse: 1) Io nel momento in cui scrivo non ho rispetto alcuno né per il cosiddetto “giornalismo” né per i cosiddetti “giornalisti”; 2) Non ho mai amato Bruno Vespa, che a miei occhi è solo un altro di quei tanti personaggi mediatici che si fanno emblema dell’anti-intellettualismo tout-court. Tuttavia, leggendo le offese gratuite contro questa persona – offese scritte nere su bianco su giornaletti analogici che ancora oggi una buona parte della popolazione considera fonte di notizie, offese scritte nero su bianco da cosiddette “firme” note – non ho potuto che provare un sentimento di empatia nei confronti di quest’altra coscienza incarnata vittima dell’universo distopico che egli stesso aveva contribuito a creare. Così funziona il mondo quantico: ciò che va fuori è destinato a ritornare in un loop infinito che troverà pace solo quando il cerchio si sarà chiuso in maniera perfetta.
Perché butto giù queste riflessioni? Perché ritengo che – facendo tesoro delle nostre esperienze analogiche – le generazioni future possano avere fin da subito una maggiore awarness del costrutto artificiale che è il mondo che li circonda. Per la verità, le generazioni future vivono già in un mondo in cui l’azione di “brainwashing” mediatico procurato dai byproduct stampati dall’azione politica corporativa (i.e. i giornali), o dai cosiddetti approfondamenti-televisivi che turlupinavano le menti delle passate generazioni, è notevolmente diluita. Tuttavia, vuoi per una data lazyness mentale, vuoi per una effettiva incapacità di elaborazione intellettuale, esiste ancora oggi una grande fascia di popolazione che non ha possibilità effettive di eludere questa sorta di reiterato lavaggio del cervello di tipo cultico. Per costoro servirà tanto tempo, tanto altro tempo ancora… ma dato che ogni lungo viaggio inizia con il primo passo, se questo mio invito alla riflessione servisse a far fare tale primo passo anche ad una sola coscienza-incarnata, il tempo speso per oggettivarlo nero su bianco ne sarebbe comunque valso la pena.











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