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Trump contro la “cultura” woke

di Michele Marsonet.

Tra le molte battaglie che la nuova amministrazione Trump si appresta a combattere c’è anche quella contro il cosiddetto wokismo. Si tratta di una battaglia eminentemente culturale, anche se definire “cultura” questo fenomeno che ha infettato ampi settori della società Usa è senza dubbio esagerato. Vista l’enorme diffusione che il suddetto fenomeno ha conosciuto negli ultimi anni, c’è da sperare che Trump e i suoi collaboratori riescano davvero a compiere un’impresa che appare titanica.
Com’è noto il wokismo, nato dalle follie del “politically correct” e della “cancel culture”, ha letteralmente cambiato il volto degli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda i settori dell’istruzione universitaria e secondaria, espandedosi poi ai mondi del giornalismo e dell’editoria. Chi ha avuto modo di conoscere di persona, per esempio, i grandi atenei americani ai tempi del loro splendore oggi li trova irriconoscibili. L’immagine della società e della storia Usa che essi propinano ai loro studenti è totalmente negativa, poiché identificano la storia americana unicamente con il razzismo. Trascurando il fatto che gli Stati Uniti d’America sono tuttora il maggiore esempio al mondo di democrazia e di società aperta.
Il primo passo da compiere, preannunciato da Elon Musk, è il ripristino della libertà di pensiero e di parola ovunque essa venga minacciata. E, nonostante sia difficile da credere, oggi i luoghi in cui tale libertà fondamentale è in grave pericolo sono moltissimi. Nelle università, pesantemente infiltrate dall’influenza dei Paesi islamici che finanziano con somme enormi dipartimenti e corsi di studio, la libertà di pensiero e di parola è diventata una chimera. Lo si è visto in occasione delle innumerevoli – e molto spesso violente – proteste organizzate dalle associazioni studentesche pro Pal, con i sostenitori di Israele costretti a nascondersi per evitare il peggio.
Stessa situazione nei giornali e nelle emittenti televisive. Anche qui la libertà di pensiero e di parola viene negata con pervicacia, e numerosi sono i giornalisti licenziati per il loro rifiuto di attenersi alle narrazioni dominanti.

Le case editrici, esse pure schiacciate da una sorta di “pensiero unico”, procedono senza sosta a riscrivere i testi di storia purgandoli dalle opinioni non in linea. Al contempo si riscrivono anche parti di classici della letteratura mondiale poiché i loro autori utulizzano (o, meglio, utilizzavano) un linguaggio giudicato non consono dai paladini del “politically correct”. Una vera tragedia, insomma, che diventa se possibile ancora più peicolosa notando che lo stesso trend si sta diffondendo anche nel mondo dell’istruzione secondaria, dove i giovani, proprio per la loro età, sono più permeabili alla visione wokista del mondo. E anche in questo caso i docenti, alcuni per convinzione e altri (la maggioranza) per paura non riescono a contrastare questa deriva autoritaria e illiberale, del tutto contraria allo spirito della Costituzione Usa.
Alcuni segnali fanno però capire che l’amministrazione Trump intende agire con forza e senza timore per rovesciare tale situazione. Il proposito è quello di rivoltare come un calzino il sistema scolastico Usa, mettendo fine allo strapotere del Dipartimento dell’Istruzione, che fu creato nel 1979 dal presidente democratico Jimmy Carter. In realtà, in America, il controllo dell’istruzione spetterebbe ai singoli Stati, e non al governo federale di Washington. Con la creazione del suddetto Dipartimento, Carter intendeva ottenere un maggiore controllo della vita quotidiana dei cittadini, imponendo norme per regolamentare l’apprendimento scolastico dei loro figli.
Trump ha detto con chiarezza di voler restituire agli Stati i poteri che avevano prima, smantellando il Dipartimento federale voluto dal suo predecessore democratico. Si tratterebbe di una grande rivoluzione nel segno di un ritorno al tradizionale liberalismo Usa. Ed è anche l’unico strumento per sradicare l’ideologia woke.
Si tratta indubbiamente di un compito difficile da realizzare e, non a caso, l’intero mondo “liberal” americano, tradizionale punto di riferimento del Partito democratico, ha già annunciato una dura opposizione tanto al Congresso quanto nelle piazze. A conferma del fatto che l’etichetta di progressimo di cui i “liberal” si vantano molto è del tutto ingiustificata.