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L’antitesi tra natura e storia in Spengler

di Michele Marsonet.

Seguendo le orme di Nietzsche, Oswald Spengler ha ripreso la riflessione sulla storia in termini di eterno ritorno dell’identico e di decadenze cicliche. Il pensatore tedesco ha infatti sviluppato uno storicismo di stampo naturalistico nella famosa opera “Il tramonto dell’Occidente”. I prodromi di tale pensiero sono già presenti nella sua tesi di dottorato sulla filosofia di Eraclito, in cui l’autore sosteneva di aver trovato nel filosofo greco una legge di carattere universale: tutte le cose si ripetono. Più tardi svilupperà tale concetto, ricorrendo alla metafora del ciclo biologico. I fatti della storia, la cui verità va “intuita” e non analizzata, ricalcano infatti lo schema delle ripetizioni biologiche: nascita, crescita, tramonto e morte.
Condizionato dalla crisi della Prima Guerra mondiale, Spengler finì per accantonare ogni riflessione sulla libertà dell’uomo e celebrare invece, in una sorta di fatalismo rassegnato, il tempo presente come epoca di consunzione e, quindi, di tramonto della civiltà europea. L’Europa, al pari delle altre civiltà, è stata creativa nella stagione primaverile della sua cultura. Le altre stagioni (in analogia con quelle naturali) stanno a indicare il suo progressivo esaurimento. Spengler, in realtà, non parla dell’Europa in termini di unità, ma distingue otto culture planetarie, caratterizzate dalla forma magica, apollinea o faustiana. I Greci e i Romani sono stati portatori di cultura apollinea, l’Europa moderna obbedisce allo spirito di intraprendenza borghese, o faustiano. L’importante è intuire l’anima di una cultura per rendersi conto della sua vitalità o della sua incipiente decadenza. L’uomo non può far nulla per arrestarne il decorso naturale che si compie nel giro di mille anni.
L’impostazione dell’opera di Spengler non è quella di Nietzsche, ma ha la sua origine altrove, cioè nello storicismo di Dilthey soprattutto, e di Simmel in secondo luogo. Da Dilthey egli ha tratto appunto le categorie fondamentali e l’insieme di strumenti necessari ad affrontare il problema della civiltà occidentale e del suo avvenire, e Dilthey costituisce un implicito ma costante punto di riferimento del suo pensiero. Soltanto se si pone in luce il modo in cui la problematica diltheyana viene accolta e modificata, dando vita a una costruzione che si distacca poi notevolmente dalla dottrina filosofica di Dilthey per svilupparne unilateralmente l’aspetto più legato alla mentalità romantica, è possibile determinare il rapporto di Spengler con il movimento culturale e speculativo contemporaneo, e il suo legame di appartenenza allo storicismo tedesco.
E’ quindi necessario muovere dalla distinzione tra “natura” e “storia”, centrale nell’opera spengleriana, in cui confluisce un tema peculiare dello storicismo tedesco contemporaneo, vale a dire il problema della distinzione tra scienze della natura da un lato e scienze dello spirito e della realtà storico-sociale dall’altro. Al pari della distinzione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito, anche la distinzione formulata da Spengler tra natura e storia presenta una pluralità di aspetti che non è facile individuare con precisione, per il minor rigore del suo linguaggio rispetto a quello diltheyano.

Anche qui il punto di partenza è una distinzione apertamente oggettiva, o addirittura “metafisica”, in quanto natura e storia designano due realtà tra loro radicalmente differenti, anche se in qualche rapporto. L’antitesi tra natura e storia non indica perciò soltanto l’essenziale storicità dell’essere umano, ma si identifica con l’antitesi tra “divenuto” e “divenire” formulata in precedenza da Goethe. La natura è ciò che è divenuto, ciò che il divenire ha sì prodotto, ma che ha ora assunto una forma fissa, statica. La storia è invece il divenire, il processo della vita nella sua “realizzazione del possibile” in modo necessario.
Come la natura è il regno dello spazio e quindi dell’estensione, così la storia è il regno del tempo e quindi della direzione, che ne designa il carattere irreversibile. Tra esse vi è quindi una netta antitesi e una puntuale contrapposizione, su cui Spengler ritorna ripetutamente ne “Il tramonto dell’Occidente”. Questa netta antitesi non annulla però l’originaria identità dei due termini; la storia è a base della natura come il divenire è origine del divenuto, in quanto la natura è il prodotto di quello stesso divenire biologico da cui sorge l’uomo e sorgono le civiltà, e non vi è alcuna frattura tra il mondo sub-umano e il mondo umano. La natura, come divenuto, rappresenta soltanto il cristallizzarsi del divenire in una forma determinata nella quale si arresta lo sforzo creativo della realtà.
L’antitesi tra natura e storia viene però sviluppata da Spengler anche sul piano conoscitivo, quale antitesi tra due differenti e opposti tipi di logica: la logica “meccanica”, propria della natura, e la logica “organica”, propria della storia. Anch’egli, come tutto lo storicismo tedesco, rimprovera a Kant di aver limitato la sua indagine critica alle scienze della natura, senza tener conto del carattere autonomo ed originale della ricerca storica, e di aver trascurato nella sua dottrina la fisionomia logica peculiare dello sforzo di comprensione della storia.
Egli contrappone pertanto la logica meccanica, che ha alla sua base il principio di “causalità” e che considera ciò che è spazialità ed estensione, e la logica organica, che sfugge alla legalità causale e che si rivolge alla considerazione di ciò che è temporalità e direzione, affermando la vanità di ogni tentativo razionalistico o positivistico di sovrapporre la prima alla seconda. La storia non può venir compresa con il procedimento intellettuale, con la ricerca del rapporto di causa e di effetto, in quanto “ogni accadere è unico, irripetibile”, e quindi “reca il segno della direzione del tempo, dell’irreversibilità”.
Gli strumenti necessari alla comprensione della storia non sono quelli della ragione e della riflessione critica, ma sono soltanto l’intuizione, il sentimento e l’esperienza vissuta (“Erlebnis”). Non la mediazione intellettuale, quindi, ma soltanto l’immediatezza è capace di attingere il divenire nel suo processo creativo, ed ogni autentica ricerca storica deve fondarsi appunto su di essa.