Filosofia Quantistica – La lezione di tennis e di vita di Lorenzo Sonego

di Rina Brundu Eustace.
Negli ultimi due anni, un’esperienza che mi ha toccato profondamente e a cui senza esitazioni riconosco il merito di avere creato in me la stessa straordinaria ricchezza interna regalatami da diversi miei recenti studi, è stato il seguire con grande attenzione l’ascesa ai massimi livelli del tennis professionistico di Jannik Sinner. Naturalmente, questo inatteso surplus di valore etico (scrivo inatteso perché proveniente dal mondo dello sport, ovvero da un mondo che usavo ritenere figlio di un dio dotato di minor intelletto), non l’avrei mai potuto apprezzare in pieno se non mi fossi dedicata alla filosofia quantistica durante l’ultima decade. Si tratta di un elemento che è fondamentale sottolineare, perché la maniera con cui avrei seguito Sinner da ragazza, sarebbe stata molto diversa, ovvero sarebbe stata quella solita della tifosa partigiana e scalmanata prona a creare idoli che spesso e volentieri non passano mai il test di uno scrutinio più attento, men che meno quello del tempo. Essendo stata giovinetta in quei mirabili anni ’80 che portano alla memoria anche tanti ricordi sportivi epici, oggi come oggi posso affermare che l’unico di quei datati “eroi” che è forse riuscito a passare tale difficile esame è stato Dino Zoff (dico “forse”, e Zoff mi perdonerà, perché non conoscendolo personalmente il dubbio è legittimo). Naturalmente, la colpa non era di quei cosiddetti eroi sportivi, ma piuttosto la nostra, nonché della totale incapacità della mia generazione di vedere oltre il continuato brainwashing mediatico; la colpa era della nostra assoluta incapacità di togliere dal viso la maschera prodotta dal forte condizionamento culturale imposto dai rozzi mezzi analogici disponibili in quell’età: la radio, la televisione, i giornali cartacei, and so and so forth. Intendiamoci: riuscire a rimuovere tale maschera mediatica invalidante non era e non è un compito semplice; si tratta piuttosto di un esercizio di crescita e di conoscenza che sovente prende tutta la vita per completarlo, costa fatica, studio, impone determinazione e concentrazione, nonché una notevole capacità di critica e di visione out of the box. Tuttavia, quando si riesce a terminare tale… esercizio, i rewards offerti da un simile sforzo intellettuale sono importanti. Per quanto mi riguarda una di queste ricompense è stata proprio la possibilità di capire l’ascesa di Sinner da prospettiva quantum, dunque di arricchirmi della sua stessa esperienza di vita. Seguendo questo campione sportivo ho compreso meglio cos’è la determinazione, la concentrazione, la delusione, la sofferenza e soprattutto la resilienza. Ho imparato il rispetto dell’avversario, finanche dei suoi supporters, un’idea che nei mitici* anni ’80 non mi avrebbe mai attraversato la mente causa il vivere il tifo sportivo con la sola pancia. A dirla tutta, un’analitica dell’ascesa di Jannik Sinner da prospettiva quantum insegna tante altre verità fondamentali, anche se si tratta di argomenti che non è opportuno riportare su una pagina internet, specialmente in lingua italiana, non essendovi in Italia un fondamento intellettuale e culturale per questa tipologia di discorsi come ho sottolineato più volte. Rimanendo su concetti più banali e semplicistici, si può comunque sottolineare che l’avere seguito la carriera di Sinner così da vicino mi ha permesso di godere appieno dell’intrinseca qualità estetica che produce la “fatica del vivere”, finanche quando si nasce predestinati, come è senz’altro il caso del campione altoatesino; mi ha permesso quindi di meglio apprezzare lo stesso concetto di “predestinazione” che come sappiamo non arriva dal nulla – nulla arriva dal nulla –, ma è piuttosto consequentia rerum, in questo caso è conseguenza delle cose, quando per “cose” si intende il più generale percorso seguito dalla sua higher soul.
