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Una Cina sempre più aggressiva

di Michele Marsonet.

 Il primo vertice sino-americano dell’era Biden, tenutosi ad Anchorage in Alaska, ha mostrato una volta di più quanto sia cambiato lo scenario internazionale negli ultimi anni.
Da un lato un’America profondamente divisa e in crisi d’identità, che fatica a mettere in riga persino i suoi alleati storici più fidati. E con un presidente come il 78enne Joe Biden il quale, dopo l’incredibile “gaffe” nei confronti di Vladimir Putin – ha confermato di considerarlo un “killer” – è scivolato per ben tre volte sulla scaletta dell’Air Force One.
A conferma del fatto che 78 anni non sono poi molti per una persona che svolge un’attività normale, ma diventano invece tantissimi per un uomo che porta sulle spalle il fardello della presidenza degli Stati Uniti.
Putin ha replicato a Biden augurandogli beffardamente “buona salute, senza ironia né per scherzo”. La triplice scivolata sulla scaletta dell’aereo ha subito dimostrato quanto fosse perfido l’augurio del leader russo, vecchia volpe della politica internazionale.
Dall’altro lato abbiamo una Cina che sembra sempre più confidente in se stessa, con un capo come Xi Jinping che ha conquistato il dominio assoluto del Partito comunista e dell’apparato statale, al punto che nella Repubblica Popolare nessuno osa rivolgergli la sia pur minima critica.
I cinesi, a questo punto, non sembrano intimoriti dalla possibilità di uno scontro aperto con gli Usa. Ignorando ogni protesta occidentale hanno definitivamente “normalizzato” Hong Kong, eliminando anche le ultime parvenze di opposizione democratica.
Secondo le ultime direttive di Pechino, d’ora in avanti solo i “patrioti” (leggasi i comunisti) potranno essere eletti nel parlamento e nelle assemblee legislative dell’ex colonia britannica.

Nel frattempo prosegue la pressione su Taiwan, che si sente assai meno protetta di prima dallo scudo Usa. Continua inoltre senza soste la repressione contro i tibetani e gli uiguri musulmani del Xinjiang, e cresce il numero delle nazioni africane indebitate con Pechino a tal punto da non poter più essere considerate indipendenti.
La Cina sta insomma marciando a tappe forzate verso l’obiettivo di conseguire l’egemonia globale non solo sul piano economico e commerciale, ma pure su quello politico.
Finora il neopresidente Usa ha reagito prestando maggiore attenzione alle malefatte russe, come se il maggiore avversario strategico fosse per l’appunto Mosca. Si ha l’impressione, insomma, che molti ambienti politici e militari Usa siano rimasti ai tempi della vecchia Guerra Fredda con la defunta Unione Sovietica, mentre il pericolo vero, ai nostri giorni, ha gli occhi a mandorla.
Forse Joe Biden vuole solo guadagnare tempo per capire sino a che punto può ancora fidarsi dei vecchi alleati diventati sempre più riottosi, e restii a rompere i ponti con Pechino perché temono i possibili contraccolpi sul fronte economico e commerciale. Un caso emblematico, al riguardo è quello della Germania.
Per ora Biden sembra puntare, seguendo le orme di Barack Obama e di Hillary Clinton, sul tema a lui caro dei “diritti umani”. Si tratta però di un’arma ormai spuntata, che non funzionava prima e, probabilmente, non funzionerà nemmeno adesso (come dimostra il dramma di Hong Kong).
Tra le incognite maggiori va segnalato l’atteggiamento della UE a trazione tedesca. Nonostante le molte dichiarazioni a favore della solidarietà occidentale e atlantica, gli europei in realtà sembrano stare alla finestra, in attesa di capire come finirà la rissa sino-americana.
Non giovano certamente, all’America, gli eccessi del “politically correct” e della “cancel culture” che ormai dominano le sue università riverberandosi anche sull’intera società Usa. Si aprono quindi prospettive imprevedibili e, ancora una volta, l’Europa sembra incapace di giocare un ruolo da protagonista.