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Ancora sulla mancanza di un giornale autorevole in Italia. Bene Elkann con il “caso Verdelli”, ma non basta: “Repubblica” va rivoltata upsidedown!

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Collage da Dagospia.com

Seguo da circa 30 anni il giornalismo italiano. A questo punto della storia posso dire di saperne fin troppo e potendo scorderei d’incanto il “superfluo” che, in questo specifico caso, si aggira intorno al 90% del know-how accumulato.

Ne deriva che conosco anche le tante “figure” che lo hanno fatto vivere: alcune degnamente (si contano sulle dita di una mano), la maggior parte di quelle trasformando il mestiere che fu dell’Hemingway in guerra in una occasione poltronara, salottiera, in un mercato del pesce attivato con i referenti politici, mirante soprattutto a titillare l’ego e movente in un mare di “sporcizia” pseudo-intellettuale che fa rabbrividire.

Ma se è vero che codeste “pedine” le ho studiate tutte, o quasi tutte, verità vuole che confessi come, fino ad alcuni mesi fa, non avessi mai sentito parlare di un tal “Verdelli”. Solo dopo essermi costretta a visitare il sito del quotidiano “Repubblica” più volte di quanto non abbia fatto negli ultimi venti anni, ho compreso che codesto signore, i cui “aforismi” inneggianti alla “libertà di stampa” (sic), chiudevano tutti gli articoli della testata online, e le cui gesta quasi epiche (in alcuni luoghi del quotidiano virtuale si leggeva addirittura di una intera redazione pronta a difenderlo a spada tratta da imprecisati nemici), era di fatto l’attuale direttore. Con tutto il rispetto sono rimasta senza parole: neppure il Montanelli in piena disfida berlusconiana aveva mai osato tanto, e mai il suo giornale è diventato una velina autoreferenziale che avrebbe davvero indignato chiunque avesse a cuore la valenza ideale del mestiere del giornalista!

Ragion per cui, non lo nego, non ho potuto che rallegrarmi delle recenti notizie: il nuovo editore del quotidiano avrebbe tolto la cadrega da sotto il sedere del “prode” Verdelli e finalmente, forse, il giornale sembrerebbe puntare verso una normalizzazione giornalistica. Bene! Bene, ma non ottimo! Io resto convinta, infatti, che la strada che dovrebbe intraprendere tale pubblicazione, allo scopo di muovere verso il possibile target di diventare, vivaddio!, un primo giornale “autorevole” italiano (di cui, specie in questi tempi difficili, si sente veramente la mancanza) sia ancora lunga. Ed è “ancora lunga” perché la sua storia non permette che possa essere altrimenti.

Al posto dell’editore Elkann, non esiterei quindi a porre subito in essere altre azioni determinanti allo scopo di favorire questa “rinascita”. Il primo passo che bisognerebbe osare senza indugio è senz’altro quello di cambiare il nome alla testata. Questo step è fondamentale se si vuole veramente salvarne il suo destino futuro. Senza tale “intervento”, il giornale resterebbe sempre la velina dello scalfarismo, la velina schierata, la velina genuflessa a un analogico senso di interpretare il “mestiere” sempre a seconda del tornaconto politico, la velina pseudo-intellettualeggiante, la velina incapace di adeguarsi al mondo del cambia, in un spaziotempo che, fortunatamente, ha già scordato chi fosse Scalfari o cosa sia stata la “guerra dei venti anni” (della quale si ha ormai ricordo solo quando si guarda ai tanti zeri che bisogna contare per avere visione della reale portata del debito pubblico italiano!).

Cambiato il nome, bisogna mandare in pensione tutti gli “eroi” di un passato da dimenticare e quindi ripensare la redazione, ripensare le strategie, allontanare il sottobosco di scrittori, scribacchini, macchinisti, fuochisti, affini, alfieri del politically-correct ad ogni costo, che hanno sempre costituito la fanteria sfilacciata con cui raggiungere la “mission”, e non hanno mai prodotto nulla se non veleno sociale, dannoso per la nazione tutta.

Dulcis in fundo, bisogna aprirsi al pianeta che cambia, bisogna pensare “globale” mentre si continua a camminare con i piedi ben piantati per terra. Nell’era prima dell’anti-vippismo, bisogna, insomma, immaginare un giornale che sia cittadino credibile del mondo, che mostri tale credibilità con i fatti, ovvero a suon di notizie pubblicate, a suon di inchieste giornalistiche che non guardano in faccia nessuno, senza bandiere e banderuole da sventolare, o da difendere, cimeli assolutamente ridicoli nell’era post rivoluzione digitale.

Ah, dimenticavo! Nulla di personale, ma io riconsidererei anche il nuovo “appointment” direttivo… Personaggi come Ferruccio De Bortoli e pochi altri dovrebbero dirigere questa nuova realtà editoriale ideale, altrimenti il problema resterebbe sempre sul tavolo, irrisolto, si sarebbe semplicemente punto e a capo!

Rina Brundu