Ciò premesso, è anche per questi motivi che due giorni fa non ho potuto che sollevare un sopracciglio quando la stampa anglosassone (seguita a pappagallo, e con un giorno di ritardo, da quella italiana, come sempre avviene), inneggiava alla nuova stella tennistica che sarebbe esplosa all’improvviso (come tutte le stelle degne di questo nome, del resto), dopo avere sconfitto in maniera categorica (si fa per dire) lo straordinario e mirabile Andrey Rublev (7-6, 6-3, 7-6). La stella in questione era il diciottenne brasiliano Joao Fonseca, salutato da tutti codesti cronisti dall’occhio acuto, ma dall’etica sportiva incerta, come il nuovo Sinner o il nuovo Alcaraz. Ricordavo questo professionista, un bravo atleta certamente, ma la lezione di tennis che gli diede Matteo Berrettini durante l’ultima Coppa Davis non era neppure troppo datata. Inoltre, per me che conosco bene anche le molte menate e le campagne mirate dei legacy media americani e inglesi, diventava impossibile non vedere nel giovane Joao la nuova vittima sacrificale mediatica in chiara funzione anti-Sinner. Anche se nessuno lo scrive, la verità recita infatti che i cronisti anglosassoni (e non solo i cronisti), hanno sempre mal sopportato l’ascesa dell’attuale numero uno del mondo ai vertici ATP e attendono come rapaci il momento – perché anche quel momento verrà, come è nella natura delle cose – in cui il tennista altoatesino dovrà mettersi da parte. Mi chiedo: ma se la partigianeria di questi personaggi la conosciamo bene, in campo sportivo, in campo politico, in campo strategico-militare, perché la stampa italiana deve accodarsi dando il suo ridicolissimo contributo alla creazione del nuovo “mostro”? Me lo chiedo perché – e anche questo occorre sottolinearlo – il “mostro” creato non era roba da poco, quanto piuttosto una versione digitale e altrettanto terrificante delle creature che abitano i racconti gotici alla Mary Shelley e quelli del miglior Stephen King. Detto altrimenti, a causa dei titoloni di codesti sobillatori di professione, abbiamo dovuto vedere un ragazzino imberbe – a sua volta prima vittima incolpevole del deleterio status-quo – che aizzava la folla in delirio alla maniera di un Caligola impazzito o di un Nerone dei tempi.
Fortunatamente, se il servilismo e l’imbecillità della stampa tradizionale – specie italica – è una malattia con cui dovremo continuare a vivere per qualche altro tempo ancora, a rimettere la palla al centro, in tutti i sensi, ci ha pensato un monumentale Lorenzo Sonego; un tennista italiano di 29 anni che stanotte è stato protagonista di una partita di tennis e di un momento sportivo epico stile anni 80. Dato da tutti come la prossima “vittima” del “grande Joao”, finanche ignorato in una maniera irriverente e non scusabile, nei post ufficiali dell’Australian Open precedenti l’incontro, Lorenzo Sonego è sceso in campo determinato a dare all’anelante Joao, e con lui a tutti noi, una grande lezione di tennis, una grande lezione di umiltà, una grande lezione di vita. Proprio come Sinner, Lorenzo ci ha ricordato che “nulla viene dal nulla”; ci ha ricordato il valore dell’esperienza, il valore della fatica, il valore della serietà. Non si tratta di quisquilie se consideriamo che concetti come quello della “serietà” sono oggi quasi completamente scomparsi e dunque il rischio che si corre é soprattutto quello di non riconoscerli quando ci attraversano la strada. Stanotte però non vi é stata possibilità d’errore, l’abbiamo vista tutti e non abbiamo mai avuto dubbio alcuno; stanotte a brillare di più non è stata la “nuova stella” tutta ancora da classificare, quanto quella più datata della “serietà”, la quale è riuscita a regalarci un momento sportivo che resterà… resterà oltre i risultati sportivi di oggi e di sempre, resterà oltre le classifiche ATP di ieri e di domani. Per tutto questo, grazie Lorenzo Sonego, long live and prosper!
*Pretty please… qualcuno spieghi ai giornaletti italiani la differenza tra mitico e mitologico perché date stron*zate semantiche fanno davvero orrore!!

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