Ancora a proposito del documentario “Island” di Steven Eastwood.
Ieri sera ho pubblicato una sorta di post goliardico a proposito di Island di Steven Eastwood, il documentario girato nell’ospizio Earl Mountbatten, dove i degenti sono stati filmati durante gli ultimi giorni di vita, e fino al momento in cui hanno tratto l’ultimo respiro. Non ho nulla da opporre all’idea del regista, men che meno se fosse la mia morte ad essere filmata: come bene ci ha insegnato il magnifico vittoriano Joseph Carey Merrick, noto anche come il celeberrimo Uomo Elefante, il quale lasciò il suo corpo in eredità alla scienza affinché venisse studiato… tutto il possibile dovrebbe essere sempre fatto per aiutare gli altri, in qualsiasi tempo, anche in un tempo diverso da quello presente, da quello che viviamo noi. Peraltro il documentario di Eastwood arriverebbe sempre secondo, anche in termini di problematiche etiche che potrebbe porre, dopo quello celeberrimo – e tuttora vietato in molti luoghi – di Eric Steel del 2006, The Bridge. In quel lavoro infatti furono addirittura filmati per lungo tempo i suicidi mentre si buttavano giù dal Golden Gate Bridge, un ponte che ancora oggi viene usato come luogo privilegiato dove lasciare il mondo, senza che nessuno possa fare nulla per fermarli (vivaddio!).
Ma, back to square one, il fatto è che da ieri sera ho ancora in mente l’immagine di quella dolcissima vecchietta (vedi screenshot in calce), che accompagnava quel post. L’ho detto spesso, io ho una naturale parzialità per gli anziani e… c’era qualcosa che non mi tornava, mentre suo malgrado osservavo quella donna diventare special-guest di quel programma. Cioè, non avrei problemi ad essere io stessa la protagonista di quel film, anzi, forse sarebbe l’unico film a cui parteciparei volentieri dato il suo intento didattico, ma io lo farei con cognizione di causa, coscientemente. Invece, mi chiedo: quanto è stata vittima di Eastwood quell’anziana signora?
Me lo chiedo perché ci sono dei momenti “privati” che a mio modo debbono restare “privati”, a meno che non siamo noi a decidere altrimenti. Guardando quella dolce vecchietta mi sentivo dunque di abbracciarla. Un discorso sciocco il mio, lo so bene: non c’è nulla di più infingardo dell’apparenza. Sta di fatto che in quel contesto non si stava eleggendo il miglior-paziente-dell’anno, l’anima-pia-dell’anno, ma ci si trovava idealmente nella zona di confine tra uno stato dell’Essere e l’altro, e durante quel passaggio il più delle volte servirebbe silenzio!
Quella signora, il cui travaglio un giorno sarà il nostro, di tutti noi, a suo modo mi è rimasta nel cuore, e forse è stato proprio questo il suo insegnamento più grande!
Rina Brundu