Il collaborazionismo durante il nazismo: Chaim Rumkowski e Adam Czerniakow
A grievous blow has struck the ghetto. They [the Germans] are asking us to give up the best we possess – the children and the elderly. I was unworthy of having a child of my own, so I gave the best years of my life to children. I've lived and breathed with children. I never imagined I would be forced to deliver this sacrifice to the altar with my own hands. In my old age, I must stretch out my hands and beg: Brothers and sisters! Hand them over to me! Fathers and mothers: Give me your children! (1)
— Chaim Rumkowski, September 4, 1942
In “Sulla natura del Male” non ho trattato il tema “collaborazionistico” se non in maniera epidermica e soprattutto ne ho parlato per lo più in funzione di critica alla Harendt, parendomi che la filosofa non avrebbe mai dovuto tirare fuori l’argomento nel suo saggio su Heichmann, laddove si sarebbe prestata, come poi è accaduto, a forti critiche. Parlare della colpa collaborazionistica ebrea nel contesto del giusto processo a un criminale nazista di primo piano, quale era il burocrate del Terzo Reich processato a Gerusalemme, non aveva senso e non ha reso alcun onore all’autrice come abbiamo ben visto.
Tuttavia, di questi argomenti ne ho già scritto con maggiore dettaglio in quell’altro contesto. In questo post vorrei invece aggiungere che i crimini collaborazionistici non se li è comunque inventati Hannah Harendt, esistevano veramente. Uno dei più noti ebrei collaborazionisti del regime nazionalsocialista, si chiamava Chaim Rumkowski, uomo d’affari, nonché capo del Consiglio degli Anziani del ghetto di Łódź, nella Polonia occupata dai tedeschi. Costui, quasi in perfetto stile amministrativo himmleriano, trasformò il suo piccolo feudo in una sorta di “ghetto modello”, dove si lavorava (tanto), si respirava una sorta di falsa libertà e in dati modi ci si divertiva, scrivo così anche se mi rendo conto che visto il contesto il termine può suonare blasfemo. Ligio al suo ruolo di manager “nazista” all’interno della comunità ebraica, Rumkowski fu anche uno di quei “prominent Jews” che dovettero compilare le famose liste contenenti i nomi degli uomini e delle donne destinati ai campi di concentramento. Per la verità, Rumkowski fece anche di più, dato che è ricordato soprattutto come l’autore del famoso discorso “Datemi i vostri figli” di cui un piccolo brano si legge nell’incipit di questo post (la traduzione è qui in calce), con il quale tentava di convincere i suoi fratelli a consegnarli i 20000 bambini ebrei che, su richiesta delle SS, sarebbe stato necessario mandare a morte certa. Gli “achievements” di Rumkowski furono tanti, ma francamente non mi interessa riportarli qui. Del suo destino ultimo si sa solo che fu spedito ad Auschwitz con la famiglia, ma si ritiene che ad ucciderlo siano stati gli stessi ebrei non i nazisti.
In realtà il “caso Rumkowski” mi interessa solo perché propone in maniera plastica una esperienza di vita piegata e “modellata” dalle necessità del Male, o meglio perché permette di analizzarla in maniera esaustiva. Bisogna ricordare, infatti, che non per tutti gli ebrei Rumkowski è stato un traditore del loro popolo, e non lo è stato sicuramente per quelle 700 persone che grazie a lui si salvarono. Lo è stato, lo è, però, per tanti, tantissimi altri, come, per esempio, per i familiari di coloro che furono “preferiti” ai loro simili per essere mandati al macello. Resta il fatto che questo discorso non può essere liquidato in maniera così epidermica. Senza entrare nel merito perché un post online non lo permetterebbe proprio, la domanda che occorrerebbe farsi è: cosa pensava Rumkowski quando espletava con così tanto zelo i suoi compiti di burocrate imprestato alla folle causa del Terzo Reich? Con che “cuore” sceglieva gli agnelli da immolare? Conoscere la verità su questi argomenti permetterebbe, infatti, di raggiungere una parziale “verità” che regalerebbe comunque una data pace all’anima. Anche perché, lo sappiamo bene, se quello sporco lavoro non l’avesse fatto lui, l’avrebbe fatto qualcun altro, o magari l’avrebbero fatto gli stessi nazisti. Insomma, un destino da non invidiare quello di Rumkowski, non ci sono dubbi su questo.
Vero è però che noi umani possiamo sempre scegliere, volendolo. Così deve avere pensato anche Adam Czerniakow, l’ingegnere ebreo a capo del Ghetto di Varsavia che al collaborazionismo preferì la morte. Si suicidò con una fiala di cianuro il 23 luglio del 1942. Chi è “l’eroe”, o per meglio scrivere, lo spirito brillante dentro questo contesto fortemente degradato e malato? Il Rumkowski che ha avuto la forza di trattare con i nazisti mentre quelli annientavano il suo popolo, e così facendo ha salvato 700 persone, oppure questo Czerniakow che ha preferito morire pur di non macchiarsi di un simile crimine?
Ecco, quando diamo addosso, come, mi dispiace dirlo, ha fatto pure la Harendt in dati momenti, a una intera comunità per dati comportamenti esecrabili in situazioni gravemente patologiche, bisognerebbe fermarsi a riflettere. Per carità, il riflettere non risolve comunque, ma almeno aiuta a vedere più chiaro nel buio che porta seco il sonno della ragione, e questo è certamente un vantaggio da non scartare.
Rina Brundu
- Un tremendo dolore ha colpito il ghetto. Loro [i tedeschi] ci chiedono di rinunciare al meglio che abbiamo – i bambini e gli anziani. Non ero degno di avere un figlio mio, quindi ho dato i migliori anni della mia vita ai bambini. Ho vissuto e respirato con i bambini. Non avrei mai immaginato di essere costretto a consegnare questo sacrificio all’altare con le mie mani. Nella mia vecchiaia, devo allungare le mani e supplicare: fratelli e sorelle! Consegnateli a me! Padri e madri: datemi i vostri figli! (Libera traduzione Rina Brundu)
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